La capanna di pietra:lu truddu’

 

Gli archètipi della ‘capanna di pietra’ sono stati individuati nella ci­sterna, per ciò che attiene allo spazio interno, e nel cumulo, per l’immagi­ne figurativa esterna.

Il cumulo e ‘lu truddu' entrambi nati dall’accumulo di pietre divelte dal terreno, sono dunque ‘caverne artificiali’  che, in alcuni casi, assolvono anche alla funzione dello stillicidio e dello sgocciolio proprio delle cavità carsiche; in altri raccolgono l’acqua delle falde del tetto mantenendo all’in­terno un ambiente asciutto e fresco, abitabile.

Lu truddu’, come ogni architettura, spontanea e non, è fatto di spazi interni ed esterni, per questo bisogna guardare la sua interezza strutturale per comprenderne il significato più vero.

L’impianto planimetrico non può così passare in second’ordine, soprat­tutto nel momento in cui si ha a che fare con una tecnica costruttiva basata sulla pietra posta in opera senza leganti e senza centine. Esiste inoltre una relazione tra forme geometriche e grado di sviluppo della società.

Il cerchio rappresenta il limite formale cui si adegua una società negli stadi più primitivi del suo sviluppo e, in parallelo, l’impianto circolare è tipico degli edifici più antichi e rozzi. Ciò è confermato dalla maggiore semplicità costruttiva delle strutture a ‘tholos’, ma non mancano esempi, soprattutto nel nostro Salento, in cui il costruttore del riparo trulliforme in pietra a secco usa la sagoma circolare per definire esternamente un impianto quadrangolare, anche se egli ha raggiunto un livello più evoluto.

Il quadrato risolve i problemi di spazio in maniera più razionale, anche se all’interno del riparo non c’è stato certo da sistemare un particolare arredo. Forme e funzioni, in queste particolari manifestazioni edilizie, vanno viste anche in termini di economia di tempo e di lavoro; una volta ottenuto l’ambiente interno di forma quadrata o rettangolare, il costruttore adotta per il muro perimetrale esterno la forma circolare perché più semplice e staticamente più sicura. Con il cerchio esterno si è realizzata dunque, una seconda cupola concentrica a quella interna assorbendone di questa tutte le spinte in maniera uniforme .

Un accorgimento importante, questo, che media le esigenze formali economiche ed anche magico - religiose: il cerchio è la forma più naturale, interpretazione istintiva del cosmo.

Le stesse idee che presiedevano alla forma rotonda deltruddu’ si sono conservate, con le dovute trasformazioni del tempo, anche quando ha assunto la facies quadrata. Così la costruzione a pianta quadrangolare ritrova nella copertura in aggetto la circolarità perduta.

Il raccordo tra muratura di base e la cupola si risolve mediante quattro pietre sporgenti in pietra dagli angoli che forniscono l’avvio all’arrotondamento progressivo degli anelli che chiudono la costruzione fino all’occhio finale. Quest’ultimo viene chiuso con una grossa pietra che nella maggior parte dei casi, presenta una croce, spesso dal disegno elegante e dalle forme più svariate. Si stabilisce così quel legame tra cielo e terra, a cui il contadino affida tutte le sue speranze per una pioggia benefica, per un ricco raccolto, per la fecondità della terra e della sua donna.

La presenza di terra nelle coperture di costruzioni in pietra a secco fornisce protezione dal calore estivo e, in certa misura, dall’acqua tratte­nuta dal terreno erboso e dalle scaglie di pietra sottostanti. E’, comunque, l’intercapedine che costituisce un’autentica camera d’aria che isola termicamente l’ambiente interno.

 

 

 

Il trullo: segno e/o simbolo

 

L’esito dialettale dal greco è la voce truddo con suono cacuminale della doppia d, che ha anche una variante corrotta con caduta della t nella campagna di Muro Leccese e di S. Cesarea, dove Battaglia sentì pronunciare ruddo. Un’alterazione fonetica, che in vero non ho potuto verificare ma che comunque non intacca la sfera semantica dell’idea di circolarità, che potrebbe essere rappresentata dal “rullo”. Interessante è la diramazione semantica della voce calabrese “truddu” col significato di “bica di grano in forma di cupola”.

Nel Salento sono state registrate le voci truddu, trudde, tròdduri; col signi­ficato di capanna o casa di forma conica con pietra a secco, e con l’altro di trottola.

La parola  trullo va dunque re­cuperata nelle zone interessate (Murgia pugliese, Salento e Calabria meridio­nale) con la coppia semantica “casa a cupola” - “spiga di grano a cupola” per la relazione diretta di ordine storico-antropologico fra le due cose significate e per la simbologia magico-religiosa che dai singoli significati viene conferma­ta e potenziata al significate, la cupola. La quale ha in sé un altissimo e va­stissimo potenziale simbolico che si ritrova in atto nel realismo del lavoro contadino e ha la sua più compiuta corrispondenza nella concezione circola­re del tempo contadino.

Il lat. trullus “come nome di una sorta di cappella con cupola” rappre­senta la fase di cristianizzazione dell’idea magica che attribuisce alla forma geometrica del cerchio la forza di delimitare uno spazio sacrale che protegge, propizia, difende. Tale simbologia ha potuto attrarre anche in epoca recente quei segni/simboli che si trovano, forse con minore varietà e con più basso livello di antichità di quanto si è voluto registrare, dipinti a calce sulla pseu­do-cupola : essi hanno un significato magico prima che cristiano e, comun­que, ciò che più conta, hanno un valore essenzialmente e forse esclusivamen­te grafico, in quanto imprimono alla costruzione a secco una gestualità orale, al di fuori delle stesse categorie del magico e del religioso. Ma è questione da discutere a parte.

La stessa forza è riservata alla forma del quadrato nelle leggende di fon­dazione degli edifici e delle città (si pensi al quadrato delimitato da Romolo e Remo per la fondazione di Roma). Di qui la forza che assume la base quadra­ta del trullo sotto la cupola forza che si riflette nel modo di dire registrato a Calimera stei sa’truddhi “sta duro come trullo” . Anche la connessione senza calce, per spigoli e angoli, delle “chiancarelle” risponde a un ideale di mag­giore comunicabilità tra la base e il vertice, tra l’esterno e l’interno.

Non si pensi, tuttavia, neppure lontanamente di poter trasferire sic et sim­pliciter sul piano spirituale delle concezioni architettoniche la costruzione dei trulli. Questa trova una giustificazione pratica nel tipo di roccia calcarea che si trova nella Murgia pugliese e nel Salento, come in Grecia, in Spagna e in Irlanda, e che si presta più facilmente al taglio in poligoni irregolari so­vrapponibili. Da ciò la poligenesi di tale tipo di costruzione a secco e lo sviluppo di nuove forme anche in aree culturalmente differenziate. L’omogeneità geografica per i prodotti materiali, rispondenti a bisogni di vita e di la­voro, conta forse più della omogeneità culturale e, comunque, questa s’inne­sta su quella, non viceversa, e ne determina la maggiore e più continuativa diffusione in una stessa area. L’unità/varietà della cultura popolare è dovuta al concorso, in misura variabile, di fattori naturali e culturali. I primi preval­gono nelle tipologie abitative, le quali, nel quadro dell’Europa moderna, “ri­corrono” in relazione con le “condizioni ambientali che le richiedono” e Burke adduce come esempio proprio “la casa di pietra pugliese, o “trullo” ”, che “è stata  a lungo ritenuta unica, sebbene esistano dei paralleli in Spagna e in Irlanda”. L’utilizzo delle pietre divelte dal terreno roccioso per l’impianto delle colture risponde a un principio di economicità propria della cultura contadina,  che paragonerei, per via funzionale, all’utilizzo completo per bisogni diversi di tutte le parti del maiale ucciso. Retaggio di una concezione pri­mitiva nella cultura contadina è la identificazione o inseparabilità fra sacro e economico.

Questo rapporto simbolico fra significante e significato della parola, fra la parte e il tutto della cosa, e quindi fra parola e cosa, si è perduto a livello dotto proprio per la separazione fra i due piani di attività umana spirituale e materiale. Il termine trullo viene usato genericamente per delimitare la singolarità di una forma di costruzione che appare diversa rispetto alle altre forme di case rurali: singolarità come diversità antropogeografica di una intera zona territoriale che viene appunto chiamata ‘Murgia dei trulli”. È’, certo, una delimitazione utile e forse paesaggisticamente necessaria, ma antropolo­gicamente rischiosa, com’è, del resto, rischiosa ogni delimitazione che riduce in profondità dell’uguale e del diverso.

Maggiore osservanza del nesso parola-cosa riscontriamo a livello popolare, dove la voce truddo “ viene adoperata solo per indicare la cupola conica in aggetto, vale a dire la parte che corrisponde al “trullo” vero e proprio, all’originaria capanna monocellulare a falsa cupola”, mentre per l’intera costru­zione è prevalso il nome comune casedda, con una costellazione di varianti locali che Moschettini considerava seriori e che mi sembra più giusto, filologicamente, considerare parallele se non  anteriori a  casedda per una maggiore corrispondenza del significato della parola alla funzione della cosa, come pajaru (Bari, Brindisi, Lecce), furnieddu (da Gallipoli a Capo di Leuca), suppina (lat. *subpinnium), umbracchiu (lat. umbraculum “riparo”, “ricovero”), laddove  casedda appartiene alla fase in cui il trullo da ricovero è diventato abitazione permanente, ossia alla fase più evoluta, che rappresenta, secondo la successione cronologica più accettabile, la terza forma del trullo, quella tipologicamente composita dei trulli di Alberobello.

Queste distinzioni di funzioni che il linguaggio popolare rispecchia rica­dono sul rapporto uomo-parola e uomo-casa (l’uomo come comune denominatore del rapporto parola-cosa). Il trullo è parola che indica un prodotto e un modo di costruzione. Nel linguaggio riferito alla casa e ai suoi problemi, che è stato registrato tra i contadini di Alberobello, ricorre l’espressione co­struzione a trullo”. Questa è, dunque, una tecnica e come tecnica passa attra­verso la tradizione orale dei trullari. Così si recupera la centralità dell’homo la­borans nella radicale convergenza delle funzioni.

Il trullo è, comunque, segno/simbolo etnologicamente del cielo culturale della lavorazione della pietra e storicamente della civiltà mediterranea.

Questa lontana distanza temporale e ampia dimensione
Trullo spaziale di segno /simbolo, che si misurano attraverso l’analisi comparativa, apparentemente si accorciano e restringono se riflesse in un’area minore, regionale o, più esattamente, sub-regionale; in compenso ne emergerà con maggiore eviden­za il contesto del segno/simbolo nei confini di una territorialità più control­labile.

Segno, dunque, di un territorio ben delimitato, in cui la conformazione geologica, l’economia agraria, le tecniche lavorative, gli attrezzi agricoli, i rapporti di produzione, il sistema di vita, la struttura della famiglia sono tutti elementi interagenti, che concorrono a restituire alla cultura contadina, ri­spetto alla quale il trullo si pone non come soggetto unico ma come un referente da contestualizzare, quella dinamica storica che essa possiede e richie­de.­

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