A cavallo dell'anno 1000, la relativa stabilità del dominio bizantino produce un certo flusso migratorio dall'entroterra agricolo verso i centri costieri. Vi sono apporti di gruppi etnici d'oltremare, dai Balcani e dal Medio Oriente (Latini, Longobardi, Bizantini, Slavi, Armeni, Ebrei ed anche Saraceni, ormai in condizione servile), regioni soggette a Bisanzio. Sono testimoniate attività edilizie, sia per iniziative di privati che di autorità politiche e religiose.
Nella prima metà del secolo XI gli aspiranti baresi vendono beni rurali per esercitare nel centro urbano attività più redditizie. Si arricchisce il quadro sociale: nei documenti troviamo oltre fabbri (ferrarii), calzolai (calciolarii) e fornai (furnarii) come proprietari di case, altri calzolai (scarparii) come proprietari di terre fuori città o mediatori di contratti, ed anche un Pietro, medico romano vivente in città.
Si ha quindi una crescente articolazione etnica e sociale della popolazione di Bari.
I cronisti Anonimo Barese e Lupo Protospatario accennano all'esistenza di un quartiere abitato da Ebrei filonormanni, localizzabile, con documenti posteriori, tra l'episcopio e le vicine mura di cinta.
In un documento del 1057 è testimoniata una porta nova, che può trovarsi a sud del pretorio, nell'area in cui la città si va ampliando.
Nell'ultimo decennio del secolo XI si rivitalizzano le funzioni del porto, specie in relazione alla prima crociata.
Nei primi decenni del secolo XII Bari esercita una notevole attrazione sugli abitanti dell'immediato entroterra e della costa, come anche su quelli dell'intera regione. I luoghi di provenienza citati nei documenti sono: Valenzano, Bitonto, Capurso, Bitritto, Grumo, Monopoli, Giovinazzo, Taranto, Gallipoli, ma anche Matera, Amalfi, Roma, Padova, Venezia, la Toscana, e perfino Tolosa e l'Ungheria. Anche l'articolazione sociale si arricchisce, come evidenziano le qualifiche artigianali e professionali citate nei documenti privati: maestro (didascalus), veterinario (equorum medicus), armatore (nauclerius), costruttore (fabricator), orefice (aurifex), bottaio (buttarius), fabbricante di campane (campanarius), fabbro (ferrarius), fabbricante di catene (catenazarius), fabbricante di sapone (saponarius), calzolaio (scarparius, planellarius), ortolano (ortolanus), oste (vini venditor).
È uno spaccato del ceto medio ovvero di coloro che hanno personalità giuridica, che vendono e acquistano, fanno donazioni e testamenti.
È il ceto che si è andato allargando nel corso del secolo XI tra alti burocrati bizantini, feudatari normanni, vescovi e abati, da una parte, e nullatenenti dall'altra.
È il ceto che a Bari tende a gestire il potere politico locale per il tramite dei capi delle famiglie più potenti. Polo della vita cittadina è divenuta la basilica di San Nicola, ed il movimento di persone intorno ad essa (pellegrini, mercanti, crociati, che usano più spesso la porta domnica della ex corte del catapano) propone una nuova direzione alla nascita di nuovi quartieri e allo spostamento delle mura.
Nel 1135 è testimoniata la chiesa di San Teodoro martire, che dà nome ad un quartiere e si trova nei pressi della via publica che mena ad petram malam, una via cioè che attraversa una zona sassosa o rocciosa (probabilmente corrispondente all'attuale Strada Gesuiti) in precedenza non utilizzata per la costruzione di abitazioni e comunque fuori delle vecchie mura. È dunque verso sud-est che la città si va espandendo. Nel 1153 quella via publica ha un nome: si chiama Ruga Francigena, è fiancheggiata da abitazioni e passa dinanzi all'atrio della chiesa di Santa Pelagia (già testimoniata nel 1137). Il nome deriva dai Franci, appellativo con cui si indicano allora i viaggiatori (guerrieri o pellegrini) che vengono dall'Europa occidentale per recarsi in oriente. In altri documenti relativi a questi anni compaiono altre indicazioni di quartieri.
Quella del 1156 è una data fondamentale nella storia urbanistica di Bari, che rimane in rovine e disabitata per un decennio, dopo che Guglielmo I, detto il Malo, ne ha abbattuto le mura e la ha rasa al suolo quasi completamente, non prima di aver ordinato ai suoi abitanti di abbandonarla, costringendoli a rifugiarsi nei paesi dell'entroterra, come Ceglie e Cellamare (Cella amoris).
I baresi, abbandonata la città nel 1156, per la maggior parte non si allontanano molto, se i documenti degli anni 1156-1166 danno indicazioni di numerose proprietà agricole, in genere oliveti, in mano a baresi (specialmente a Ceglie e a Valenzano) o a chiese baresi, come San Pietro maggiore. Alcuni cercano anzi di ricostruire, a poca distanza dalla città distrutta, il loro quartiere: nel 1161 un privato cittadino ha costruito in una zona sassosa la chiesa di Sant'Eustrazio martire, ed intorno ad essa case, torre, forno, cisterna ed orto; una barca di questo facoltoso nostalgico del suo ambiente cittadino si è incagliata, con tutto il suo equipaggiamento, "nel porto del promontorio di San Cataldo". La chiesa di San Cataldo, situata su un promontorio dotato di porto (l'attuale quartiere nordoccidentale di San Cataldo, ad appena un paio di chilometri dalla città vecchia), è testimoniata nel 1168: il barese Petrizio fa donazione alla chiesa di San Matteo, ch'egli stesso ha costruito "vicino alle mura di Bari sulla mia terra" e poi ceduto al monastero della SS. Trinità di Montesacro, di tre "delle cinque case che intorno alla stessa chiesa ho edificato, ed un mulino con forno e tutte le terre che possiedo vicino alla stessa chiesa", e di cinque vigne che si trovano "presso la chiesa di San Cataldo de Pinna sancti Minne" presso Bari.
Nel periodo della ricostruzione di Bari il quadro etnico e sociale si arricchisce.
Oltre ai molti abitanti provenienti da centri urbani pugliesi (Bitonto, Monopoli, Polignano, Taranto) troviamo Beneventani e Ravellesi, e perfino un borgognone (che vende a un negotiator una casa sul porto della città). Numerosi Baresi si trasferiscono invece a Palermo, sede della corte regia.
Numerose sono le attività legate al funzionamento del porto: molti armatori (nauclerii) e fabbri (ferrarii), oltre a macellai (buccerii), carpentieri e falegnami (magistri ascie) osti e bottai. Un rapporto evidente tra la campagna e la città proviene dai proprietari di vigne nell'entroterra che vendono i loro vini in Bari. Particolarmente eloquente, in relazione agli accresciuti scambi commerciali, è la presenza in città di numerosi cambiavalute (cambitores) e mediatori (negotiatores).
L'ordine monastico benedettino svolge una parte importante nella ripresa di Bari dopo il 1166. I monasteri di San Benedetto e della Trinità insieme alla basilica di San Nicola sono ormai punti di riferimento notevoli per la vita cittadina, e non solo di quella religiosa. Su Bari, sui suoi abitanti e sulle sue comunità religiose gravita un immediato entroterra agricolo del raggio di 10-15 chilometri. È in questo semicerchio che si sono rifugiati gli abitanti di Bari fra il 1156 e il 1166.
Prima che il crollo della monarchia normanna e l'arrivo di Enrico VI di Svevia riaprano nella regione un periodo di turbamenti, i panorami urbano ed extraurbano appaiono poco differenziati: in città orti e giardini, tra i frutteti e le vigne del suburbio chiese ed ospizi. Le mura cittadine non sono più, nelle condizioni di stabilità politica e di sicurezza civile assicurate da Guglielmo II, strumento di difesa, ma sostegno fisico all'edificazione di nuove costruzioni e dato di riferimento topografico non delimitante nettamente i confini esterni del centro urbano, che va allargandosi al di là di esse, dando vita a nuovi quartieri ed a nuove vie di accesso alla città e di comunicazione con l'entroterra.
In questa struttura economico-sociale, in cui coesistono attività commerciali e fenomeni di ruralizzazione della città, sopravvive un ceto burocratico-notarile di matrice bizantina che non è riuscito a integrarsi del tutto, pur conservando un certo prestigio culturale ed i segni esteriori dell'antica posizione sociale e politica.
Durante il governo federiciano nei documenti baresi notiamo un aumento del numero dei quartieri (vicinia): ci è pervenuta la denominazione di una quindicina di essi, che dovevano però essere una ventina, e dunque di estensione piuttosto contenuta. Tali quartieri prendono generalmente il nome dalla chiesa più prossima: il sistema di orientamento cittadino appare fondato sugli edifici religiosi.
Da nord a sud i quartieri noti di Bari sveva sono:
San Pietro maggiore, presso il muro settentrionale che difende la città dal mare;
Santa Maria Maliconsilii, vicino alla quale è la chiesa di Sant'Angelo de judice Elephanto;
San Gregorio, già de kiri Adralisto, ed ora detto de mercatello;
San Giorgio degli Armeni;
San Nicola maggiore; presso la basilica è un hospitale o ospizio per i pellegrini e un cimitero; altre due chiese prendono nome dal santo e cioè San Nicola dei Greci presso la porta vetus, e San Nicola del Porto;
San Marco, che dà il nome al quartiere dei veneziani tra la basilica e il porto;
San Teodoro, che all'inizio del secolo XIII è già all'interno delle mura;
San Tommaso apostolo, di difficile localizzazione;
Sant'Angelo de Bambacaria, al limite sudorientale della
Giudecca;
Santa Maria de kiri Johannacio, a sud della Giudecca e presso le mura (forse l'attuale San Giuseppe);
Vicinia porte veteris, l'antico quartiere presso la porta occidentale (detta più tardi anche porta castelli per la prossimità del ricostruito castello), in prevalenza abitato da famiglie di lontana origine greca;
Vicinia petremale, cioè di Pietramala, il quartiere in espansione a sud di San Marco e di San Teodoro, attraversato da una via publica che forse parte dall'antica porta domnica della corte del catapano e punta verso sud, cioè verso Carbonara e Ceglie;
Vicinia maris de guarangha o locus qui dicitur mare de guarangha sono denominazioni che appaiono tra il 1242 ed il 1252: si può ipotizzare che il quartiere, che è ricordato intus le mura, prenda nome dai Varangi o Vareghi o mercenari di origine orientale, ma è difficile localizzarlo: forse è da porre tra la Ruga Francigena e la costa rocciosa orientale, intorno all'antica chiesa di Santa Pelagia;
Vicinia aquarie o "quartiere della cisterna": può trovarsi dovunque all'interno delle mura, ma un riferimento a Santa Scolastica fa supporre una localizzazione nella parte più settentrionale della città; presso la chiesa o ad occidente di Santa Maria.
Questi quartieri o vicinati non sono soltanto punti di riferimento topografici, ma anche (in certa misura) aggregati sociali ed etnici. Pietramala, appare caratterizzata dalla presenza di giudici e notai, mentre la zona in espansione tra la Ruga Francigena e Sant'Angelo di Bambacara ospita un numero sempre maggiore di mercanti ed artigiani. E come intorno a San Giorgio già da tempo vivono famiglie di origine armena, tra San Nicola maggiore, il porto e la cattedrale vivono famiglie venete.
Ma la basilica e la cattedrale rimangono i due poli religiosi ed urbanistici della città in questo sistema di quartieri, che intorno ad essi sembrano disporsi in una linea sinuosa che parte da San Pietro e giunge alla porta vetus. Di questa struttura urbana costituiscono la cerniera il porto e il castello, anche se l'espansione verso sudest sta ponendo le premesse di un capovolgimento del fronte urbanistico.
Oltre alla porta vetus e, verso la metà del secolo XIII, alla porta castelli (che può essere la stessa ma anche una nuova a nord della vetus e più prossima al castello), i documenti privati testimoniano una porta di Santa Lucia, aperta a est della vetus per dare accesso al nuovo quartiere che si va formando a sud della Giudecca. È dal luogo di questa porta che la cinta delle mura cittadine si sta allargando dall'età normanna in poi, inglobando il quartiere di Pietramala sino a Santa Pelagia. Dopo la metà del secolo l'asse di sviluppo della città si è ormai spostato sulla Ruga Francigena, che appare abitata da personaggi di elevata condizione sociale, tra i quali diversi giudici. I terreni e le abitazioni su questa via aumentano di valore. Bari è ormai al vertice di un sistema stradale che la collega, per Fesca e Giovinazzo, alle città della costa nordoccidentale; per Modugno e Bitonto, a Napoli (Modugno è collegata anche a Bitetto e a Ceglie); per Carbonara, a Ceglie ed oltre; per Gioia del Colle, a Taranto; poi a Noicattaro, Rutigliano e Putignano; e lungo la costa sudorientale a Brindisi.
L'articolazione etnica della popolazione di Bari è abbastanza ricca, e comprende numerosi immigrati: Veneti, Pisani, Romani, Sorrentini, Salernitani, Calabresi, Siciliani; e così l'articolazione sociale, specie dei ceti medi, che comprende cavalieri, giudici, chierici, chirurghi, medici, armatori, mercanti, importatori, cambiavalute (molti), esecutori testamentari, e poi fornai, sarti, fabbri, bottai, falegnami, calzolai.
A Bari e nel suo entroterra agricolo nella prima metà del secolo XIV, la crescente insicurezza della vita delle campagne favorisce l'inurbamento. Ma ciò non porta ad un aumento della popolazione urbana per la generale decadenza demografica che si verifica nella regione. La città di Bari estende la sua area urbana, ma appare meno densamente popolata: si accentua cioè il fenomeno di ruralizzazione di cui si sono avuti segni sensibili in età normanna e sveva.
Dai documenti si ricava che il sistema di riferimento delle proprietà urbane rimane fondato sui vicinia, il cui numero appare pressoché raddoppiato rispetto all'età sveva. Pur tenendo conto dello spostamento delle mura di cinta, essi sono dunque ancor meno estesi, segno eloquente di una frammentazione della vita cittadina e di uno sgretolamento del tessuto sociale. Questi quartieri continuano a prender nome soprattutto dalla chiesa più vicina, ma non esclusivamente: oltre quello che prende nome dalla vecchia Ruga Francigena, altri prendono nome da famiglie o persone, come vicinia illorum de Malerba e vicinia Iacobi Paysani (solo dalla seconda metà del secolo XIV in poi). Un fatto nuovo in questo periodo è l'estendersi della connotazione artigiana di alcuni rioni e di alcune vie: vicinia cordoanerium (cordai), ruga corbisenorum (cestai), ruga confectariorum (confettieri), ruga pannorum (venditori di tessuti, presso la chiesa di San Clemente). Il movimento d'immigrazione in Bari in età angioina presenta un quadro complesso: innanzitutto i personaggi di nome francese (come Pietro de Augeriac, tesoriere del duomo) immigrati al seguito del nuovo regime come funzionari regi o cortigiani feudali o appartenenti al clero; poi persone e famiglie di più modesta collocazione sociale: mercanti, soprattutto veneziani (come Pascalis Boccia nel 1360 circa), e fiorentini interessati ad investire capitali nel commercio dell'olio, ma anche spoletini e pisani. In secondo luogo l'immigrazione, ancor più interessante dal punto di vista della mobilità di famiglie e persone, da località vicine, come Monopoli, Modugno, Casamassima.
Questo fenomeno di inurbamento è però nel suo complesso di natura diversa da quello verificatosi in età normanno-sveva: fenomeno fondamentalmente positivo di promozione e di articolazione sociale quello; fenomeno negativo di fuga, rifugio, sfruttamento, parassitismo questo. Il quartiere ebraico, tra la cattedrale, Pietramala e Sant'Angelo de Bambacara, sino al secolo XIII in posizione periferica, viene a trovarsi ora al centro della fascia in espansione. In esso la cattedrale ha ancora notevoli interessi immobiliari, ma in seguito alle conversioni in massa dei suoi abitanti dopo il 1300 e le relative donazioni di beni, aumenta nel quartiere l'influenza economico-finanziaria di San Nicola. I nomi ebraici, molto frequenti prima del 1300, si rarefanno notevolmente dopo questa data, anche se intorno al 1340 esiste ancora una sinagoga. Il quartiere sembra mutare la sua toponomastica: la via principale, una volta detta Iudeca, nel secolo XIV si chiama Ruga nova ed anche Ruga neophitorum. Ed alcuni di questi neofiti si integrano sino a diventare canonici del duomo o di San Nicola.
In età angioina la città si è dunque ampliata, come risultato delle spinte economiche e sociali dei periodi normanno e svevo, ma la nuova situazione del regno, con la feudalizzazione delle strutture politiche e l'asservimento finanziario a gruppi di potere economico esterni, ha portato ad una recessione che investe i fenomeni urbani a diversi livelli: demografico, edilizio e produttivo.
In età aragonese il suburbio barese sembra essersi ristretto a località non molto lontane dalla città; gli scambi limitati alle necessità di sopravvivenza; l'area urbana sostanzialmente immutata rispetto al periodo angioino: si è fermata la spinta espansiva iniziata dalla costruzione della basilica di San Nicola. Il perimetro raggiunto verso la metà del secolo XIV rimarrà fermo fino ai primi anni del secolo XIX.
I soli mutamenti di rilievo nell'aspetto fisico della città saranno, all'inizio dell'età moderna, lo spostamento del porto da nordovest a sudest (l'attuale "porto vecchio"), in un'ansa più vasta della costa ed in asse con la nuova direttrice di sviluppo urbano che parte dalla corte di San Nicola ed attraversa Pietramala; e, soprattutto nei secoli XVII e XVIII, il progressivo colmarsi dei vuoti nei quartieri sudorientali della città, specie con la costruzione delle chiese barocche come quella di Santa Teresa dei Maschi e quella dei Gesuiti.
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