GLI SCOLOPI E L'ULTIMAZIONE DELLA CHIESA NELL'800


Al momento della soppressione del convento dei Domenicani la chiesa contava complessivamente sette cappelle: quattro sui due lati, l'altare maggiore e due "cappelloni". In mancanza, al momento, di documentazione diretta per la ricostruzione interna della chiesa dobbiamo rifarci ad alcuni inventari e principalmente a quello degli oggetti d'arte, ordinato dalle autorità governative in previsione della soppressione del 1809. Quest'ultimo, pur essendo un semplice elenco di cose d'arte mobili, peraltro limitato ai quadri e alle statue ritenuti più importanti, può consentire di individuare i culti in essa praticati e lasciare almeno intuire la titolazione di alcune cappelle agli inizi del XIX secolo. Sull'altare
maggiore continuava certamente ad essere esposta alla venerazione la grande tela della titolare: la Vergine e il bambino che distribuiscono i rosari a S. Domenico e a S. Caterina. E' altrettanto certo che esisteva una seconda cappella dove era venerata la statua della Madonna del Rosario usata per le processioni. Su uno degli altari laterali era venerata anche la Madonna delle Grazie effigiata nel dipinto tra i santi Domenico e Francesco d'Assisi, mentre in un'altra cappella vi era la tela di S. Vincenzo Ferrer. Abbastanza grandi per essere collocate sugli altari di altre cappelle erano le numerose immagini dipinte, in ovali quasi tutti della "circonferenza di palmi 8", raffiguranti santi e sante dell'Ordine o di cui lo stesso ne promosse il culto: S.Maria Maddalena, S.Rosa da Lima, S.Agnese, la "Resurrezione di Cristo", S.Domenico, S.Caterina da Siena, S.Caterina de Riccis, la "Nascita di Gesù Cristo", S.Tommaso d' Aquino.
L'insediamento della Confraternita della Purificazione, avvenuto nel 1814 con l'obbligo per il sodalizio di "adempire a tutte le rifazioni che vi bisognano in detta Chiesa", non ebbe ripercussioni significative sull'architettura del tempio. La confraternita si limitò infatti, e non poteva essere diversamente stante la scarsa disponibilità di risorse finanziarie per l'estrazione "popolare" dei sodali, ad onorare gli impegni assunti facendo eseguire lavori di manutenzione ordinaria e vari aggiusti, tutti puntualmente notati, con i nomi dei mastri artigiani e le somme spese nel Libro della confraternita: sostituzione e "accomodamenti" di infissi inservibili e rovinati, rifacimento di tutte le vetrate "fracassate", restauro di ampie parti delle coperture, dei tetti danneggiati e della cupola.
I pochi lavori degni di rilievo riguardarono la sistemazione su due altari delle immagini particolarmente venerate e di proprietà della confraternita: il quadro della Madonna della Purificazione e la statua dell'Addolorata.
La chiesa si arricchì inoltre di numerosi arredi, oggetti di culto e liturgici: i paramenti sacri, le statue dell'Assunta e di san Vincenzo con quattro angioletti, una seconda statua dell'Addolorata, una "cornice indorata circa palmi cinque, e nel mezzo un Crocifisso", un altro crocifisso "con cassa per uso delle processioni con panno di dietro color lattino", un quadro con l'immagine di san Luigi, vari oggetti d'argento, il tronetto per le esposizioni del Santissimo (tutti, purtroppo, non più esistenti).

La chiesa attuale è frutto delle radicali trasformazioni apportate a metà Ottocento. Avviate e concluse dagli Scolopi esse mirarono in prima istanza a "riordinare" e uniformare lo spazio sacro a spese innanzitutto delle cappelle di giuspatronato, molte delle quali appartenute a famiglie ormai estinte.
In definitiva i padri del Calasanzio furono gli assoluti protagonisti e registi di una trasformazione radicale e moderna del tempio come celebrano le due iscrizioni poste simmetricamente ai lati dell'ingresso e come ricordano gli stessi stemmi dell'ordine con il monogramma mariano MP-OY collocati ben in vista sia all'esterno sul portale di accesso, sia all'interno sull'imponente altare maggiore ormai decisamente neoclassico.

Lavori che si spinsero sin quasi a cancellare la memoria stessa dei PP. Predicatori a cominciare dal sepolcro dei padri di cui non rimane più alcuna iscrizione o traccia esterna. Sulla controfacciata fu collocato il nuovo monumentale organo.
In una relazione del luglio 1859 il priore della Confraternita della Purificazione illustra con ammirazione i "grandi miglioramenti" apportati alla chiesa dagli Scolopi attribuendo il merito soprattutto allo spirito d'iniziativa del padre Giuseppe de Laurentis, rettore del Collegio di Ruvo e al momento Commissario Visitatore Generale delle Scuole Pie oltre che direttore spirituale e confratello del sodalizio ruvestino:

La Chiesa, un tempo appartenuta ai Padri Domenicani, ed ora di proprietà de figli del Calasanzio, per concessione ricevuta dal Real Sovrano con Decreto de' 12 Ottobre 1819, è stata portata a tale lustro mercè i miglioramenti, ed ornati eseguiti, da renderla una delle più cospicue, ed eleganti, esistenti in questa Provincia, in giusacchè forma l'ammirazione di tutti coloro che l'osservano. Ed a rendere più duratura la di lui memoria in questo Comune (il de Laurentis) l'à provveduta di un magnifico Organo, di cinque bellissimi parati per gli altari, di una Cappelluccia per l'esposizione del SS.mo Sagramento, tutti ad oro zecchino, e di un corrispondente così detto Giardinetto, a piramidi di ottone, per tre altari, non che di cinque graziosi lumieri di cristallo, e di una porticina, e carte di gloria per l'altare maggiore, tutte di argento con grande artificio cesellate (ACPA, Relazione del priore).

La confraternita, precisa il priore, non ha alcun diritto nè sulla chiesa nè sulla stessa cappella dell'Addolorata (appartengono alla Confraternita le due statue dell'Addolorata e le statue di San Vincenzo e dell'Assunta, il quadro della Purificazione, diversi arredi sacri e altri oggetti liturgici). Ciò nonostante gli Scolopi si preoccuparono di riservare all'interno della chiesa, degna collocazione alle venerate immagini confraternali e anche di rilanciarne il culto: la statua dell'Addolorata, ornata da corona d' argento e con vesti di seta ricamate in oro e argento, fu collocata sul grande altare privilegiato ove ancora si trova attorniata da dipinti su metallo raffiguranti i sette dolori di Maria (la presentazione di Gesù al tempio, la fuga in Egitto, Gesù ritrovato al tempio, l'andata al Calvario, la crocifissione, la deposizione, la sepoltura).
Non di poco conto fu la definizione dell'immagine esterna della chiesa ormai non più extra moenia ma fulcro di aggregazione della prima espansione di Ruvo come si rileva già nella cartografia di fine Settecento. Lasciata incompleta dai Domenicani la facciata fu ultimata, non sappiamo però con quanta aderenza al progetto originario, utilizzando i lavori di pietra per il finimento della prospettiva della chiesa che erano ancora depositati nel chiostro del convento.


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