Primo concetto: l'uomo medievale non ha il senso della libertà che appartiene all'uomo occidentale di oggi.
Ai tempi di Chiara
le libertà sono culturalmente e giuridicamente dei privilegi concessi dall'autorità sovrana.
La libertà, al singolare, è invece l'insieme dei diritti basilari dell'indipendenza e della sovranità; in tale accezione, nell'
Occidente medievale, essa è rivendicata solo da due istituzioni: l'
Impero e la
Chiesa, e sempre come principio di autorità divina (il sovrano, imperatore o re, è la personificazione di Dio in Terra; il papa da vicario di Pietro è diventato vicario di Cristo).
Nella lotta fra queste due teste posate sul corpo della
Cristianità, la
libertas Ecclesiae è la parola d'ordine della
riforma gregoriana, che permette al mondo ecclesiastico di svincolarsi dalla dominazione signorile della
feudalità laica.
Con tali premesse, a partire dall'XI secolo, i tre
ordini, che lo schema tripartito definisce come «coloro che pregano» (
oratores), «coloro che combattono» (
bellatores) e «coloro che lavorano» (
laboratores), sono categorie della società volute da Dio.
Ed anche nello
sviluppo urbano e nel
fenomeno comunale, a partire dal XII secolo, l'organizzazione, secondo le condizioni socio-professionali, di una società degli «stati» (
status), segue delle dinamiche in cui le libertà cittadine (anche ad Assisi) sono conquiste di privilegi pur sempre derivanti o dal papa o dall'imperatore.
Occorre perciò ricordare: la libertà è
«il posto giusto davanti a Dio e davanti agli uomini», è l'inserimento nella società, nella comunità; l'uomo libero è colui che ha un protettore potente, poiché il superiore garantisce al subordinato il rispetto dei suoi diritti, ovvero dei suoi privilegi (al plurale).
Secondo concetto: l'apologia della povertà (cristiana).
Nel cristianesimo la povertà volontaria dei religiosi ha assunto storicamente varie forme, così riassumibili:
- il singolo professa la povertà, senza alcun legame con una comunità; è lo stile di vita anacoretico, fondato sul carisma di un individuo;
- il singolo rinuncia personalmente ai beni materiali, mentre la comunità cui appartiene possiede dei beni; l'esempio è dato dalla primitiva comunità di Gerusalemme;
- sia il singolo che la comunità rinunciano al diritto di proprietà di tutti i beni materiali; è l'insegnamento offerto dalla vita di Gesù, esplicitato nei discorsi pronunciati durante la missione degli apostoli.
Ai tempi di Chiara la Chiesa si è adattata all'evoluzione della società e le fornisce le parole d'ordine spirituali di cui ha bisogno. In un periodo in cui nelle città si raggiunge lentamente la prosperità, in cui il denaro ha ripreso a circolare e la ricchezza diventa un'esca sempre più invitante, la Chiesa assicura, sia a quelli che riescono (preoccupati dal Vangelo che mette seriamente in dubbio la possibilità per un ricco di entrare nel regno dei cieli), sia a quelli che restano annientati dalla nuova economia, una valvola ideologica: l'apologia della povertà.
Se gli
eremiti, anarchici della vita religiosa, pullulano ovunque, nascosti nelle foreste (l'analogo occidentale del «deserto» orientale dei martiri e dei padri del cristianesimo eroico dei primi secoli), il clero organizzato si è riformato in senso comunitario per un ritorno alla semplicità evangelica (
vita vere apostolica): è la fioritura dei
nuovi ordini monastici fra la fine dell'XI secolo e l'inizio del XII secolo.
Si tratta però di forme di vita religiosa legate a una società rurale e feudale. Adattandosi ancora la Chiesa genera gli
ordini mendicanti , dopo aver attraversato momenti di crisi e di contestazione da parte dei
movimenti pauperistici a cavallo del 1200.
Ma tutti i gruppi religiosi che precedono Francesco d'Assisi, così come i
canonici regolari riformati, vedono l'esemplare della loro vita povera nella vita degli Apostoli e della primitiva comunità cristiana di Gerusalemme. Lungi dalle gerarchie, dalle categorie, dalle rigide classificazioni, Francesco propone a tutti un unico modello, il Cristo, un unico programma,
«seguire nudo il Cristo nudo». E questo programma di
sequela Christi è anche quello scelto da Chiara con la sua professione di altissima povertà.
Conclusione: sono forse più chiari i concetti di libertà e povertà nella società cristiana del XIII secolo.
È opportuno ora analizzare più a fondo
le vicende che permettono a Chiara di chiedere e ottenere il privilegio della povertà.
È la stessa Chiara che nel suo
Testamento ricorda le origini del
Privilegio della povertà:
«Per maggiore precauzione fui sollecitata a far corroborare la nostra professione della santissima povertà, che abbiamo promessa al Signore e al beatissimo padre, con dei privilegi che il signor papa Innocenzo, al tempo del quale noi cominciammo, e dei suoi successori, [concesse] affinché in nessun momento ci scostiamo in alcun modo dalla povertà».
Questi privilegi rappresentano, senza alcun dubbio, il cuore dell'esperienza umana e religiosa di Chiara. Mentre tutte le comunità religiose del tempo si rivolgono al pontefice perché accordi loro un certo possesso, Chiara rivendica il diritto di non vantare diritti, il privilegio di vivere come la massa dei
poveri che non hanno privilegi.
Così recita il primo documento della storia francescana (1216):
«Come dunque avete supplicato, corroboriamo il vostro proposito di altissima povertà con il favore apostolico, accordandovi con l'autorità della presente, che non possiate essere forzate da nessuno a ricevere possessi».
Dopo la firma in calce di
Innocenzo III, inizia una lunga e testarda resistenza per mantenere e far rinnovare, anziché sciogliere, questa libertà.
Quella
«maggiore precauzione» rimarcata da Chiara ci indica che l'inserimento della comunità femminile di San Damiano nella
fraternitas francescana non è stata affatto facile. È lo stesso Francesco ad essere preoccupato davanti alla scelta di povertà radicale vissuta dalle sorelle povere:
«Il beato Francesco poi, considerando che, pur essendo fragili e deboli secondo il corpo, tuttavia non ricusavamo nessuna necessità, nessuna povertà [...], mosso a pietà verso di noi si obbligò con noi di avere, da se stesso e per mezzo della sua religione, cura diligente e sollecitudine speciale per noi come per i suoi frati».
Le preoccupazioni del santo sono anche quelle di papa Gregorio IX, già protettore dell'Ordine dei frati minori, come cardinale Ugolino. Occorre segnalare che già durante gli ultimi anni della vita di Francesco sorgono problemi relativi alla povertà in comune. Nel suo
Testamento, egli sente il bisogno di ribadire con forza il valore della scelta delle origini:
«E quelli che venivano per ricevere questa vita, davano ai poveri tutte quelle cose che potevano avere; ed erano contenti di una sola tonaca rappezzata dentro e fuori, quelli che volevano, del cingolo e delle brache. E non volevamo avere di più».
Ma proprio in quegli anni in cui Francesco ha rinunciato alla guida dell'Ordine, una parte dei frati vuole avere di più. Nel 1230, quattro anni dopo la morte del Poverello, la questione dell'osservanza letterale della
Regola e del
Testamento, che genera contrasti fra i frati, è rimessa nelle mani del pontefice. Gregorio scioglie i frati dall'obbedienza al
Testamento e afferma che l'osservanza della povertà non impedisce loro di godere del possesso dei beni attraverso amministratori laici.
Se quindi è difficile concepire un ordine maschile dedito alla predicazione che vive in modo itinerante in mendicità, l'idea di una comunità di donne senza alcuna sicurezza economica è del tutto improponibile.
Come le sorelle povere di San Damiano possono procurarsi da mangiare? Dandosi alla questua? Inconcepibile e impossibile. Affidandosi alla generosità dei vicini? Perlomeno azzardato. Per non parlare dei numerosi periodi di carestia e delle non rare guerre. Trovare da mangiare per cinquanta sorelle ogni giorno non è affatto uno scherzo! E Gregorio deve averne parlato a Chiara più volte: forse proprio in occasione del miracolo della benedizione dei pani!
Ma è la testardaggine evangelica a prevalere ogni volta sui numerosi tentativi di normalizzare l'esperienza di vita a San Damiano. Nel 1218, l'allora cardinale Ugolino dà alle sorelle povere una Regola basata su quella di San Benedetto, ma senza il privilegio della povertà, né il ministero dei frati minori. Nuovamente nel 1227, appena eletto al soglio pontificio, Gregorio dispensa Chiara dai suoi ideali di povertà e toglie i frati minori incaricati di predicare la parola di Dio. La risposta è perentoria. Le sorelle rinunciano anche ai frati incaricati di andare a elemosinare: sciopero della fame, diremmo oggi. L'anno successivo il pontefice, in visita a San Damiano, accoglie finalmente il desiderio di Chiara di non essere mai dispensata dalla sequela di Cristo e il 17 settembre riconferma il privilegio della povertà e il ministero dei frati minori per le povere donne.
L'eco di tali vicende e dissidi è registrata dalla
testimonianza di sorella Pacifica nel corso del
Processo di canonizzazione della sua madre spirituale.
Ma la faticosa fedeltà al sogno di una forma di vita secondo l'altissima povertà vede ulteriori ostacoli nei successori di Gregorio IX. I vari tentativi dei papi di normalizzare l'esperienza di vita monastica a San Damiano si concludono solo con l'approvazione nel 1253, da parte di Innocenzo IV, della
Regola redatta da Chiara per le sue sorelle, a imitazione della Regola di san Francesco. Nella storia della Chiesa è la prima volta che una donna scrive una regola per altre donne.
Testimonianza di sorella Filippa sulla bolla.
[DA SVILUPPARE]
[Immagini: Francesco e Madonna povertà; Pala di Chiara; sant'Onorio eremita].