La cultura urbanistica ottocentesca, relativa all'intera provincia di Terra di Bari, è fortemente innovatrice rispetto al vecchio modello di sviluppo delle città.
La borghesia meridionale, con grande spregiudicatezza e con il linguaggio semplice dei tecnici, chiede a gran voce di spazzare un enorme vincolo per i suoi affari: il rispetto delle regole dell'architettura militare.
Si sviluppa un lungo e appassionato dibattito nelle istituzioni, a partire dai decurionati cittadini, attraverso gli organismi provinciali - intendenza e sottintendenza distrettuali -, fino allo Stato centrale.
Il bisogno di uscire dalla città medievale, sentita come un abito troppo stretto, si afferma dopo una riflessione generale (iniziata nel XVIII secolo) sulle strutture economiche, politiche, sociali e urbanistiche, tutte inscindibilmente connesse fra loro.
Nuove forze sociali cercano e trovano un proprio spazio nelle attività produttive, ed entrano a far parte delle amministrazioni locali, rompendo i vecchi equilibri basati sui privilegi, ovvero sulle forme di «libertà» cittadine di origine medievale. A Bari l'ascesa politica dei nuovi ceti produttivi si afferma nel 1798 con l'ingresso negli esecutivi municipali.
La contrapposizione tra città e paesi non si basa tanto sulle funzioni urbane, ma è piuttosto opposizione fra tipi di abitanti: proprietari, commercianti e professionisti contro contadini. E all'interno delle città di pietra l'opposizione è fra case patrizie e palazzi di governo (aristocratici), chiese e conventi (clero), da una parte, e abitazioni civili (ceti sociali emergenti) dall'altra. Dalla supremazia dei monumenti si passa alla supremazia delle case dei negozianti e delle case d'affitto.
È proprio la casa del singolo individuo, artigiano o professionista che sia, ad imporsi come principale oggetto d'interesse per la nuova idea della città.
Il legislatore dà luogo alla norma: le case devono essere contenute in isolati ben definiti che si sottomettono a precise regole di controllo dello spazio.
Gli strumenti concreti sono i regolamenti edilizi dei nuovi borghi ed i progetti di espansione delle città.
A Bari il decreto del 1813 emanato da Murat risponde ad una richiesta di ampliamento della città voluta dagli abitanti. Il nome di Borgo Gioacchino (rimasto fino ad oggi sebbene, rifacendosi al cognome di simple bourgeois, tramutato in quartiere murattiano) è infatti applicato sulla base di una pianta del 1806 ad opera dell'architetto comunale Giuseppe Gimma, che a sua volta succede ad un piano del 1790 degli ingegneri Viti e Palenzia. In sostanza si tratta della ratificazione di una scelta locale, non più differibile per una città già divenuta capoluogo di provincia. La vecchia città conserva il suo aspetto medievale, mentre il nuovo borgo assume una fisionomia moderna fuori della cinta muraria.
La trama ortogonale della pianta di Gimma e le norme degli Statuti per la regolare formazione del Borgo (in particolare per quanto riguarda la descrizione dell'isola) riproducono un modello di città in cui tutti gli elementi, dalla larghezza delle varie strade all'altezza dei palazzi, sono codificati. Il modulo rettangolare dell'isolato è il meno soggetto a possibili variazioni ed offre maggiori garanzie di rispetto pubblico, anche nel caso di ulteriori espansioni. Il margine di libertà del singolo in alcune scelte è sempre limitato dal "buon gusto a giudizio dell'architetto direttore".
È attraverso la lettura di semplici fonti d'archivio che si può percepire direttamente il contributo di idee offerto dagli amministratori locali e dai tecnici in risposta alla domanda di nuove costruzioni che vede protagonisti gli strati produttivi della società - maestri muratori, professionisti, commercianti e artigiani - accanto ai nobili e al clero.
L'intendente di Terra di Bari così scrive al ministro dell'Interno, nel 1822:
"Eccellenza. I paesi del nostro Regno, e con essi quelli di questa provincia fondati per la maggior parte nei mezzi tempi erano pressocché generalmente cinti da mura e chiusi da porte come si conveniva ai costumi del secolo, al genere di guerra allora in uso, infine alla sicurezza degli abitanti contro le incursioni alle quali si poteva andar soggetti. Ma i tempi, i costumi, le circostanze, gli uomini stessi sono cangiati, e quindi quello che una volta era utile e forse indispensabile diviene ora superfluo ed incomodo. Questa verità è sì generalmente riconosciuta, che per parte dei comuni le domande di apertura delle porte e demolizione delle mura si succedono ogni giorno, ed il governo per la sua parte non fa che secondarle."
La città non è più considerata piazza d'armi, quindi. Ma c'è di più. La sua apertura è solo uno dei segni della nuova civiltà per il primo eletto del comune di Toritto (uno dei comuni di corona intorno a Bari), che così scrive all'intendente di Terra di Bari, nel 1823:
"Se è un indice della civilizzazione di un paese il gusto per le strade, per i pubblici stabilimenti, e per la simmetria del fabbricato, è ben dispiacevole che in questi tempi vi abbiano nei comuni dei monumenti che ricordino la barbarie dei popoli."
Bari, come le altre città murate della provincia, ha perso quasi del tutto il primitivo aspetto austero. Analizziamone lo stato delle mura.
Il fossato. Nato come difesa avanzata, è coltivato dai contadini a vigneto e orto, con alberi da frutta e olivi.
Il terrapieno. È in gran parte smantellato per far posto alle nuove costruzioni addossate alle mura.
Le porte. Le due antiche porte di Bari sono ormai superflue ed inutili. È quanto sancito dal consiglio d'intendenza, che il 30 maggio 1819 approva il progetto di demolizione della porta castello. Eccone le motivazioni:
"Considerando che l'esistenza della porta in questione si è ormai resa superflua ed inutile per questa città dopo l'abbattimento dell'altra cosiddetta di Lecce fin da due anni addietro, e perché per altri punti la città istessa è aperta col congiungimento del borgo, quindi l'indicata inutile esistenza altro non produce che un ostacolo alla concorrenza degli edificatori, che mal soffrono una certa demarcazione tra l'antico col nuovo che deve sorgere, demarcazione assolutamente incompatibile coll'ingrandimento di una città."
Nelle mura. Si aprono porte per consentire alle case palazziate, di proprietà di nobili ed enti ecclesiastici, di avere un proprio accesso alla campagna. Sono costruiti depositi, magazzini, cantine, botteghe e piccole abitazioni.
I crolli. In più occasioni le città devono riparare a proprie spese le mura, perché soggette a crolli di tale ampiezza da consentire il passaggio di "cavalli carichi o discarichi". Il furto e il contrabbando sono così agevolati:
"Le aperture somministrano occasione di potere in tempo di notte uscire ed entrare a loro bell'agio, e con robe furtive, a persone facinorose e portate al ladrocinio."
E se le casse comunali sono vuote, fin dal secolo XVII sono i privati ad accollarsi le spese di riparazione in cambio di titoli di possesso o di concessione, ottenuti con la sovrana approvazione.
Antiche discariche. Lungo le mura si trovano (da sempre) le discariche dei trappeti e delle concerie, insieme alle fosse dei rifiuti urbani, solidi e liquidi.
Nel 1829 un vecchio frantoio è tacciato di inquinamento ambientale, come si evince da una supplica dei deputati del Capitolo metropolitano di Bari. In essa si chiede all'intendente di ordinare la chiusura del frantoio posto sotto una casa, di proprietà del Capitolo, che affaccia sulla strada principale del borgo. Il frantoio è definito come un "funesto semenzaio di malattie e morti" nella città, "quasi un carname nel meglio de' suoi siti che fa retrograda di un secolo la civiltà". Inoltre, trovandosi il frantoio in prossimità dello stesso palazzo dell'intendenza, "il primo magistrato della provincia parteciperebbe nella nuova casa, che và ben tosto a prendere, di quella grave olenza, che nei mesi caldi soprattutto si rende molesta, se non micidiale".
Sotto la copertura ambientalista si nasconde, in realtà, il fatto che la costruzione del borgo sta trasformando una zona degradata della città nell'area con la rendita più elevata. E infatti la supplica continua:
"Quando il trappeto nacque, tutto era ignobile in quel sito [...]; l'antica muraglia, e fossata ne cuoprivano la sconvenevolezza, e gli edifizi, che si sono ora rinnovati, ed ingentiliti per servire al sistema del nuovo borgo, erano vilissimi abituri destinati alla plebe la più meschina [...]. Il trappeto dunque, che un tempo era oscuro, enon così indecente pel sito, che occupava, e per gli abitanti intorno, non più conviene allo stato attuale, in cui altro prospetto si ravvisa, ed altra forma ne' fabbricati, e continuando ad esservi, offrirebbe l'idea di un sepolcro imbiancato al di fuori, oppure esprimerebbe il mostruoso innesto di donzella venusta all'in su, che và poi a finire turpemente in pesce."
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