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Marino BIGARONI

San Damiano - Assisi
La chiesa prima di san Francesco

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Trascrizione, impaginazione e link: M. Mastrorilli, 2001 -

Perché due absidi sovrapposte, soprattutto perché l'abside superiore, quella nell'Oratorio?

L'Oratorio sopra la parte (A), secondo quanto ci riferisce il Bartoli, sarebbe stato fatto costruire da s. Chiara, e sarebbe stato consacrato dai sette vescovi dell'Umbria che consacrarono la Porziuncola: « ad instantiam virginis beate Clare consecraverunt et ipsi eamdem cappellulam quam ipsa ad honorem Virginis Matris Christi et sua devotione construi fecerat » [41].
Già Bracaloni faceva giustamente notare: « Il luogo dell'Oratorio deve appartenere alla primitiva fabbrica, ed essere quindi molto anteriore a s. Chiara. Parlandosi quindi della cappella costruita, deve intendersi non dell'intera fabbrica costruita dalla Santa, ma d'un adattamento fatto da essa » [42].
Questa posizione di Bracaloni sarebbe di grande importanza per il nostro scopo se si potesse dimostrare vera, dimostrare almeno che l'abside di questo Oratorio apparteneva già alla primitiva struttura della chiesa.
L'estensore di quella Cronaca del convento a cui ci si è già riferiti, scriveva nel 1630: « In questa cappella [Oratorio in questione] vi è un altare al modo antico, con havere il muro intagliato per potervi passare intorno » [43]. Il che vuol dire che agli inizi del sec. XVII l'abside esisteva. Nel sec. XVIII la vide anche fr. Antonio da Orvieto [44]. Sempre nella Cronaca manoscritta del convento, in un aggiornamento del 19 settembre 1832, si legge che a seguito del grande terremoto « si passò a chiudere l'ovato dietro all'altare dell'Oratorio di s. Chiara di cui si temeva per aver patito l'arco; onde questa chiusura fu fatta colle stesse pietre di cui era formato l'ovato esteriore » [45].
Dal Bracaloni sappiamo poi che l'abside « di questo oratorio che era stata in parte chiusa e in parte demolita in tempi non molto lontani fu restaurata nel 1921 (rintracciando la figura della Madonna col Bambino) » [46].

[41] F. BARTOLI, Tractatus, p. CXVII.
[42] L. BRACALONI, Storia, 70, nota.
[43] Cronaca manoscritta del convento di S. Damiano, p. 1.
[44] Fr. A. DA ORVIETO, Cronologia, 110.
[45] Cronaca, 74. Se al momento del ripristino del catino dell'abside si fosse tenuto conto di questo particolare, si sarebbero conservate le pietre originali di essa.
[46] L. BRACALONI, Storia, 147. Le parole tra parentesi furono aggiunte a penna dallo stesso, in calce alla sua copia personale.

Le vicende dunque di questa abside dal sec. XVII in poi sono abbastanza documentate, ma le notizie sono troppo poche per ritenere che essa faceva parte già della struttura primitiva. Ma osservando dall'esterno il dorso dell'abside (dal coro nuovo) si vede che il muro, in luogo di curvare dopo il catino inferiore della chiesa, e terminare, prosegue invece diritto e si perde nella volta del coro. Volendomi rendere conto di come terminasse l'abside, ed in quale relazione fosse con l'abside dell'Oratorio soprastante, sporgente nel corridoio del convento, ho praticato un taglio nel pavimento del corridoio, ed è apparso il tronco dell'abside originale che saliva a formare la seconda calotta della quale costituisce ancora un tratto di cm. 50 alto sull'impiantito dell'Oratorio. Il resto del catino dell'abside è costruito a filo interno sul tronco sottostante, ma di uno spessore di cm. 8, in mattoni, opera sicuramente del restauro del 1921.
Questa scoperta per me è di grande importanza, perché dimostra che un unico paramento circolare saliva a formare le due absidi, la inferiore e la superiore. L'abside superiore danneggiata, come s'è detto, dal terremoto ruinoso del 1832, venne demolita per buona parte e venne chiuso l'arco di essa con muro che fu rimosso nel 1921; ma furono « rintracciati » frammenti dell'affresco del catino, per quel tanto che essi erano compresi nello spessore del muro, che non fu demolito [47]. Quindi noi abbiamo per intero anche l'arco dell'abside e le sue dimensioni, quale si vede oggi, anche se andò perduta la calotta dell'abside. Esso sulla fronte conserva ancora le decorazioni antiche, certo anteriori al terremoto: cinque medaglioni con i quattro evangelisti e la cattedra della Divina Sapienza, che il Bracaloni assegna alla fine del sec. XIV o inizi del XV [48]. Ma io le direi anteriori.
È stata messa a nudo anche tutta la parete esterna circostante l'abside e si è reso riconoscibile l'attacco del catino su di essa. All'angolo sud è apparso uno dei due pilastrini in pietra rosa del Subasio che formavano il campanile primitivo a vela, visibili del resto dall'esterno [49]. Essi si staccano dalla parete poco al di sotto del vertice dell'abside in perfetta coerenza con la spiovenza originale del tetto. Nonostante dunque tutte le peripezie, appare oggi incontestabile che l'abside, in unico paramento, saliva da terra fino a sotto il tetto a formare i due catini sovrapposti, e che questa struttura è di un'unica epoca.

[47] Scavando per rintracciare l'abside dentro lo spessore della volta del coro nuovo, furono trovati tra i calcinacci molto piccoli frammenti dell'affresco della Madonna « rintracciata » dal Bracaloni che era anche pittore. In loco comunque restano ancora buoni frammenti della aureole di due figure di santi ai lati della Madonna.
[48] L. BRACALONI, Storia, 147. Una lettura migliore di questi medaglioni (e sarebbe interessante) potrebbe essere fatta dopo una ripulitura. Al di sopra di questo Oratorio, credo, è da ricercare il luogo della celletta di s. Chiara abbadessa, non fuori della parete sud del Dormitorio, come si suol ripetere, dove allora non si spingeva nessuna costruzione, come è dimostrato da certe finestre della chiesa sottostante che si aprivano allora su quel lato; né poteva essere quella l'ubicazione prescritta dalle lettere pontificie per la camera dell'abbadessa: « Lectus tamen abbatissae in tali loco dormitorii disponatur, quod inde ceteros dormitorii lectos sine obstaculo, si commode fieri poterit, valeat intueri », BF, II, 479. Sulla parete appunto che divide il Dormitorio dall'Oratorio, elevata da m. 1,90 dal pavimento del Dormitorio, si vede una porta chiusa, indicata finora come quella di un non altrimenti noto laboratorio delle monache. Si ricordi quanto si legge nel Processo di canonizzazione di s. Chiara (test. III, 16), che cioè s. Chiara una notte « chiamò essa testimonia [suor Filippa] la quale dormiva lì appresso: Descende presto sotto nel dormitorio, ché suor Andrea sta inferma gravemente ». Dunque la celletta di s. Chiara stava in alto sul dormitorio, ma in comunicazione con esso; proprio come prescrivevano le lettere pontificie.
[49] I campanili quindi furono successivamente tre: il primo in questo angolo sud della chiesa; poi fu fatto al centro della volta sull'arco di divisione dei due corpi della chiesa (A-B); il terzo: l'attuale, fu fatto nel 1728, cfr. BRACALONI, Storie, 178.

L'abside, è noto, in un complesso antico sacro, è sempre il segno di un altare [50]: « Pars aedis sacrae interior, in qua altare collocari solet sic appellata, quod sit quodammodo separata a templo, et proprio fornice tecta et convoluta » [51]. L'abside nelle povere cappelle romaniche sparse dappertutto nelle nostre campagne, spesso è l'unico elemento icnografico che indichi la destinazione cultuale dell'edificio. Era come se, in quel punto, la parte si aprisse per lasciar intravedere le profondità dei cieli: « In summo coeli fornice, et ut ipso verbo utar, abside » [52]. Quando poi si ha il modulo di due absidi sovrapposte, l'inferiore si apriva nel sacello dei corpi santi, detto anche cripta, l'altra si apriva al piano superiore e accoglieva l'altare maggiore, al centro del presbiterio. Gregorio di Tours dice in proposito: « Huius enim altare, positis in altum pulpitis, locatum habetur, cuius pars inferior in modum cryptae ostio clauditur » [53].
Esempi in tal senso se ne hanno a non finire anche solo a volerli trovare nell'area umbra [54]. Questo modulo venne usato non solo per grandi chiese cattedrali o abbaziali, ma anche per quelle di dimensioni più umili. Evidentemente non fu tanto una movenza architettonica, quanto lo scandimento di uno spazio liturgico.
La duplice abside, anche per S. Damiano, postula un presbiterio rialzato su di una cripta sottostante. La navata si doveva svolgere davanti, d'ordinario ad una quota tra cripta e presbiterio; delle gradinate dovevano mettere in comunicazione questi tre corpi tra loro.
Se a S. Damiano è possibile rinvenire elementi ed indizi che dicano l'esistenza un tempo di questi tre corpi coniugati insieme dalle due absidi, si riacquisisce la struttura primitiva di questo insigne, anche se modesto, monumento, rendendola visibile in trasparenza dalle strutture attuali, come una preziosa filigrana.

[50] Nelle cattedrali l'abside era più spesso il luogo della sede episcopale.
[51] DU CANGE, Glossarium Mediae et infimae Latinitatis I (1954) 32.
[52] S. GEROLAMO, Epistula ad Ephesios, Comm. 1, 2.
[53] GREGORIO DI TOURS, Miraculorum, 1, 1, cap. 43.
[54] Vedi la gemella S. Masseo de Platea, S. Benedetto al monte Subasio, S. Silvestro e S. Michele di Bevagna, S. Silvestro di Collepino, S. Giovanni pro Fiamma (Foligno), ecc. Altri esempi possono vedersi indicati in R. PARDI, Ricerche di architettura, cit.

Va subito detto che se S. Damiano risultava di questi tre corpi (presbiterio, cripta, nave) essa fu in origine una fondazione monastica come la vicina S. Masseo de Platea, sede di una piccola comunità o priorato, centro di una masseria o platea che era un complesso rurale di terre da bonificare e coltivare dal bracciantato, sotto la direzione di monaci là dislocati dall'abbazia principale [55]. Questi luoghi nacquero numerosi nelle campagne al tempo della riforma benedettina dei secc. X-XI; anche per assolvere al desiderio vivo nei monaci di ascesi e di solitudine dal mondo, realizzato in piccole comunità, come piccole furono qulle fondate da s. Benedetto [56]. A volte in questi luoghi i monaci riuscivano a raccogliere, a vita comune, anche preti rurali che, più tardi, al tempo della crisi del monachesimo, restarono non di rado padroni di fatto delle chiese e del relativo beneficio [57].
Nella chiesa, lo spazio riservato ai monaci era il presbiterio distinto e separato dall'assemblea del popolo raccolto nella navata. Lassù, lontani da ogni consorzio e sollecitudine profana, ci si incontrava con Dio: « O vere quietus locus - dice s. Bernardo - et quam non immerito cubiculi appellatione censuerim, in quo Deus, non quasi turbatus ira, nec velut distentus cura prospicitur, sed probatur voluntas eius in eo bona et beneplacens et perfecta... Hic vere quiescitur. Tranquillus Deus tranquillat omnia » [58]. Il presbiterio, pur così collocato, restava sempre il centro del culto e dell'attenzione dei fedeli; una specie di Sancta Sanctorum. Lassù si celebravano i santi misteri, lassù si leggeva la Bibbia e si annunciava la parola di Dio [59].

[55] J. DUBOIS, Monachesimo urbano, in DIP VI, 6 s.; R. GAZEAU, Urbaines ou rurales?, in « Lettre de Ligugé », 143 (1970) 163-87.
[56] Si legge nell'Exordium parvum di s. Alberico: « Quia etiam b. Benedictum non in civitatibus nec in castellis, aut in villis sed in locis a frequentia populi remotis coenobia construxisse sancti viri illi sciebant, idem se aemulari promittebant. Et sicut ille monasteria constructa per duodenos monacos adiuncto patre disponebat, sic se acturos confirmabant ». « Ann. Cister. » 6 (1959) 5.
[57] J. DUBOIS, Encadrement de prétres de paroisse, in « DSAM » 10, Paris 1979, c. 1577.
[58] Sermones super Cantica Canticorum, XXIII, in S. Bernardi Opera, Romae, ed. Cistercenses, 1958, I, 149.
[59] Il Sinodo Romano tenuto da papa Eugenio II, al cap. 33 della Cost. dice: « Nulli laicorum liceat in eo loco, ubi sacerdotes, reliquive clerici consistunt, quod presbiterium nuncupatur, quando missa celebratur, consistere, ut libere ac honorifice possint sacra officia peragere ».

Ebbene a S. Damiano troviamo, anche più tardi, che la devozione popolare si indirizzava lassù: all' Oratorio. Cento anni più tardi il Bartoli, in un'appendice al Trattato sull'indulgenza della Porziuncola, ci riferisce che ai suoi tempi era ancor viva un'antichissima devozione verso quel luogo: « In vigilia sancti Laurentii, in primis vesperis ipsius sancti, incipit indulgentia capelle sancte Marie Virginis, que est in Sancto Damiano in ecclesia superiori prope Assisium, que indulgentia fuit ibi imposita ab illis supradictis septem episcopis... devotissimus ac peculiariter sanctus Dei populus civitatis Assisii, cum magna devotione, quod longum foret enarrare, ad supradictam cappellulam in dicto tempore annuatim et per vices in die reiteratas accedere minime cessare desistunt » [60]. Se queste parole sono, come pare, da attribuirsi al Bartoli, egli è da ritenersi un testimonio attendibile perché nel 1332 era stato guardiano di S. Damiano
La devozione di cui si parla non poté accendersi in quel luogo al tempo di s. Chiara, perché esso era allora incluso nella clausura. È egualmente difficile pensare che sia sorta dopo che le monache lasciarono S. Damiano: essa logicamente sarebbe sorta nella chiesa inferiore, tanto più che nell'abside dominava una grande immagine della Madre di Dio, fatta forse effigiare per trasferire il culto tributato all'immagine venerata nell'abside superiore.
Dunque tale devozione preesisteva all'insediamento delle Clarisse e lassù era il punto focale della pietà dei fedeli.

[60] F. BARTOLI, Tractatus, cit., p. CXVII.

Un presbiterio così rialzato esige sotto una cripta, della quale però non esiste memoria. È vero che nel coro sottostante c'è un'abside ma è sufficiente questo per provare lì l'esistenza di una cripta? Non poteva essere in origine un'unica abside di un'unica chiesa, che dal basso saliva fino all'altezza dell'attuale piano superiore? Ouesta ipotesi ci porterebbe ad una altezza sproporzionata rispetto alla larghezza della chiesina (m. 10x4,75). Per di più già il Cristofani e il Bracaloni avevano capito che il piano originale della chiesa, verso l'abside (Coro), un tempo era a circa m. 1,20 sotto l'attuale pavimento, come è dimostrato da quella porticina visibile sul retro dell'abside. Bisognerebbe allora pensare che la chiesina fosse stata a m. 2,40 sotto il livello del circostante terreno, rendendo così ancora più incomprensibile quella strana « anomalia » dell'affossamento dell'attuale pavimento della chiesa. Tutto diventa più spiegabile se si immagina lì una cripta che poteva essere benissimo ad un livello anche più basso dell'attuale. Trattandosi di una struttura ecclesiale romanica, l'ipotesi si fa estremamente probabile.
Rintracciati così due volumi del modulo romanico (presbiterio, cripta) siamo invitati a cercare il piano della navata ad una quota intermedia tra la cripta e il presbiterio, come vuole il canone architettonico romanico. Così si può ipotizzare il piano del pavimento della chiesa originale non più all'interrato attuale, ma a quota livellare del terreno circostante. L'affossamento del pavimento sarà da attribuirsi ad un intervento posteriore di cui, oltre alla roccia scalpellata, all'angolo di sinistra entrando, già notata dal Cristofani, si notano altri indizi [61].

[61] Il muro sul fianco sinistro della chiesa, come s'è detto, risulta piantato sulla roccia viva che affiora sopra il pavimento del chiostro adiacente, quindi ad oltre m. 1,20 dall'attuale pavimento della chiesa. Cfr. grafico allegato.

In questa cripta così recuperata potrebbe riconoscersi quella « crypta quaedam » tanto ricercata dagli agiografi e dagli storici francescani, che tanta parte ebbe nella conversione di Francesco. Dice fr. Tommaso da Celano, seguito dall'autore della Tre Compagni, che Francesco prima ancora di lasciare la sua casa, era solito recarsi con un suo compagno carissimo in un luogo preferito per pregare: « Crypta quaedam erat iuxta civitatem ad quam frequenter euntes de thesauro loquebantur. Intrabat vir Dei qui sanctus iam sancto proposito erat, cryptam illam, socio de foris expectante, et, novo singulari perfusus spiritu, Patrem in abscondito exorabat. Gestiebat neminem scire, quid ageret intus, et occasione boni melius sapiente occultans, solum Deum in suo sancto proposito consulebat » [62].
Che in questo brano con la parola « crypta » debba intendersi non grotta naturale, ma un sacello sotterraneo destinato al culto, l'ha ben dimostrato F. Santucci nella sua monografia su S. Masseo de Plathea [63]; non occorre aggiungere altro, persuaso dalle sue buone ragioni. Non sono altrettanto d'accordo nel riconoscere la cripta celanese in quella tuttora esistente in S. Masseo; e lo sono ora meno che meno, che si riacquisisce alla storia la cripta di S. Damiano, luogo così importante e così assiduamente frequentato da Francesco dal tempo della sua conversione e sicuramente a lui tanto caro. È difficile che si sia trattato della cripta di S. Masseo quando si parla del luogo dove Francesco « Patrem in abscondito exorabat », e dove egli (lo dirò più avanti) « latitavit ». S. Masseo allora era un priorato benedettino vivo ed efficiente e la chiesa faceva parte vitale del nucleo monasteriale, con sua liturgia e suoi riti, durante i quali al popolo era permesso accedere. Non poteva quindi essere quello il luogo più adatto per pregare « in abscondito ». Tanto valeva si fosse ritirato nella cripta di S. Giorgio o di S. Maria Maggiore. Si può osservare ancora che la chiesa di S. Masseo non entrò mai nella vita di Francesco, né dei suoi compagni, mai nominata nella fonti francescane.

[62] I Cel. 3, 6, in AF X.
[63] F. SANTUCCI, Il Priorato benedettino di S Masseo « De Plathea », cit., 149 ss.

Si sa che in quella cripta Francesco fu gratificato da Dio di doni particolari: « gestiebat neminem scire quid ageret intus ». Fu là dentro, sempre secondo il Celanese, che cominciò a « pregare devotamente Dio eterno e vero che gli manifestasse la sua via e gl'insegnasse a realizzare il suo volere » [64]. L'autore aggiunge anche che là dentro quella cripta « si svolgeva in lui una lotta tremenda, né poteva darsi pace... Bruciava interiormente di fuoco divino e non riusciva a dissimulare il fervore della sua anima... Si comprende perciò come, facendo ritorno al suo compagno, fosse spossato da apparire irriconoscibile ». Un'esperienza così forte per la sua anima, così radicale non poté non lasciare in Francesco un ricordo profondo del luogo, come di altri luoghi testimoni di altre segnalate grazie a lui concesse. È noto che egli ebbe sempre un culto particolare per quei luoghi dove il Signore lo aveva privilegiato di qualche dono particolare, a cominciare dalla Porziuncola; tanto che la sua vita fu come un ininterrotto pellegrinaggio a quei luoghi: S. Damiano, le Carceri, Greccio, la Verna, ecc. Non si sa che si sia mai recato a S. Masseo; mentre lo troviamo spesso a S. Damiano specialmente all'inizio della sua conversione. Sappiamo ancora dal Celanese che Francesco a S. Damiano « in quamdam occultam caveam quam ad hoc ipsemet paraverat, se mergebat. Erat fovea illa in domo, uni tantum forte cognita soli, in qua per mensem unum sic continuo latitavit » [65]. Dunque Francesco allora visse nascosto per un mese in una « cavea » o « fovea » che non dovette essere certamente una fossa ma un sotterraneo, per viverci un mese; sotterraneo che esisteva nel paramento di S. Damiano. Quel « uni tantum forte cognita » non ci sta a ricordare quel fedelissimo compagno del testo celanese precedente che lo accompagnava in quella « crypta quaedam... iuxta civitatem »?
Se la chiesa al tempo di Francesco era « semidiruta », la cripta non poté che essere ridotta ad una « cavea » o « fovea », ingombra di tante cose smesse della chiesa e della casa, come non è raro veder ancor oggi ridotte cripte romaniche di chiese magari ancora officiate. Fuori della liturgia monastica le cripte non ebbero quasi più funzione, se non conservavano i corpi santi. Il Martelli, nel suo interessante studio sulle cripte umbre, dice che esse caddero abbastanza presto in desuetudine [66]. Per di più fr. Tommaso non vide la cripta originale, che al suo tempo non esisteva più, come si dirà. Seppure n'ebbe notizia, non poteva indicarla più con questo nome perché i più dei lettori non avrebbero capito, non essendoci più alcuna cripta a S. Damiano. Era quindi più semplice indicarla come « cavea » o « fovea », anche per quel tanto di composito che la leggenda francescana andava acquistando. Non so qual'altra grotta potesse esservi dentro quello stabile, dove il santo potesse dimorare così a lungo.

[64] I Cel. 3, 6. Queste parole sembrano aver ispirato il testo della preghiera attribuita al santo, fatta davanti al Crocifisso di S. Damiano: « O alto e glorioso Dio, illumina il core mio. Damme fede diricta, speranza certa, carità perfecta, humiltà profonda, senno e cognoscimento che io servi li toi comandamenti », BOCCALI, Opuscula, 272.
[65] I Cel. V, 10.
[66] G. MARTELLI, Le più antiche cripte umbre, in « Atti del III Convegno di studi Umbri, Gubbio 23-27 maggio 1955 », Perugia 1966, 330.

Si aggiunga che verso quel luogo ci indirizza un'antichissima tradizione popolare legata a quel medesimo momento storico della vita di Francesco. Secondo questa, la porticina che si vede sul retro dell'abside da cui si entrava nel vano sottostante al presbiterio, si sarebbe formata prodigiosamente per difendere Francesco dall'ira del padre: « la pariete a gran stupore si scosse / e lo difese dal furor spietato », spiega un'iscrizione seicentesca tracciata sulla parete accanto. Bracaloni crede che tale tradizione sia illustrata da « un quadretto in tavola di stile quattrocentesco » fissato vicino a quella porticina. Vi è ritratto il padre Pietro di Bernardone che, brandendo un bastone, corre verso il figlio che, sereno, gli si fa incontro sulla porta.
Questa tradizione, riferita anche dal Wadding, non convinse il p. Antonio da Orvieto [67] che preferì sostituirvene un'altra che si legge in appendice al Trattato del p. Bartoli: « Item post tribunam a parte exteriori ecclesiae S. Damiani, ad manum sinistram, est quaedam figura staturae s. Francisci, intus in pariete per spatium unius palmi protensi ad modum ostioli, ad mensuram sui corpusculi depicta; quam mensuram b. Virgo Clara existens adhuc in carcere cum suis sororibus in monasterio S. Damiani reclusa, ut per fratres asseritur, eamdem fecit depingi ad perpetuam memoriam et suae mentis iubilum » [68].

[67] Cronologia, cit., 122.
[68] F. BARTOLI, Tractatus, CXVII. Ci si potrebbe domandare perché Chiara fece effigiare il suo padre Francesco dentro quella porticina, luogo davvero il meno adatto per collocare un'immagine da ammirare e venerare. Non avrà voluto consacrare un luogo che, dalle confidenze avute, sapeva essere stato tanto caro a Francesco e tanto importante nel suo itinerario a Dio? Se si accetta questa ipotesi, bisogna concludere che Chiara, curando quella effigie, volle riferirsi ad un puntuale episodio della gioventù del santo svoltosi a S. Damiano, che lei sapeva tanto importante per Francesco.

Bracaloni propende per questa seconda tradizione: « L'annessa storia del nascondiglio di san Francesco si sarebbe formata poi così che, essendosi il popolo devoto tanto interessato a quella nicchia e a quella figura », e a conoscere la misura della statura del santo, « si volle sapere... quando s. Francesco può essere stato là misurato. E congiungendo questa preoccupazione coll'altra, che si è sempre avuta, per trovare quel cavo nascosto, che secondo il Celanese era dentro il fabbricato - in domo - di S. Damiano dove Francesco si era riparato dal furore del padre e si era poi trattenuto per un mese » [69]. Bracaloni era sulla soglia forse di quel « cavo nascosto », ma non fu sfiorato neppure dal dubbio che esso potesse essere stato al di là di quella porta, oggetto di tante devote attenzioni, dove anche la tavoletta quattrocentesca pare lo voglia indicare. Intendo dire che quella « cavea » altro non fu forse che la cripta che si apriva al di là di quella porta. La tavoletta quattrocentesca, oltre ad indicare il luogo, mi sembra voglia illustrare un altro passo del Celanese: « ut audivit carnalem patrem gratiae filius ad se venientem securus et laetus ultro se obtulit, libera voce clamans se pro nihilo ducere vincula et verbera eius » [70]. La serena sicurezza del santo, ormai « filius gratiae », che si fa incontro al padre sulla porta, è ben espresso nella tavoletta.
Le leggende dunque conservarono la notizia, pur sommersa in fantasticherie, che a quella porta era legato un ricordo solenne della vita di Francesco: la porta che egli chiuse sul mondo rifiutato per sempre, per fare il suo esodo verso Dio: « usque modo Petrum Bernardonem vocavi patrem meum » etc. [71]. In questo atteggiamento lo fece effigiare sicuramente Chiara dentro il riquadro della porticina, perché così lo riprodusse il pittore della tavoletta quattrocentesca, che poté vedere l'affresco e così vi fu effigiato quando nel 1504, per collocare il coro ligneo nella chiesa, fu sacrificata in parte la porticina e andò distrutto il primitivo affresco. Quando con il tempo si smarrì l'affresco ed il riferimento preciso all'episodio, la fantasia popolare favoleggiò il prodigio del muro che si aprì.

[69] L. BRACALONI, Storia, 49.
[70] I Cel. VI, 13.
[71] Leg. 3 Soc. VI, 20.

Quale sia stato il paramento architettonico di questa cripta di S. Damiano non è possibile stabilire, perché essa all'interno fu distrutta nei suoi elementi, per sostituire le volticine con un'unica volta a botte ancora visibile. Ma sono convinto che da una esplorazione da farsi sotto il coro uscirebbero alla luce interessanti materiali.
Il Martelli a riguardo dell'Umbria dice: « Tutte le cripte che si conoscono sono del tipo ad oratorium, cioè costano di un ambiente diviso in navatelle dai sostegni che portano le volte » [72]. Di questa forma dovette essere la cripta di S. Damiano prima dell'intervento del santo. Data la notevole lunghezza di essa (fino all'arco di divisione dei due corpi?), la cripta forse fu scandita in navatelle da coppie di colonne, probabilmente rinforzate da sottarchi.
Non tutto per la verità è ancora spiegato. Un'« anomalia » nasce anche da questa lettura.
Se il piano attuale dell'Oratorio marca il piano del presbiterio della chiesa originale, ne consegue che la cripta risulterebbe alta m. 4,25 + 1,20 = m. 5,45, mentre l'altezza del presbiterio sarebbe stata di m. 2,69 + 0,71 = m. 3,40 circa. Nelle chiese romaniche di questa tipologia l'altezza del presbiterio è sempre maggiore di quella della cripta. Le proporzioni quindi riscontrate in S. Damiano costituirebbero veramente una grave « anomalia » sulla lettura da me proposta. Ma niente obbliga a pensare che il piano originale del presbiterio sia stato a quota Oratorio. La cripta poteva concludersi ad un livello più basso ed avere le volticine addossate all'abside senza formare catino. Una soluzione del genere non è affatto rara in chiese romaniche del genere [73]. Risultava operativamente più semplice prima fabbricare l'intera esedra absidale fino al catino, che solo successivamente veniva partito all' interno. Anche quando si ha un catino absidale nella cripta, non si deve pensare che esso sia sorto unitamente alla struttura portante. Per S. Damiano non dovrebbe essere difficile indagare se il catino inferiore è nato da un'unica struttura muraria con l'abside che sale al piano superiore. Verifiche che saranno permesse - lo speriamo - ad altri studiosi [74].

[72] R. MARTELLI, Le più antiche cripte, 332.
[73] Questo sistema di addossare le strutture delle volte dell'abside all'esedra di essa solo in un secondo momento si nota nella cripta della vicina chiesa di S. Masseo conservataci intera ed intatta, come pure in quella di S Benedetto del monte Subasio, ed in un'altra di proporzioni più grandi quale quella di S. Maria Maggiore di Assisi, per restare ai soli esempi offertici sul posto.
[74] La verifica non mi è stata in alcun modo permessa.

L'ipotesi conclusiva potrebbe essere formulata così: quando fu guastato il modulo originale (presbiterio, cripta, navata) per fare la chiesa ad unico vano quale la si vede attualmente, si rese necessario di fare un'abside, la principale, nel piano inferiore in funzione della nuova aula ottenuta, dove sistemare l'altare maggiore. E si curvò il catino, sacrificato in altezza, per potervi ricavare sopra l'Oratorio privato del monastero. Così anche per l'affresco che è nel catino absidale si verrebbe ad avere un termine ante quem non. Sotto l'affresco si apre la finestra del comunichino, ai lati della quale sono pitturati due candelieri, segno della funzione liturgica della finestra. La pellicola pittorica, ad occhio nudo, sembra essere la stessa dell'affresco soprastante. Se questo fosse comprovato ad una verifica tecnica, verremmo a sapere anche la data dell'affresco (tra il 1211 e il 1253) [75].
Questa ipotesi potrebbe avere il crisma della certezza se solo si praticasse uno scavo sotto il coro ligneo cinquecentesco per raggiungere il pavimento della cripta ora interrato; dell'esistenza di esso, oltre alla porticina sul retro, ce ne dà l'indizio quanto fu visto dal Bracaloni nel 1929, quando verso l'altare si scavò per collocare l'organo: « Scavandosi il piancito per la collocazione dell'organo nel 1929, a 70 cm sotto il livello della chiesa attuale si sono trovate pietre murate a mo' di soglia che furono probabilmente dell'antico piancito sottostante » [76].
A me sembra che su questi elementi acquisiti e sugli indizi che si colgono sia lecito anticipare, in linea di massima, i termini di questa nuova lettura che non mancherà di suscitare, nei francescanisti, interesse, discussioni ed obiezioni. Ben vengano le une e le altre; sicuramente non potranno che giovare a conoscere la verità.
Le quote e le misure dei paramenti di S. Damiano quale dovette essere non sono ancora tutti acquisiti, né per il momento possono ancora esserlo; ma alcune di esse possono già stabilirsi. L'altezza della parete absidale si può misurare sullo spigolo nord venuto adesso alla luce nella parte più alta: m. 9,52 (= palmi 56) dal piano della cripta. Questa era a circa m. 2,40 sotto il livello della chiesa. La larghezza della chiesa è, nella media, di m. 4,76 (= p. 28) , da questa misura, secondo i rapporti più comuni nelle chiese romaniche di 1:1 [77], si può ricavare l'altezza delle pareti della navata, che dovrebbe essere stata di circa m. 5. Questo calcolo porta ad ipotizzare che il paramento del presbiterio era di circa m. 1,50 al disopra del tetto della navata. Questo si legge anche nella parete nord della chiesa tuttora visibile, dove si può ben notare che a quell'altezza il tessuto cementizio cambia. Tale accentuazione del resto della zona presbiteriale nelle chiese romaniche non era insolita, neppure nell'Italia centrale [78].
Il piano del presbiterio si può pensare a circa m. 1,70 dal pavimento originale (= p. 10), il che lascerebbe per la cripta un'altezza di m. 3,50 (= p. 20). L'abside del presbiterio verrebbe a misurare, all'impostazione dell'arco, m. 4,84. Non sono queste che ipotesi; ma la partizione logica e possibile di queste misure favorisce la credibilità della nuova lettura di S. Damiano che si è cercato di proporre. Questo del resto è un discorso che lascio per competenza agli addetti ai lavori.

[75] La data si potrebbe meglio restringere tra il 1211 e il 1228, canonizzazione di s. Francesco, che sarebbe sicuramente effigiato qui se l'affresco fosse eseguito dopo la sua canonizzazione. Bracaloni, in una nota a penna alla sua Storia di S Damiano pensa che Ugolino cardinale « intorno al 1220 avrebbe incaricato un valoroso pittore di scuola romana ad eseguire l'affresco ». Ugolino, come soleva fare per le altre fondazioni, tentò di cambiare il titolo al monastero chiamandolo « Ordinem Dominarum sanctae Mariae de sancto Damiano de Assisio » (BF, 27 luglio 1219). A questo scopo avrebbe fatto eseguire l'affresco nell'abside; ma il nuovo titolo non prevalse.
[76] L. BRACALONI, Storia.
[77] G. DE ANGELIS D'OSSAT, Proporzioni ed accorgimenti visuali negli interni, in « Francesco d'Assisi, Chiese e Conventi », Milano 1982, 150 ss. L'autore si riferisce alle chiese del sec. XIII; ma le stesse proporzioni sono riscontrabili anche in quelle del romanico anteriore.
[78] Il presbiterio a volume rialzato sulla navata, c'era anche nella vicina S. Masseo a cui spesso ci si riferisce qui come a chiesa gemella; in S. Benedetto al monte Subasio; in S. Paolo in Vineis (Spoleto); in S. Pietro in Valle (Ferentillo). Più spesso il sopraelevamento si configurava in tiburio, come a S. Pietro di Assisi.