Oggi è possibile, con qualche attendibilità, immaginare di ricostruire virtualmente la città di pietra fra i secoli X e XII, periodo in cui, nell'ambito della storia politica e militare, si parla di Bari bizantina e poi normanna. Atti privati, relativi ad abitazioni appartenenti ad un ceto medio di titolari di beni immobili e di rendite agrarie, e costruite perciò con materiali meno deperibili del legno, suggeriscono l'immagine di complessi edilizi fortemente integrati per muri in comune ed archi che reggono altre costruzioni, e di vie molto strette sulle quali incombono sporgenze (come balconi aperti o murati) che tendono a toccarsi o a sovrastarsi. E ciò malgrado ci siano corti, orti e giardini che si insinuano tra questi complessi edilizi. È altresì verosimile, anche se non documentata nelle fonti, la presenza di aree coperte da un tipo di abitazioni più modeste, costruite con materiali deperibili o con tecniche costruttive più economiche, come il legno o pietre non squadrate tenute insieme da fango.
Nel X secolo le abitazioni private sono modeste e di semplice struttura, provviste di solaio e di una piccola corte dotata di pozzo. Sono spesso edificate addossandole le une alle altre: quando il proprietario di una casa già esistente concede a qualcuno la facoltà di costruire utilizzando una parte della sua proprietà, stabilisce nel contratto che ciò avvenga senza danneggiare il muro e senza aprirvi aperture, e comunque in modo che il canale di scolo delle acque piovane sia orientato sulla casa da costruire.
In un contratto del 992 due casili (in genere tipi di abitazione, ma talvolta anche spazi liberi da utilizzare per attività edilizie) sono affidati ad un magister costruttore perché, nel tempo massimo di sei anni, vi costruisca due case in pietra e calce (materiali da costruzione ritenuti più durevoli) e con un tetto con struttura lignea. Una rimane al costruttore con metà della corte comune, l'altra va ai committenti (due fratelli di Giovinazzo che vogliono trasferirsi a Bari), con diritto di scelta.
Un documento del 1010 parla di un casile paleario fundamentato (generalmente i pagliai non avevano fondamenta), con hostia sua e tectumina sua, dotato di una terrula con pozzo, sul quale per accordo fra le parti vige l'uso comune. Si decide di chiudere una porta che è stata aperta nel pagliaio, impiegando pietre e fango (petre et luto). Qualora la controparte voglia costruire una casa sul lato posteriore del pagliaio, lasci tra la prima ed il secondo un passaggio (stricta) largo due piedi, nel quale cadano le acque dei canali di scolo dei due contraenti. Nel documento si parla anche di un viridario in comune, e di un'abitazione a pianterreno di una sola stanza coperta con assi di legno.
Nelle aree residenziali della città, che appaiono caratterizzate da spazi ristretti e da una densità demografica relativamente alta, nascono problemi quando due o più abitazioni hanno un muro in comune ed una di esse è più alta delle vicine.
A conclusione di una controversia, il magister Maione ottiene che il mercante Porfiro suo vicino, che abita in una casa presso la chiesa di San Giorgio e di fronte alla sua, non costruisca balcone o altro che sporga sul suo guaypho (un aggetto di una costruzione, retto in genere da travi di legno, sul quale si costruiva in varie maniere, sì da ottenere un balcone o una veranda o una stanza; l'esigenza di guadagnare spazio portava spesso il proprietario di un guaypho a toccare o sovrastare le costruzioni altrui).
Secondo un documento del 1047, due fratelli, Maione e Maraldo, si dividono casa e corti che sino a quel momento avevano tenuto in comune; si parla di una casa vetere orreata maiore (in cui continuerà a vivere la loro madre Gemma) con scala di accesso in pietra, e di archi che la uniscono ad una casa di recente costruzione (casa noba), all'interno della quale sarà inserito un muro divisorio in pietra e calce dal piano terra al tetto; viene divisa anche la corte che è in comune; sarà costruito da Maione un altro arco sul quale potrà sopraelevare un muro; viene regolato anche in questo caso il deflusso delle acque.
È significativa la frequente preoccupazione allo smaltimento delle acque piovane o di fogna, problema che costituisce motivo di controversie tra vicini.
Nel 1026 un tal Nicola vende la parete laterale di un pagliaio e stabilisce che il compratore Porfiro può abbatterla e riedificarla, per costruirvi una casa a più piani che abbia tante finestre ed aperture quanti sono i piani, purché la parete laterale ricostruita non abbia aperture; deve comunque evitare che si getti aqua nec suzzinem nella curticella, e deve impegnarsi a costruire un canale che raccolga l'acqua proveniente dal tetto costruito su quella parte comune.
In un documento del 1034 si parla di un tal Calocuri che ha edificato la sua abitazione; a causa di un muro in comune alla casa di certi Gaudio e Pietro cade acqua dal tetto del primo sul tetto della casa di questi ultimi; il compromesso tra i contendenti prevede che Calocuri si impegni a dirottare l'acqua dal guttale che è sul muro comune in modo che essa cada sulla via.
Nel 1101 una curticella dinanzi alla casa di un tal Giovanni ed alla relativa scala d'ingresso è vicina all'abitazione di alcuni cittadini oriundi di Grumo e a quella di un tal Bisanzio che vi getta stercum et rimatum (remmàte nel dialetto barese ancor oggi).
Nel 1104 una contesa legale fra due cittadini baresi: Tubaki lamenta che Petracca ha ampliato arbitrariamente la sua casa costruendo un altro piano sovrastante il muro di cinta della città nei pressi della porta vetus e della chiesa di San Procopio, dinanzi alla casa del primo, allargando questo piano con un guaypho sul quale ha aperto un balcone; da questo piano abusivo l'acqua di scolo cade sulla chiesa e sulla casa del querelante (tipico caso di sfruttamento intensivo del suolo urbano anche a danno dei vicini).
Sempre dai documenti privati della fine del secolo X è possibile ricavare la pianta schematica di una casa orreata (ovvero a più di un piano ed abitazione tipica del ceto medio): affaccia a nord sulla via pubblica, è confinante ad est e ad ovest con altre due case private, ma grazie ad uno stretto passaggio l'ingresso è a sud, nella corte comune; al piano superiore ed alla soffitta si accede da una scala esterna posta nella corte.
Un documento del 1033 parla di una casa con soffitta, con la corte dinanzi, con porte e scala di pietra, sotto la quale è una piccola porta ad arco e sopra la quale sono due travi sulle quali si vieta di costruire edifici di qualsiasi genere. Nella corte va costruita una fossa che raccolga le acque della casa del contraente, ma senza sterco et suzzinem.
In un atto di divisione di beni tra due fratelli del 1048 si parla di una grande casa con balcone che dà sull'orto e con la porta d'ingresso, dotata di scala in pietra, nella corte a mezzogiorno; e più oltre si parla di un'altra casa presso la chiesa di San Giovanni, che ha un orto recintato; i due fratelli si accordano per aprire con spesa comune una porta sotto una vecchia scala per farvi passare buttes et tractoria e per scavare una cisterna (aquaria) nella corte comune per la raccolta dell'acqua piovana.
Ancora la struttura edilizia di abitazioni private emerge da un documento del 1085. È venduta una casella terranea che ha dinanzi una curticella e l'ingresso in comune con un'abitazione attigua, ingresso che si apre in una corte che ha la cisterna e il pozzo (aquaria e puteo). La casa ha alle sue spalle una stricta (vicoletto) che la separa da una casa diruta del proprietario della stessa casa venduta, ed in cui cadono le acque di scolo della medesima e della casa attigua.
Se nel secolo XI (sino al 1071) il centro del potere politico (bizantino) è nel pretorio imperiale e la sede del potere religioso è nell'episcopio, nel secolo XII (sotto la monarchia normanna) la struttura urbana di Bari si definisce intorno al castello ad ovest (potere politico) e ai due grandi poli religiosi della cattedrale e della basilica di San Nicola.
È opportuno ricostruire le vicende dell'abitare dei baresi, in vita e in morte, entro e fuori le mura, seguendo la cronologia dei documenti.
Nel 1086 è donato alla chiesa di San Giovanni apostolo ed evangelista un terreno vicino alla corte del catapano e a nord della stessa chiesa, con la clausola che il donatore sarà sepolto in una sepultura solariata (sepolcro coperto), nella parte occidentale di quel terreno.
Nel 1091 circa il mercato principale della città è circondato da case in gran parte di una sola stanza, evidentemente botteghe.
Grimoaldo Alferanite è proprietario di alcune case in vicinia carceris, in un rione solcato da un canale (carabum).
Nel 1100 il giudice civile barese (critis barinorum) risiede nella corte del duca normanno (nel castello sul porto), e lì invita parti in causa e testimoni.
Nel 1102 una domus orreata provvista di corte, scala in pietra e lastrico solare, già di proprietà di un artigiano, Nicola magister planellarius, si trova presso la porta del monastero femminile di Santa Scolastica, al quale viene donata.
Nel 1103 un tal Nicola armatore (nauclerius) fa testamento: possiede parte di una nave; cinque servi da liberare dopo la sua morte, alcune vigne fuori città, due case fuori città, due case entro le mura in vicinia de Arcoleonis, parte di una casa nel quartiere della porta occidentale, parte dell'orreum di una casa. Alcune di queste proprietà sono lasciate pro anima alla basilica di San Nicola. È interessante il legame tra rendite agricole e investimenti in attività marinare.
Nel 1104 sono vendute tre botteghe monolocali nel mercato di frutta e verdura presso la chiesa di San Martino (probabilmente nell'odierna strada Albicocco).
Nel 1107 una casa fornita di una stanza con camino, di scala di pietra, di porte, balconi e terrazza pavimentata è sita nei pressi del porto, ed è vicina a due soffitte a forma di torre (probabili depositi).
Nel 1108 Goffredo da Gallipoli, catapano di Bari (titolo bizantino sopravvissuto in età normanna), per l'autorità concessagli da Boemondo principe di Antiochia di disporre dei beni a lui appartenenti in Bari e Giovinazzo, dona a Fulcone, notaio della corte normanna barese, in compenso dei servigi resi al principe, un casalinellum sito nella Giudecca e non lontano dalla chiesa di San Leone.
Durante le cruente lotte fra fazioni cittadine nel decennio 1120-1130, testimoniate dal continuatore dell'anonimo barese, si accenna spesso a torri a diversi piani (orrea) che appaiono come roccaforti delle famiglie più potenti, torri che vengono espugnate con lunghe scale di legno ed abbattute in tutto o in parte, torri che spesso sono molto vicine fra loro. Uomini della stessa condizione sociale e che hanno gli stessi interessi da difendere si aggregano nel medesimo quartiere (vicinia), che prende il nome da un dato topografico (Arcoleonis, porte veteris) ma anche da una famiglia potente (in vicinia de Alfaranitis). Nel corso di queste lotte le soffitte a forma di torre diventano strumenti di difesa e di offesa; le abitazioni si raggruppano intorno a una corte, che ha il suo pozzo e il suo viridarium: minuscole isole quasi autosufficienti nei momenti di turbamento e di pericolo.
Anche le chiese, spesso costruite da privati, sono legate al quartiere, al vicinato. Alcune di esse assumono il nome del capo fazione o della famiglia potente (San Gregorio diviene de kiri Adralisto, Santa Maria de kiri Johannacio) mentre altre prendono nome dagli artigiani che lavorano presso di esse (Sant'Angelo de Bambacaria).
Nel 1167 troviamo ben tre case dirute nel quartiere della chiesa di Sant'Angelo, "che è detta Deodata" (già testimoniata nel 1148, e impossibile da localizzare): una donna barese, Savina, vende per bisogno una casa diroccata che confina ad oriente e ad occidente con altre due case dirute appartenenti alla chiesa suddetta, le tre case hanno a sud una stricta comune e a nord un cortile con pozzo e cisterna.
Nel 1180 un certo notaio Bisanzio possiede alcune case nei pressi della cattedrale e vicine all'abitazione di un altro notaio, Lazzaro. Bisanzio vuole abbandonare la città per andare a studiare presso la scuola giuridica di Bologna, e prima di partire fa testamento, dal quale si apprende che possiede oliveti e frantoi fuori città.
Le dinamiche delle rendite fondiarie per terreni agricoli ed edificati si possono intuire dai pochi dati a disposizione. Cento soldi michalati milati (somma davvero ingente) sono pagati nel 1089 da Elia, rettore di San Nicola in costruzione, per due case terranee presso la chiesa di San Gregorio (chiamata de Kiri Adralisto), di un casile e di tre quarti della corte e del pozzo: per far spazio alla basilica si sostiene uno sforzo finanziario eccezionale. Nel 1091 metà della chiesa di San Giovanni apostolo ed evangelista e dei beni da essa dipendenti (case con soffitta, terrazze scoperte) vale ben 223 michalati milati maiuri. Nel documento si accenna al viridarium con un fico che si trova in una corte della chiesa, caso esemplificativo di numerosi orti e giardini all'interno delle mura cittadine. Negli atti di divisione legale delle abitazioni baresi il viridarium è parte integrante dell'abitazione.
Nel 1135 un documento parla dell'acquisto di due case presso la chiesa di San Teodoro martire, effettuato da un certo Melo armatore per una somma notevole: 1050 miliareni de ramesinis; e ci dice che un gaifum della maggiore delle due case è costruito su travicelli veteri che si trovano sulla parete della casa rivolta a mezzogiorno, travicelli che misurano in lunghezza 4 piedi (cioè metri 1.32 se ogni piede, calcolato su punti di riferimento dello stesso documento, misura 0.33 m).
Nel 1151 una casa orreata è venduta da un armatore ad un fabbro (vicino alla casa di un altro fabbro) per 96 soldi d'oro regi; la casa è situata in vicinia episcopii e sembra si affacci sul lato nord della piazza della cattedrale: ha scala di pietra esterna, cisterna propria ed un balcone sporgente dal piano superiore.
L'usuraio Felice de Tasselgardo presta discrete somme di denaro nel 1153, nel 1174, nel 1177, ed acquista vigne fuori città nel 1184 per un valore di 10 once e mezzo di tarì d'oro: i profitti dell'attività di usura vengono investiti in beni fondiari. Nel 1189 Felice prende in fitto una casa magna per 11 once di tarì d'oro, obbligando per contratto il proprietario (in un'altra casa del quale Felice già abita) a demolirla e a ricostruirla secondo i desideri del futuro inquilino (strutture interne in legno di frassino, scala lignea, balconi, porta principale e piccola porta di servizio). La casa è diventata status symbol.
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