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Geografia:
LA LAMA DI MACINA
Varie sono le teorie avanzate dagli studiosi, per spiegare correttamente la
denominazione della Lama di Macina.
Il calcare di tipo dolomitico dell'agro bitontino, per caratteristiche di resistenza
all'usura e di compattezza, in passato, veniva utilizzato per la fabbricazione delle
macine dei frantoi, dopo essere stato opportunamente tagliato e squadrato in blocchi o
lastroni.
La Lama di Macina si estende da Bitonto sino alla Murgia di Ruvo, scendendo
all'agro barese in località Fesca; il suo tenitorio era attraversato da un
torrente denominato Tiflis, il cui alveo ora è disseccato;
in età preistorica, era più largo di quello odierno e sicuramente navigabile,
come dimostra la presenza di alcuni anelli di attracco per imbarcazioni.
Il torrente è noto col nome di "Mena" secondo la popolazione «majne» vocabolo
di derivazione italo-greca, traducibile in «donna furente».
Spesso, infatti, durante le piene, il corso d'acqua travolgeva rovinosamente tutto ciò
che incontrava sul suo cammino: terreno, ciottolame, vegetazione.
Il torrente nasceva a quota 340 metri, in una zona dove la gente del posto la chiama
"lama delle carve ", a causa della fioritura spontanea dei carvi, tipici fiori di campagna,
abbondanti in luoghi a clima caldo.
In passato, il torrente, dopo aver attraversato il bosco Loiacono, giungeva nella località
detta "Casine d'Inde " dove si trovano i resti del castello medioevale di S. Demetrio
(Palombaio). Era alimentato, oltre che dal bacino di raccolta del corso superiore, anche
da altri affluenti che convogliavano acqua e detriti nel corso principale che scorreva poi
lambendo, a sud, l'abitato di Bitonto lungo le contrade "Pescara del corvo", dette di
"Chiancarello ", e a sud-est, lungo la zona detta "Antica del Burrone", tratto questo
che si articola in una serie di antri spaziosi e di grotte.
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Macina frantoio
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