La soppresione dei Domenicani
e l'acquisizione del Convento al demanio
Nel decennio francese giungono a maturazione e naturale conclusione gli
effetti della politica illuministica anticuriale che già dalla metà
del '700 aveva avuto come bersaglio privilegiato l'organizzazione ecclesiastica
e soprattutto gli ordini regolari. Vi erano state varie avvisaglie circa
la completa soppressione degli ordini regolari, ma fu con la legge del 13
febbraio 1807, con la soppressione degli ordini religiosi legati alla regola
di S. Bernardo e di S. Benedetto, che si palesarono chiaramente le intenzioni
del governo. Appena due anni dopo con analogo provvedimento legislativo
(7 agosto 1809), vennero soppressi in tutto il Regno gli ordini regolari
e si dispose che tutti i beni fossero incamerati dallo Stato.
Il ministro del culto Giuseppe Zurlo sosteneva l'iniziativa per due ragioni
principali: l'inutilità ai fini religiosi e, seconda motivazione
che stava particolarmente a cuore ai napoleonidi, la necessità di
acquisire al demanio statale ingenti ricchezze perchè si era reso
indispensabile "far uso dei beni degli Ordini religiosi, considerandoli
beni nazionali, al fine di soddisfare al "cumulo de' pesi e de' debiti
di cui le varie vicende del regno hanno aggravato il Tesoro".
Al momento della soppressione nel convento di Ruvo si trovavano complessivamente
12 religiosi: 9 frati sacerdoti e 3 conversi . Il 30 settembre 1809 i commissari
incaricati della soppressione del convento di Ruvo, Matteo Caputi, Cesare
Montaruli e Giuseppe Gioia con il sindaco del tempo si recarono presso il
convento "per descrivere, ed inventariare il locale componente il
Monistero" che venne con molta approssimazione stimato in ottomila
ducati (leggi il documento originale).
Il verbale redatto dai commissari rimane ad oggi l'unica preziosa testimonianza
sullo stato del convento dei soppressi Domenicani prima delle trasformazioni
subite. Nel giro di pochi anni la maggior parte dei conventi fu infatti
convertita ad altri usi (sedi di gendarmeria, case comunali, teatri, carceri,
ospedali militari). Il convento di Ruvo, rimasto per alcuni anni nelle mani
"vandaliche" degli agenti demaniali non poco responsabili del
suo degrado, fu donato unitamente alla chiesa, al comune che cominciò
così a prenderne cura. Fu dal comune destinato in parte a caserma
della Gendarmeria Reale, in parte a sede comunale essendo il palazzo pubblico
in restauro, mentre la chiesa fu affidata alla Confraternita della Purificazione.
All'indomani del riassetto politico europeo sancito dal Congresso di Vienna
(1815) e con il concordato tra papa Pio VII e Ferdinando I(18/11/1818) si
stabilì il ripristino nel Regno delle comunità religiose nei
conventi soppressi dai napoleonidi.
Si colloca in questo quadro storico il tentativo di ristabilire i Domenicani
a Ruvo che non ebbe successo sebbene i padri rimasti a Ruvo si fossero dichiarati
disponibili; infatti il 12 ottobre 1819 il re con un Rescritto Reale concesse
"di stabilirsi un Collegio dei Padri Scolopi nel Locale di
quel soppresso Monistero dei Domenicani e sua Chiesa, dandosi ai detti Scolopi
le rendite esistenti nel cennato Monistero in annui ducati Mille in circa".
A caldeggiare fortemente l'istituzione delle Scuole Pie a Ruvo era stato
il giureconsulto Giovanni Jatta il quale, esercitando le sue influenze ed
usando opportunamente le conoscenze e il prestigio di cui godeva, sostenne
con successo l'idea della formazione di una scuola pubblica da affidare
agli Scolopi finalizzata all'istruzione della gioventù locale oltre
che dei concittadini destinati alla carriera ecclesiastica.
L' attività educativa degli Scolopi non deluse le aspettative: "non
può lodarsi abbastanza il zelo col quale si occuparono ad istruire
la Gioventù Ruvestina nelle Lettere, ed allevarla nelle pratiche
religiose".
Gli Scolopi non mancarono di occuparsi anche della chiesa e nel 1854, sotto
il rettorato di p. Giuseppe De Laurentis, si diede mano ai lavori di restauro
e completamento del tempio.
In seguito ai decreti eversivi del 1866 anche le comunità regolari
sopravvissute ai precedenti interventi furono soppresse. Gli Scolopi furono
costretti ad abbandonare il convento di Ruvo e con esso le opere avviate.
Parte del complesso conventuale fu utilizzata nel 1885, per volere e insistenza
del vescovo del tempo Luigi Bruno (1882-1893), a lazzaretto per curare quanti
erano stati colpiti dalla terribile epidemia di colera che si era diffusa
quell'anno e che infierì particolarmente nella cittadina di Ruvo.
Seguì la destinazione definitiva di tutto il complesso a scuola pubblica.
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