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L'INTERVENTO DI SCAVO E DI RESTAURO

 

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Vedute dall'alto della navata centrale durante lo scavo

 

Nel 1991 contestualmente ai lavori di restauro della cattedrale romanica di Bitonto è stato avviato un intervento di scavo stratigrafico che, limitato inizialmente ad un saggio esplorativo della navata centrale, si è successivamente esteso all’intera superficie della cattedrale. Lo scavo archeologico si è svolto contestualmente all’intervento di restauro dal 1991 al 1997. Lo scavo ha consentito di evidenziare una complessa stratificazione archeologica, distribuita in un arco di tempo di quasi ventiquattro secoli, a partire dalle tracce, esigue, della più antica occupazione dell’area, riferibili all’insediamento peucezio di età preromana e al municipio di età romana, sino agli interventi di età moderna. Viene, pertanto, confermata l’importanza di un’area, nel cuore del Centro Storico di Bitonto, connotata da un cospicuo deposito archeologico spesso da 3 a 4 metri, presumibilmente lambita dal tratto urbano della via Traiana. L’evidenza archeologica più cospicua emersa nel corso della recente indagine archeologica è quella relativa ad un grande edificio di culto antecedente alla cattedrale romanica e ad essa sottostante, con un salto di quota di circa 3 metri. La scoperta, con ogni probabilità indiziante la presenza di una diocesi a Bitonto gia in età tardoantica, conferisce all’insediamento bitontino, nella cruciale e problematica fase di passaggio tra Tardoantico e Medioevo, un nuovo e ben diverso rilievo che potrà essere meglio valutato con l’approfondimento dei dati archeologici emersi. L’indagine archeologica stratigrafica ha gradualmente rimosso per strati il potente deposito di terra di circa 3 metri di spessore che obliterava strutture e piani pavimentati dell’edificio sottostante alla cattedrale romanica. La sostanziale omogeneità dell’interno, se si eccettuano le pur cospicue manomissioni di età moderna legate allo scavo di ossari, consente di riferirlo sostanzialmente ad un unico momento, probabilmente circoscritto alla fase finale del cantiere romanico, quello dell’interramento del precedente edificio sacro. Subito sorprendente è apparso l’intento da parte dei costruttori del nuovo tempio, di conservare le strutture vetuste di secoli che, pur demolite nelle parti alte, sono state accuratamente inglobate nelle fondazioni romaniche sì da divenirne elementi costitutivi. Analoga cura è stata posta nel sigillare gli antichi piani pavimentali, nella maggior parte dei casi usurati dalla lunga frequentazione, in altri (è il caso del mosaico con il Grifo) ancora integri. La documentazione relativa alle strutture murarie dell’edificio preromanico è, nonostante le lacune imputabili soprattutto alle manomissioni di età moderna, davvero imponente ma ancora da sottoporre ad un’accurata analisi stratigrafica che individui con sufficiente gradi di certezza le varie fasi costruttive: quella PALEOCRISTIANA, quella ALTOMEDIEVALE e quella PROTOROMANICA. A grandi linee si può, pertanto, individuare la sua iconografia: un’aula quadrangolare a tre navate, ciascuna scandita da tre campate, probabilmente monoabsidata, lunga circa 20 m (ma la zona absidale è lacunosa) e larga circa 18 m, cui si addossa in facciata un corpo di fabbrica quadrangolare interpretato come torre, forse il dato più enigmatico dell’edificio. Nel caso dell’edificio preromanico di Bitonto, la traccia per enucleare le preesistenze murarie paleocristiane è senza dubbio la natura composita dei possenti pilastri divisori delle navate, nella parte centrale costituiti da grandi blocchi in tufo, lateralmente da filari di blocchi calcarei attribuibili, presumibilmente, a rinforzi di età successiva. Ne deriva, quindi, l’evidente coincidenza planimetrica tra articolazione interna delle navate nelle due successive fasi di vita dell’edificio, quella paleocristiana e quella altomedievale. Una sostanziale variazione sembra, invece, differenziare planimetricamente le due fasi, ossia lo spostamento dei muri d’ambito Nord e Sud, con conseguente allargamento delle navate laterali. Al di sotto del piano pavimentale altomedievale sono stati evidenziati due cospicui tratti murari di circa 1,50 m di larghezza, che costituivano presumibilmente gli originari muri di d’ambito dell’edificio, poi rasati e obliterati. In realtà problematica risulta anche la definizione dei muri perimetrali di età altomedievale, mancando un simmetrico riscontro tra il versante Sud delimitato da un muro continuo intervallato da pilastri e il versante Nord caratterizzato da un allineamento di pilastri, ora inglobati nelle fondazioni romaniche. Un’ulteriore significativa variazione planimetrica attribuibile alla fase altomedievale riguarda l’area presbiteriale, rialzata di pochi cm e recintata con bassi muri ad uno dei quali viene addossata una sorta di piccola piattaforma, ipoteticamente interpretata come base di ambone. Il passaggio alla navata sinistra era consentito da due fornici ad arco, cui manca una soluzione simmetrica sul lato opposto chiuso da una tompagnatura. Assai meno problematica risulta l’individuazione delle diverse fasi d’uso nel piano pavimentale dell’edificio preromanico, situato a circa 3 m al di sotto del piano di calpestio della cattedrale romanica. Il pregevolissimo pavimento a mosaico policromo è il vero e proprio ‘ fossile guida’ nell’identificazione della prima stagione di vita dell’edificio, consentendo di inserire la ‘cattedrale’ paleocristiana di Bitonto in quella trama di edifici grandi e piccoli che avvolge il paesaggio della Puglia paleocristiana, inequivocabile riscontro di una precoce cristianizzazione. E’ realizzato in minute tessere policrome (bianco, nero, rosso, giallo i colori principali) ottenute da materiali diversi (calcare, terracotta, marmo, pietre colorate) ed è caratterizzato generalmente da motivi geometrici composti in pannelli (pelte, rombi, ottagoni, esagoni, cerchi che si intersecano formando fiori quadripetali). Usurato evidentemente dalla lunga frequentazione dei fedeli, il pavimento paleocristiano viene risarcito con lembi pavimentali realizzati con la nuova tecnica in voga nei secoli X - XI, meno raffinata ed impegnativa, a grandi tasselli generalmente monocromi. La nuova tecnica è, inoltre, largamente usata nell’area presbiteriale che, nella fase altomedievale, viene rialzata obliterando il pavimento più antico a mosaico. La terza fase di vita dell’edificio, quella protoromantica, deve la sua visibilità all’ormai celeberrimo Grifo, realizzato in opus sectile e musivo all’interno dell’enigmatico corpo di fabbrica addossato alla facciata dell’edificio. La raffinatissima opera, realizzata poco prima della nascita della cattedrale romanica, non presenta alcuna traccia di usura, a conferma del limitato periodo intercorso tra la sua realizzazione e l’edificazione del nuovo tempio. Completano il quadro documentario dell’edificio nella sua veste ormai protoromantica superstiti lembi di una vivace decorazione pittorica ad affresco, di matrice bizantina ed un corpus di 52 conci scolpiti con motivi vegetali e zoomorfi, appartenenti a tre portali e ad altre aperture dell’edificio, riposti con cura dai costruttori del nuovo tempio in un vano interrato, augello dell’intento di continuità che lega i due edifici sacri, quello inferiore e quello superiore.