L' edificazione della "Chiesa
nuova"
La storia che siamo venuti tracciando, sebbene ancora assai lacunosa, si
arricchisce nel Settecento di aspetti ancor più interessanti e inediti
emersi dalle polverose carte d'archivio. La lettura "esterna",
l'impianto planimetrico e tipologico dell'edificio sacro di Ruvo, lasciavano
ben intuire che l'origine dell'attuale tempio, nonostante le possibili trasformazioni
dei secoli, doveva essere ben posteriore, e non solo di qualche decennio,
all'insediamento della comunità domenicana. Bisognava quindi cercare
riscontri documentali che aprissero nuove strade di ricerca e fornissero
delle conferme a quella che rischiava di rimanere una plausibile intuizione
sulla cronologia delle fabbriche. I risultati non sono mancati. Indizi di
una certa consistenza sono infatti emersi, ancora una volta, dall'analisi
dei testamenti dei primi decenni del XVIII secolo, dove non poche clausole
di devoti testatori prevedono legati a beneficio della costruzione di una
"nuova" chiesa e delle cappelle; per interventi cioè che
non possono essere interpretati come lavori, per quanto estesi e radicali,
di trasformazione, ampliamento e decoro dell'antico edificio di culto.
Una importante donazione "inter vivos" fu quella di Francesco
Antonio Leone che legò nel 1711 a favore dei Predicatori la considerevole
somma di 1000 ducati di "moneta contante" da "convertirsi
ò in apparati di sete per ornamento di detta Chiesa dell'istesso
Convento, ò in compra di campane, ò pure parte d'essi Ducati
Mille, in apparati di Chiesa, e parte in campane". E' dell'anno
successivo il contratto tra i PP. Predicatori di Ruvo e il chierico Pantaleo
Cocola di Bisceglie, ma dimorante a Trani, che impegnò quest'ultimo
a fabbricare, in esecuzione del legato Leone, due campane "una di cantara
cinque, e l'altra di due e mezzo in circa quali dovranno essere di concerto
per servizio del sudetto Venerabile Convento" e di ottima lega e qualità
con patto che il metallo dovrà essere
tutto nuovo, e fresco, composto di rame, e stagno in foglio, con fare riuscire
dette campane di buono garbo, e suono /alias di buona voce/ ad ogni sodisfatione
dessi R.R.P.P. [...] Obbligandosi finalmente Esso Chierico Pantaleo à
non dare principio alla fattura delle sudette Campane, se prima non farà
osservare la qualità del metallo alli sudetti R.R.P.P., e fondersi
in presenza de medesimi.
(leggi il documento
originale) |
Il prezzo pattuito fu di 90 ducati a "cantara" (=quintale) dal
quale il Cocola, "mosso per sua mera divozione per elemosina"
detrasse "docati dieci per cantara, quale somma di docati dieci
per cantara essi R.R.P.P. dovranno applicarle alla fabrica del nuovo Campanile
d'esso Venerabile Convento dovrà farsi à qual sol fine ha
donato e non altrimente".
Diversa la situazione che emerge dalle disposizioni testamentarie di Antonio
Fenicia nelle quali si accenna per la prima volta, in maniera esplicita,
alla costruzione della "Chiesa nuova" dei Domenicani: il Fenicia
ordina infatti nel 1722 ai propri eredi di concedere un' elemosina di ducati
25 ai Domenicani "in tempo che li R.R.P.P. di detto Convento faranno
la Chiesa nuova del medesimo".
La chiesa del Rosario appare nel terzo decennio del secolo in rovina e crollata
in più parti tanto da non essere più officiata e da consigliare
ai Domenicani il suo completo abbattimento. Il tetto ha ceduto in più
parti e le capriate di sostegno, dove ancora esistenti, sono "fracassate".
Solo due cappelle per lato rimangono in piedi ma rischiano anche queste
di rovinare improvvisamente. In realtà, a prescindere dallo stato
della chiesa, i Domenicani avevano già deciso ed intrapreso la fabbrica
di un nuovo più ampio tempio, la cui prima pietra era stata posta
e benedetta dal vescovo Bartolomeo Gambadoro (1705-1730), ma la costruzione
di questo era arrivata ad appena "dieci palmi di prospettiva"
come pure il lato sulla via per Bitonto. Al fine di procedere più
speditamente alla costruzione della nuova chiesa bisognava demolire completamente
la vecchia e quindi i padri avevano costruito con tavolati una chiesa provvisoria
"o sia Oratorio Publico" nel chiostro dove celebrare i divini
misteri.
Intorno al 1740 la "nuova chiesa" è stata riedificata almeni
nei muri perimetrali se si può procedere alla realizzazione delle
coperture a volta e all'inizio delle decorazioni interne. Precisazioni in
proposito vengono dal ritrovamento di due interessanti contratti rogati
dal notaio Simia a distanza di circa un mese uno dall'altro per importanti
lavori alla erigenda "Chiesa nuova". Essi ci consentono oltre
che di seguire l'evoluzione e i tempi dei lavori, di individuare alcuni
degli artigiani specializzati di cui poteva disporre la committenza locale
e insieme di apprendere particolari tecniche costruttive. Con il primo contratto,
stipulato il 13 giugno 1740, i magistri stuccatori Giacinto Gentile di Andria
e Corrado Forges di Molfetta, si impegnano:
di lavorare uno Cornicione per intiero quanto
porta la circonferenza della nuova Chiesa d' esso venerabile Convento, dalla
parte di dentro solamente, che ascenderà da circa palmi quattro cento
sessanta nell'istessa maniera, che già sta principiato, e già
parte del medemo situato sopra la fabrica di detta nuova Chiesa; l'altezza
del quale ascende à palmi trè, e mezzo, incirca, ed altre
tanto di sporgiuta; secondo la regola dell'arte. E poi a spese d'esso Venerabile
Convento tirarsi detto Cornicione, ed à spese del medemo mettersi
in calce [...] (SAST, Notaio Giuseppe Simia, 13.6.1740, prot.398, f. 69v
- 71v.) |
Ai due mastri i padri versano un anticipo di ducati 44 in rame sui ducati
174 "di moneta di rame" stabiliti per l'intero lavoro.
Nel secondo atto, rogato in data 8 luglio 1740, i Predicatori di Ruvo, nelle
persone dei padri Lettori fra' Domenico Ciani Passari e fra' Giuseppe de
Silvestris, affidano al mastro Michele dell'Oglio di Andria, la fattura
dei mattoni occorrenti per "formare, e fare l' intiera lamia della
della nuova Chiesa d'Esso Venerabile Convento"(Leggi
il documento originale).
Alla luce dei dati esposti possiamo quindi assumere con certezza come data
di conclusione dei lavori di edificazione del tempio l'anno 1743 inciso
sulla lapide, purtroppo non più esistente, apposta sul sepolcro dei
frati nel coro dietro l'altare maggiore:
PRAEDICATORUM ORDINlS QUIESCIT HIC
PRO PATRIA COELORUM PETENS ATRIA PHALANX RELIGlOSA - ANNO DOMINl MDCCXLlll
Rinviando ancora un pò la descrizione dell'immagine esterna della
chiesa e delle analogie architettoniche con chiese di altri centri, diremo
che l'impianto planimetrico è pienamente rispondente alle prescrizioni
post conciliari sull'edilizia sacra di cui proprio gli ordini religiosi
furono zelanti interpreti e divulgatori. L'intero edificio dalle dimensioni monumentali
si sviluppa su un'unica ampia aula coperta da volta a botte unghiata che
poggia su di un aggettante cornicione. Le alte pareti laterali sono scandite
da spaziose cappelle (due per lato) le cui sequenze terminano con i due
"cappelloni" corrispondenti ai bracci del transetto e, al centro,
all'assiale altare maggiore e al coro poco profondo e con terminazione piatta.
All'incrocio tra navata e transetto si innesta, senza tamburo e raccordata
all'edificio dai quattro pennacchi, la grande cupola; questa all' esterno
risulta appena percepibile perchè camuffata da alzato ottagonale
su cui poggia, in lieve pendenza, la copertura a spicchi convergenti al
centro.
Tale impianto trova stringenti analogie con altri edifici sacri diffusi
nel barese tra Sei e Settecento (vedi foto)e
soprattutto nella chiesa gesuitica di Molfetta, attuale Cattedrale, che
di tutte sembra essere stata il monumento ispiratore.
La prospettiva centrale del grande vano esalta l'altare, mentre il filo
più sporgente delle cornici guida lo sguardo verso la comprensione
della forma del vuoto, dando ragione con i suoi mutamenti di direzione e
di aggetto di ogni minima modificazione planimetrica.
Sono ancora una volta le maggiori famiglie di Ruvo a mostrare grande attaccamento
alla comunità domenicana e a farsi carico dell'arredo interno della
chiesa con la costruzione e dotazione delle cappelle molte delle quali cambiano
patronato. E il caso ad esempio della cappella della Madonna del Rosario
costruita e dotata dal "magnifico" Annibale Maggialetti come lo
stesso dichiara e dispone nel proprio testamento del 1745:
dichiara esso testatore. e vuole, che resti valida,
ed illesa la dichiarazione per atto pubblico fatta nell'anno passato per
mano di Notar Giuseppe Simia à favore del sudetto V.le Convento di
San Domenico di Ruvo, di doversi dare a dettoConvento da suoi eredi ducati
cinquanta [...] si debbano sborzare, e pagare frà lo spazio di cinque
anni doppo la sua morte, e che il superiore pro tempore del Convento gli
applicasse in comporre, ed adornare la cappella del SS.mo Rosario incominciata
da esso testatore. |
E' la facciata esterna a consentire in maniera più immediata l'inserimento
della nostra chiesa nell'ambito dell'edilizia religiosa contemporanea.
Divisa in due ordini da una aggettante trabeazione mistilinea, slanciata,
si impone sul tessuto urbano circostante costituendo, nonostante la vicinanza
al pur notevole palazzo neoclassico degli Jatta (in figura sul centro-destra),
l'elemento di maggior spicco e visibilità della Piazza Bovio. Lo
slancio ascensionale è fortemente accentuato dalle paraste che dividono
verticalmente in tre il prospetto conferendo, insieme alle trabeazioni,
alle cornici di coronamento, alla scabra decorazione architettonica un gradevolissimo
effetto chiaroscurale che esalta l'intero parato costruttivo realizzato
con conci regolari squadrati e ben levigati di pietra locale. Nella parte
inferiore il grande portone d' ingresso è evidenziato dal sobrio
portale il cui ornato si conclude in alto in un timpano "a padiglione"
(fig. 1) al centro del quale è ospitato il cartiglio lapideo con
lo stemma coronato degli Scolopi (fig. 2), apposto a metà Ottocento,
sul quale è scolpito il monogramma mariano MPOY (Madre di
Dio). Nelle specchiature delle ali laterali, leggermente arretrate rispetto
alla parte centrale, sono collocate a metà altezza, su piccoli rosoni,
due nicchie, con catino a conchiglia (fig. 3), destinate originariamente
ad accogliere altrettante statue di santi (forse Caterina d'Alessandria
e Maria Maddalena protettrici dell'Ordine).
La parte centrale dell'ordine superiore si eleva notevolmente al di sopra
delle fiancate ed è a queste raccordata da due eleganti e discrete
volute. La specchiatura centrale è delimitata da una possente cornice
a cordolo e accoglie nella zona inferiore il grande finestrone con architrave
lievemente arcuato nella cui chiave è inserito un cartiglio lapideo.
La curva del finestrone viene ripresa, in forma ancor più accentuata,
nel coronamento superiore finale al cui apice poggia, sorretta da basamento,
la grande croce in ferro battuto. Una certa leggiadria conferiscono al tutto
i quattro acroteri posti alla sommità delle paraste: i due inferiori
sono a forma di vasi circolari (fig. 4) mentre quelli più in alto,
più piccoli e a forma piramidale, sostengono bandieruole in ferro.
1 2 3 4
La facciata del San Domenico di Ruvo costituisce
con le sue varianti ed esemplificazioni un esempio sicuramente seriore di
una tipologia architettonica religiosa nota in Terra di Bari e che trova
i suoi riferimenti più immediati nei prospetti delle chiese gesuitiche
di Bari (1740-1750) e di Molfetta (1744), di Trani in quello della chiesa
di S. Teresa (1754-1768).
Si tratta in definitiva di concordanze non solo cronologiche ma che danno
adito all'ipotesi di un architetto locale capace di interpretare ed adattare,
tenendo conto anche dei condizionamenti posti dalle situazioni economiche
della committenza, i nuovi linguaggi dell'edilizia religiosa secondo, appunto,
le esigenze particolari dei singoli contesti ambientali e urbani in cui
si trovò ad operare (vedi ad esempio le analogie tra la facciata
di S. Domenico e quella della chiesa di S. Michele Arcangelo dei Minori
Osservanti, nella stessa Ruvo, riedificata anche questa tra il 1744 e il
1755).
Rispetto alla facciata le fiancate si ergono essenziali e
prive di qualsiasi elemento decorativo lasciando intravedere, nei due finestroni
per lato e in alto, la notevole profondità dei muri.
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