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1 Un perfetto cavaliere.

1.1 La gioventù di Francesco.
1.2 Francesco impara a maneggiare le armi e a combattere a piedi e a cavallo.
1.3 Cortesia e liberalità: le virtù dell'aristocrazia.

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1.1 La gioventù di Francesco. Quando Francesco Bernardone nacque, nel 1181 o 1182 ad Assisi, la madre, in assenza del padre, mercante di stoffe in viaggio d'affari in Francia, lo fece battezzare con il nome di Giovanni Battista (il santo del deserto, della predicazione e dell'annunciazione, cui Francesco portò sempre una devozione particolare).
La gioventù di Giovanni è segnata dal fortunato soprannome di Francesco (vale a dire il francese) con il quale accettò di farsi chiamare da tutti.
Perché Francesco? Può darsi che il soprannome sia stato dato a Francesco già grande per l'entusiasmo con cui leggeva, in quei tempi necessariamente in francese, le canzoni di gesta, i romanzi di Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda. Quei racconti dove si esaltavano il valore dei combattenti, l'amore disinteressato per la bella dama, la lealtà, la generosità, la cortesia, le virtù che allora, idealmente, appartenevano ai nobili e ai cavalieri, esercitarono sul giovane Francesco un'impressione profonda e duratura, e dovettero fargli presto sentire soffocante il fondaco traboccante di stoffe, i miseri discorsi del padre Pietro, del fratello Angelo, chiusi nella fissa attenzione a conti e guadagni. Esistevano, al di là della piccola Assisi, immense foreste piene d'ombra e di avventure, castelli di re e regine, e soprattutto la libertà dei cavalieri erranti, padroni di inseguire i propri sogni.
La scuola. Da piccolo Francesco fu mandato alla scuola vicino casa, annessa alla chiesa di San Giorgio, la medesima chiesa dove qualche decina di anni più tardi sarà provvisoriamente sepolto; andata distrutta (ne resta un ricordo nel chiostro di Santa Chiara) fu poi ricostruita e successivamente trasformata nell'attuale cappella del SS. Sacramento sempre in Santa Chiara.
L'istruzione dei bambini
Come libro di lettura si usava il Salterio, cioè la raccolta di alcune preghiere, Pater, Ave e Gloria e di alcuni salmi in latino, che i bambini imparavano a memoria: imparare a leggere sotto la severissima guida dell'insegnante - la verga era sempre a portata di mano - voleva dire imparare insieme anche un'altra lingua, il latino, e cominciare a ricevere un'istruzione religiosa.
I giochi. Francesco avrà giocato nella piazzetta del sagrato antistante. I bambini e gli adulti d'allora, infatti, vivevano molto sulla strada perché le case erano piccole, strette dal cerchio delle mura che costringeva a far tesoro dello spazio.
Francesco vedeva passare giganteschi cavalli montati da nobili con vesti preziose e colori squillanti [affreschi di Pietro Lorenzetti nella basilica di Assisi], e per la sua fantasia saranno stati eroi e paladini. Avrà corso anche lui su un cavallino dal manico di scopa [dipinto di Brueghel]. Forse si sarà costruito un cavallo a ruote per giocare al torneo e la sera, dicendo le preghiere, invece di diventare più buono avrà chiesto a Dio un bellissimo cavallo vero.
Suoni e colori di Assisi
Doveva essere bello stare all'aperto e godere, anche senza saperlo, del panorama che circonda Assisi. Il verde dei prati, dei boschi e degli ulivi si mescolava d'estate ai riquadri del grano maturo, alle macchie colorate dei fiori.
Nell'aria, il suono violento delle campane [far sentire la registrazione] si sovrapponeva alle voci e alle grida degli uomini marcando il tempo della preghiera e del lavoro. I banditori con la tromba passavano di tanto in tanto ad annunciare le decisioni delle autorità; qualche volta saltimbanchi e giullari con pifferi [affreschi di Pietro Lorenzetti nella basilica di Assisi], viole e tamburi davano spettacolo. Non erano i soli suoni della città; lo stridio delle ruote dei carri e il rintocco veloce e ritmato degli zoccoli dei cavalli che battevano sui sassi si mescolavano ai versi di tanti animali: oche, galline, pecore, capre, maiali e mucche.

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1.2 Francesco impara a maneggiare le armi e a combattere a piedi e a cavallo. Il giovane Francesco è attirato dalla guerra, e non gli mancano certo le occasioni per imparare il mestiere delle armi. Ad Assisi, infatti, si svolgeva una duplice lotta: tra i partigiani del papa e quelli dell'imperatore per il dominio della Rocca, tra la nobiltà e il popolo per costruire un comune.
L'esperienza della guerra. E' più che probabile che Francesco, ormai diciassettenne, abbia partecipato agli scontri, conoscendo nella realtà - e non più soltanto nelle colorate miniature - la violenza e l'orrore delle ferite e delle mutilazioni [dipinto di Brueghel], vedendo morire amici, bambini, uomini e donne della sua Assisi.
Durante i lavori di costruzione dei bastioni, potrebbe avere imparato anche a murare e a tirar su pareti, acquisendo quella abilità manuale e quelle tecniche edilizie che eserciterà più tardi, quando all'inizio della conversione si darà a restaurare chiese e cappelle in rovina.
Assisi: una città violenta
Con l'improvvisa morte nel 1197 di Enrico VI, figlio del Barbarossa, il potere imperiale nell'Italia centrale si sgretolò. In Assisi lo si volle demolire e nel 1198 venne assaltata e distrutta la Rocca [filmato agosto 2000] dove alloggiava la guarnigione tedesca.
Esplosero anche tensioni fra le parti sociali del nascente comune. Furono infatti gli homines populi, il popolo minuto e la nuova classe della borghesia mercantile a insorgere contro i boni homines, le "persone per bene", i cavalieri discendenti dalla vecchia nobiltà feudale, probabilmente al servizio e dunque dalla parte dell'imperatore, che avevano residenze fortificate all'interno della città e terre e castelli al di fuori.
I boni homines furono allora in parte uccisi, in parte messi in fuga, costretti a trovare scampo rinchiudendosi nei castelli del contado, mentre le case-torri in Assisi venivano atterrate e incendiate.
Nello stesso tempo si organizzò la difesa e in tutta fretta si costruirono bastioni intorno alla città [Clip dal film Francesco].
Francesco combatte a cavallo. Il seguito di queste lotte vide alcune famiglie nobili rifugiarsi nella nemica Perugia, che in odio ad Assisi ben volentieri le accolse (fra queste anche la famiglia di Chiara, la futura santa).
La guerra uscì di città e divenne guerra fra Assisi e Perugia. Nella battaglia del 1203, combattuta a Ponte San Giovanni sul Tevere, a Francesco e agli assisani andò male: catturato con molti suoi concittadini finì nelle carceri nemiche dove rimase più di un anno, «rinchiuso assieme ai nobili». Non perché «era nobile di costume», come afferma la Leggenda dei tre compagni, ma semplicemente perché aveva combattuto con i cavalieri (milites) e perché, per i perugini, Francesco rientrava nella categoria dei prigionieri di cui si poteva ottenere il riscatto più alto [Clip dal film Francesco].
Un cavallo da guerra
Nessun comune italiano ha mai impedito a chi ne aveva voglia e mezzi di combattere a cavallo. Solo che per i nobili il possesso di un costoso cavallo da guerra [affresco di Pietro Lorenzetti nella basilica di Assisi] e il lungo addestramento per imparare a manovrarlo sui campi di battaglia era un obbligo compensato da tutta una serie di vantaggi materiali, che andavano dal risarcimento dei danni subiti fino all'esenzione fiscale, a gratificazioni in denaro, per non parlare poi dell'accaparramento delle principali cariche comunali.
E, invece, l'uomo del popolo che, come Francesco, sceglieva di combattere a cavallo, a fronte dell'esborso di ingenti somme, non aveva diritto a nessuno dei vantaggi riservati ai membri della vecchia militia e non era neppure sicuro di ricevere un giusto risarcimento per le sue eventuali perdite.

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1.3 Cortesia e liberalità: le virtù dell'aristocrazia. Se Francesco aveva imparato a maneggiare le armi e a combattere a piedi e a cavallo, non poteva tuttavia dedicare tutto il suo tempo a queste attività, come accadeva ai giovani nobili di Assisi, per i quali erano invece esercizio e occupazione principali.
A cosa dedicava il suo tempo? Francesco doveva lavorare a bottega, per diventare, ovviamente, un bravo mercante, ma aspirava a cambiare vita e classe sociale attraverso i meriti conquistati combattendo e - perché no? - attraverso il matrimonio con una fanciulla di nobili natali.
Il tempo libero era dedicato ai divertimenti del suo ambiente: ai giochi, all'ozio, alle chiacchiere, alle canzoni, alla moda del vestire.
La parola alle fonti francescane

«Divenuto adulto di intelligenza vivacissima, esercitò l'arte paterna nel vender stoffe, ma con uno stile completamente diverso, perché era molto più lieto e generoso del padre. Amava cantare e divertirsi, andare in giro notte e giorno con una brigata di amici: larghissimo nello spendere, consumava in banchetti e festini tutto il denaro che guadagnava o che riusciva a farsi dare. I genitori spesso lo rimproveravano: spendeva talmente per sé e per gli amici che non sembrava più figlio loro ma di un qualche gran principe. Tuttavia, poiché erano ricchi e lo amavano con grande tenerezza, erano indulgenti e alla fine lo lasciavano fare non volendo dispiacergli. [...] Non solo Francesco era facile a scialacquare denaro in feste e divertimenti, anzi, più che facile sarebbe meglio dire prodigo, ma passava ogni limite nel vestirsi in modo eccessivo, con panni più cari e sontuosi di quelli che sarebbe stato conveniente indossare per uno della sua condizione sociale. Amava a tal punto apparire eccentrico e originale da far cucire in uno stesso indumento stoffe preziose insieme ad altre di nessun valore.»

[Leggenda dei tre compagni I,2:2-5;7-8]
Cortesia e liberalità. Più che praticare le virtù e i difetti della borghesia mercantile, Francesco si prefiggeva di coltivare e prendere a modello il comportamento dei nobili, facendo propria l'ideologia cavalleresca. Cortesia e liberalità erano virtù che non gli appartenevano per nascita

«e tuttavia quasi per natura era gentile nei modi e nel conversare; aveva fatto il proposito di non rivolgere mai a nessuno ingiurie o parole volgari; pur essendo un giovane brillante e che amava le donne, si era prefisso di non rispondere mai a chi gli parlasse in modo pesante e lascivo. Così la fama di lui si era diffusa in Assisi e fuori e si era talmente consolidata che molti amici o conoscenti erano sicuri che lo attendesse un grandissimo futuro.»

[Leggenda dei tre compagni I,3:1-2]
Osservare un codice sociale. Volentieri e generosamente donava ai poveri, ma non perchè mosso dalla compassione per i più deboli, bensì perché fedele al codice sociale dei suoi nobili amici.
In quante canzoni di gesta, il catechismo dei laici di grande lignaggio, Francesco avrà letto che bisognava praticare la largesse, cioè la liberalità e la generosità.

«Un giorno capitò in bottega un mendicante a chiedere la carità per amore di Dio, proprio mentre Francesco era occupatissimo a vendere stoffe. Gli negò l'elemosina preso dalla gola del guadagno e dall'affare che stava concludendo. Ma subito, come toccato dalla grazia divina, si rimproverò quel gesto da villano dicendo fra sé: "Se quel poveretto fosse venuto a chiederti aiuto a nome di un grande conte o di un gran barone, di sicuro lo avresti accontentato. A maggior ragione avresti dovuto farlo per riguardo al Re dei re e al Signore di tutti!"»

[Leggenda dei tre compagni I,3:6-9]


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Ultimo aggiornamento:
22 Dicembre 2003