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VITA DI FRATE GINEPRO

Origine e redazione della Vita.

Paragrafo da inserire.

Il testo originale italiano.

Indice della Vita

La trasposizione cinematografica.

Nel 1950 Roberto Rossellini, dirigendo il film Francesco giullare di Dio, ha narrato alcuni episodi della Vita di frate Ginepro. Sono disponibili tre clip del film in streaming audio-video, corrispondenti a:
  1. CAPITOLO I - Come Frate Ginepro tagliò il piede ad uno porco, solo per darlo a uno infermo.
  2. CAPITOLO III - Come, a procurazione del Demonio, Frate Ginepro fu giudicato alle forche.
  3. CAPITOLO X - Come Frate Ginepro fece una volta cucina ai Frati per quindici dì.
Vedi anche le clip corrispondenti agli episodi dei Fioretti di san Francesco.

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Vita di Frate Ginepro

Incomincia la Vita di Frate Ginepro.

CAPITOLO I.

Come Frate Ginepro tagliò il piede ad uno porco, solo per darlo a uno infermo.
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Ginepro e il porco: clip in streaming QuickTime Francesco giullare di Dio, regia di Roberto Rossellini, 1950.
Come fra' Ginepro tagliò il piede ad un porco per darlo a un frate infermo.
Clicca sul fotogramma per vedere la clip del film in streaming audio-video.
Requisiti: QuickTime 5 o superiore; collegamento a banda larga (300 Kilobits/s). Get QuickTime

Fu uno degli elettissimi discepoli e compagni primarj di Santo Francesco, Frate Ginepro, uomo di profonda umiltade, di grande fervore e caritade; di cui Santo Francesco, parlando una volta con quelli suoi santi compagni, disse: Colui sarebbe buono Frate Minore, che avesse così vinto sè e 'l mondo, come Frate Ginepro. Una volta a Santa Maria degli Angeli, come infocato di caritade di Dio, visitando uno Frate infermo, con molta compassione domandandolo: Possoti io fare servigio alcuno? Risponde lo 'nfermo: Molto mi sarebbe grande consolazione se tu mi potessi fare che io avessi uno peduccio di porco. Disse di subito Frate Ginepro: Lascia fare a me, ch'io l'averò incontanente, e va, e piglia uno coltello, credo di cucina; ed in fervore di spirito va per la selva dov'erano certi porci a pascere, e gittossi addosso a uno, e tagliagli il piede e fugge, lasciando il porco col piè troncato: e ritorna, e lava e racconcia e cuoce questo piede: e con molta diligenzia, apparecchiato bene, porta allo 'nfermo il detto piede con molta caritade: e questo infermo il mangia con grande aviditade, non senza consolazione molta e letizia di Frate Ginepro; il quale con grande gaudio, per far festa a questo infermo, ripetiva gli assalimenti che aveva fatti a questo porco. In questo mezzo costui che guardava i porci, e che vide questo Frate tagliare il piede, con grande amaritudine riferì tutta la storia al suo signore per ordine. E informato costui del fatto, viene al luogo de' Frati, e chiamandoli ipocriti, ladroncelli e falsarj, e malandrini e male persone. Perchè avete tagliato il piede al porco mio? A tanto romore quanto costui facea, si trasse Santo Francesco e tutti li Frati, e con ogni umiltade iscusando i Frati suoi, e come ignorante del fatto, per placare costui, promettendogli di ristorarlo di ogni danno. Ma per tutto questo non fu però costui appagato, ma com molta iracundia, villania e minacce turbato si parte da' Frati, e replicando più e più volte, come maliziosamente aveano tagliato il piede al porco suo; e nessuna escusazione nè promessione ricevendo, partesi così iscandalizzato. E Santo Francesco pieno di prudenzia, e tutti gli altri Frati stupefatti, cogitò e disse nel cuore suo: Avrebbe fatto questo Frate Ginepro con indiscreto zelo? E fece segretamente chiamare a sè Frate Ginepro, e domandollo dicendo: Aresti tu tagliato il piede a uno porco nella selva? A cui Frate Ginepro, non come persona che avesse commesso difetto, ma come persona che gli parea aver fatta una grande carità, tutto lieto rispuose, e disse così: Padre mio dolce, egli è vero ch'io ho troncato al detto porco uno piede; e la cagione' Padre mio, se tu vuoi, odi compatendo. Io andai per carità a visitare il tale Frate infermo; e per ordine innarra tutto il fatto, e poi aggiunge: Io sì ti dico, che considerando la consolazione che questo nostro Frate ebbe, e 'l conforto preso dal detto piede, s'io avessi a cento porci troncati i piedi come ad uno, credo certamente che Iddio l'avesse avuto per bene. A cui Santo Francesco, con uno zelo di giustizia e con grande amaritudine disse: O Frate Ginepro, or perchè hai tu fatto così grande iscandalo? non senza cagione quello uomo si duole, ed è così turbato contra di noi; e forse, ch'egli è ora per la Città diffamandoci di tanto difetto e ha grande cagione. Onde io ti comando per santa obbedienzia, che tu corra dietro a lui tanto che tu il giunga, e gittati in terra isteso dinanzi a lui e digli tua colpa, promettendogli di fare soddisfazione tale e si fatta, ch'egli non abbia materia di rammaricarsi di noi; che per certo questo è stato troppo grande eccesso. Frate Ginepro fu molto ammirato delle sopraddette parole; e quelli attoniti stavano; maravigliandosi, che di tanto caritativo atto a nulla si dovesse turbare, imperocchè parea a lui, queste cose temporali ersere nulla, se non inquanto sono caritativamente comunicate col prossimo. E rispuose Frate Ginepro: Non dubitare, Padre mio, che di subito io il pagherò e farollo contento, e perchè debbo io essere così turbato, conciossiacosachè questo porco, al quale io ho tagliato il piede, era piuttosto di Dio che suo, ed èssene fatta così grande caritade? E così si muove a corso, e giugne a questo uomo, il quale era turbato e senza nessuna misura, in cui non era rimaso punto di pazienzia; e innarra a costui, come e perchè cagione al detto porco egli ha troncato il piede; e con tanto fervore e esultazione e gaudio, quasi come persona che gli avesse fatto uno grande servigio, per lo quale da lui dovesse essere molto rimunerato. Costui pieno d'iracondia e vinto dalla furia, disse a Frate Ginepro molta villania, chiamandolo fantastico e stolto, ladroncello, pessimo malandrino. E Frate Ginepro di queste parole così villane niente curò, maravigliandosi, avvegnaiddiochè nelle ingiurie si dilettasse: credette egli non lo avesse bene inteso, perocchè gli parea materia di gaudio e non di rancore; e repetè di nuovo la detta storia, e gittossi a costui al collo e abbracciollo e baciollo; e dicegli come questo fu fatto solo per caritade, invitandolo e pregandolo similmente dello avanzo, in tanta caritade e semplicitade e umiltade, che questo uomo tornato in sè, non senza molte lagrime si gittò in terra; e riconoscendosi della ingiuria fatta e detta a' questi Frati, va e piglia questo porco e uccidelo, e cottolo il porta con molta divozione e con grande pianto a Santa Maria degli Angeli, e diello a mangiare a questi santi Frati, per la compassione della detta ingiuria fatta a loro. Santo Francesco, considerando la semplicitade e la pazienzia nelle avversità del detto santo Frate Ginepro, alli compagni e alli altri circostanti disse: Così, fratelli miei, volesse Iddio che di tali Ginepri io n'avessi una magna selva!

CAPITOLO II.

Esempio di Frate Ginepro di grande podestà contro al Demonio.
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Imperocchè li Demonj non poteano sostenere la purità della innocenzia e profonda umiltade di Frate Ginepro, siccome questo appare in ciò; che una volta uno indemoniato, oltre a ogni sua consuetudine e con molta diversitade gittandosi fuori della via, con repente corso si fuggi per diversi tragetti sette miglia, e addomandato e avuto da' parenti, li quali il seguitavano con grande amaritudine, perchè tanta diversitade fuggendo avea fatta; ed egli rispuose: La cagione è questa; imperocchè quello istolto Ginepro passava per quella via; non potendo sostenere la sua presenzia, nè aspettare, io son fuggito infra questi boschi. E certificandosi di questa veritade, trovarono che Frate Ginepro in quella ora era venuto, siccome il Demonio avea detto. Onde Santo Francesco, quando gli erano menati gli indemoniati acciocch'eglino guarissono; se subito non si partivano al suo comandamento, diceva: Se tu non esci di subito di questa creatura, io ti farò venire contro a te Frate Ginepro; ed allora il Demonio, temendo la presenzia di Frate Ginepro, e la virtù e la umiltà di Santo Francesco non potendo sostenere, di subito si partiva.

CAPITOLO III.

Come, a procurazione del Demonio, Frate Ginepro fu giudicato alle forche.
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Ginepro alla forca: clip in streaming QuickTime Francesco giullare di Dio, regia di Roberto Rossellini, 1950.
Come fra' Ginepro fu giudicato alle forche e come la sua umiltà vinse la ferocia del tiranno Nicolaio.
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Una volta, volendo il Demonio far paura a Frate Ginepro, e per darli scandolo e tribolazione, andossone a uno crudelissimo tiranno, che avea nome Niccolò, il quale allora avea guerra colla Cittade di Viterbo, e disse: Signore, guardate bene questo vostro Castello, perocchè incontanente debbe venire qui uno grande traditore, mandato da' Viterbesi, acciocchè egli vi uccida, ed in questo Castello metta fuoco. E che ciò sia vero, io vi dò questi segnali: Egli va a modo d'uno poverello, con gli vestimenti tutti rotti e ripezzati, e col cappuccio rivolto alla spalla lacerato; e porta con seco una lesina, colla quale egli vi debbe uccidere, e ha allato uno fucile, col quale egli debbe mettere fuoco in questo Castello; e se questo voi non trovate che sia vero, fate di me ogni giustizia. A queste parole Niccolò tutto rinvenne, ed ebbe grande paura, perocchè colui che li diceva queste parole, gli parea una persona da bene. E comanda che le guardie si facciano con diligenzia, e che se questo uomo colli sopraddetti segnali viene, che di subito sia rappresentato dinanzi a lui. In questo mezzo viene Frate Ginepro solo; che per la sua perfezione sì avea licenzia d'andare e stare solo, come a lui piacesse. Iscontrossi Frate Ginepro con alquanti giovanazzi, gli quali truffandosi, cominciarono a fare grande dissoluzione di Frate Ginepro. Di tutto questo non si turbava, ma piuttosto inducea costoro a fare maggiore beffe di sè. E giugnendo alla porta del Castello, le guardie vedendo costui così difformato, coll'abito stretto e tutto lacerato; perocchè lo abito in parte per la via l'avea dato per l'amore di Dio a' poveri, e non avea alcuna apparenza di Frate Minore; perocchè i segni dati manifestamente appareano, con furore è menato dinanzi a questo tiranno Niccolò: e cercato dalla famiglia, s'egli avea arme da offendere, trovarongli nella manica una lesina, colla quale si racconciava le suola, ancora li trovarono uno fucile, il quale egli portava per fare fuoco; perocchè avea il tempo abile, e spesse volte abitava per li boschi e li diserti. Veggendo Niccolò gli segni in costui, secondo la informazione del Demonio accusatore, comanda che gli sia arrandellata la testa, e così fu fatto: e con tanta crudeltade, che tutta la corda gli entrò nella carne. E poi lo puose alla colla, e fecelo tirare e istrappare le braccia, e tutto il corpo discipare senza nessuna misericordia. E domandato chi egli era, rispuose: Io sono grandissimo peccatore, e domandato, s'egli volea tradire il Castello e darlo a' Viterbesi, rispuose: Io sono massimo traditore, e indegno d'ogni bene. E domandatolo, se egli volea con quella lesina uccidere Niccolò tiranno, e ardere il Castello; rispose che troppo maggiori cose e più grandi farei, se Iddio il permettesse. Questo Niccolò vinto dalla sua iracondia, non volle fare altra esaminazione; ma senza alcuno tempo di termine, a furore giudica Frate Ginepro, come traditore e omicidiale, che sia legato alla coda d'uno cavallo, e strascinato per la terra insino alle forche, e quivi sia di subito impiccato per la gola. E Frate Ginepro nessuna escusazione ne fa; ma come persona, che per l'amore di Dio si contentava nelle tribolazioni, stava tutto lieto ed allegro. E messo in esecuzione il comandamento del tiranno, e legato Frate Ginepro per gli piedi alla coda d'uno cavallo e strascinato per la terra, non si rammaricava, nè doleva; ma come agnello mansueto menato al macello, andava con ogni umiltade.
A questo ispettacolo e súbita giustizia, corse quivi tutto il popolo a vedere giustiziare costui in festinazione e crudeltade, e non era conosciuto. Nondimeno, come Iddio vuole, un buono uomo che aveva veduto pigliare Frate Ginepro, e di subito il vedeva giustiziare, corre al luogo de' Frati Minori, e dice: Per Dio, vi priego che veniate tosto imperocchè egli è stato preso uno poverello, è di subito è stato dato la sentenzia, e menato a morte: venite almeno, che egli possa rimettere l'anima nelle vottre mani, che a me pare una buona persona; e non ha avuto spazio di potersi confessare, ed è menato alle forche, e non pare che la morte curi, nè di salute della sua anima, deh piacciavi di venire tosto. Il Guardiano ch'era uomo piatoso, va di subito per sovvenire alla salute sua; e giugnendo, era gia tanto moltiplicata la gente a vedere questa giustizia, che non poteva avere l'entrata, e costui istava e osservava il tempo, e così osservando udiva una voce infra la gente che dicea: Non fate, non fate cattivelli, che voi mi fate male alle gambe. A questa voce pigliò sospetto il Guardiano, che non fusse Frate Ginepro; ed in fervore di spirito si gitta tra costoro, e rimuove la fascia dalla faccia di costui, e allora cognobbe veramente ch'egli era Frate Ginepro; e però volle il Guardiano per compassione cavarsi la cappa, e rivestire Frate Ginepro. Ed egli, con lieta faccia, quasi ridendo disse: O Guardiano, tu se' grasso, e parrebbe troppo male di vedere la tua nudità: io non voglio. Allora il Guardiano con grande pianto priega questi esattori e tutto il popolo, che debbano per pietade aspettare un poco! tanto ch'egli vada a pregare il Tiranno per Frate Ginepro, se di lui gli volesse fare grazia. Acconsentito gli esattori e certi istanti, credendo veramente che e' fusse di suo parentado; va il divoto e pietoso Guardiano a Niccolajo Tiranno con amaro pianto, e dice: Signore, io sono in tanta ammirazione e amaritudine, che con lingua io non lo potrei contare; imperocchè mi pare che in questa terra sia oggi commesso il maggiore peccato, e 'l maggior male che mai fusse fatto a' dì de' nostri antichi; e credo, cia stato fatto per ignoranza. Niccolajo ode il Guardiano con pazienzia, e comanda il Guardiano: Quale è il grande difetto e male che è oggi stato commesso in questa terra? Risponde il Guardiano: Signor mio, che uno de' più Santi Frati che sia oggi all'Ordine di Santo Francesco, di cui siete divoto singularmente, voi avete giudicato a tanta crudele giustizia, e credo certamente senza ragione. Dice Niccolajo: Or dimmi, Guardiano, chi è costui? che forse non conoscendolo io ho commesso grande difetto. Dice il Guardiano: Costui che voi avete giudicato a morte, è Frate Ginepro compagno di Santo Francesco. Stupefatto Niccolajo Tiranno, perchè avea udito la fama sua e della santa vita di Frate Ginepro, e quasi attonito, tutto pallido sì corse insieme col Guardiano, e giugne a Frate Ginepro, e iscioglielo dalla coda del cavallo e liberollo, e presente tutto il popolo si gittò tutto isteso in terra dinanzi a Frate Ginepro; e con grandissimo pianto dice sua colpa della ingiuria e della villania, ch'egli gli avea fatto fare a questo santo Frate; e aggiunse: Io credo veramente, che i dì della vita mia mala si approssimano, dappoichè io ho questo tanto santo uomo istraziato così senza alcuna ragione. Iddio permetterà alla mia mala vita, che io morrò in brievi dì di mala morte, quantunque io l'abbia fatto ignorantemente. Frate Ginepro perdonò a Niccolajo Tiranno liberamente, ma Iddio permise ivi a pochi dì passati, che questo Niccolajo Tiranno finì la sua vita con molto crudele morte; e Frate Ginepro si partì, lasciando tutto il popolo edificato.

CAPITOLO IV.

Come Frate Ginepro dava a' poveri ciò che egli potea, per l'amore di Dio.
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Tanta pietà aveva alli poveri Frate Ginepro e' compassione, che quando vedea alcuno che fusse vestito male o ignudo, di subito toglieva la sua tonica, o lo cappuccio della sua cappa, e davalo al così fatto povero; e però il Guardiano gli comandò per obbedienzia, ch'egli non desse a nessuno povero tntta la sua tonica, o parte del suo abito. Avvenne caso, che a pochi dì passati scontrò uno povero quasi ignudo, comandando a Frate Ginepro limosina per lo amore di Dio: a cui con molta compassione disse: Io non ho ch'io ti possa dare, se non la tonica; ed ho dal mio prelato per la obbedienzia, che io non la possa dare a persona, nè parte dello abito: ma se tu me la cavi di dosso, io non ti contraddico. Non disse a sordo; che di subito cotesto povero gli cavò la tonica a rivescio, e vassene con essa, lasciando Frate Ginepro ignudo. E tornando al luogo, fu addomandato dove era la tonica, risponde: Una buona persona la mi cavò di dosso, e andossene con essa. E crescendo in lui la virtù della pietà, non era contento di dare la sua tonica, ma dava e' libri, paramenti e mantella, e ciò che gli venia alle mani dava a i poveri. E per questa cagione li Frati non lasciavano le cose in pubblico, perocchè Frate Ginepro dava ogni cosa per l'amore di Dio, e a sua laude.

CAPITOLO V.

Come Frate Ginepro spiccò certe campanelle dello altare e si le diè per lo amore di Dio.
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Essendo una volta Frate Ginepro a Scesi per la Natività di Cristo allo altare del Convento in alte meditazioni, il quale altare era molto bene parato e ornato; a' prieghi del Sagrestano, rimase a guardia del detto altare Frate Ginepro, insino che 'l Sagrestano andasse a mangiare. E istando in divota meditazione, una poverella donna li chiese la limosina per amore di Dio. A cui Frate Ginepro rispuose così: Aspetta un poco, e io vederò se di questo altare così ornato ti possa dare alcuna cosa. Era a questo altare uno fregio d'oro molto ornato e signorile, con campanelle d'ariento di grande valuta. Dice Frate Ginepro: Queste campanelle ci sono di superchio: e piglia uno coltello, e tutte ne le spicca dal fregio, e dalle a questa donna poverella per pietade. Il Sagrestano, mangiato che ebbe tre o quattro bocconi, si ricordò de' modi di Frate Ginepro, e cominciò forte a dubitare, che dello altare così ornato, il quale egli l'avea lasciato in guardia a Frate Ginepro, egli non gliene facesse scandolo per zelo di caritade. E di subito con sospetto si leva da mensa, e vanne in chiesa, e guarda se lo ornamento dello altare è rimosso, o levato nulla: e vede del fregio tagliate e ispiccate le campanelle: di che e' fu senza alcuna misura turbato, e iscandalizzato. Frate Ginepro vede costui così ansiato, e disse: Non ti turbare di quelle campanelle, perocch'io l'ho date a una povera donna, che n'avea grandissimo bisogno, e quivi non faceano utile a nulla, se non che erano una cotale pomposità mondana e vana. Udito questo il Sagrestano, di subito corse per la chiesa e per tutta la città afflitto, se per ventura la potesse ritrovare: ma non tanto ritrovò lei, ma non trovò persona che l'avesse veduta. Ritornò al luogo, e in furia levò il fregio e portollo al Generale, che era ad Ascesi, e dice: Padre Generale, io vi addimando giustizia di Frate Ginepro, il quale m'ha guasto questo fregio, il quale era il più orrevole che fusse in sagrestia; ora vedete come lo ha disconcio, e spiccatone tutte le campanelle dello ariento; e dice, ch'egli l'ha date ad una povera donna. Rispose il Generale: Questo non ha fatto Frate Ginepro, anzi l'ha fatto la tua pazzia; perocchè tu debbi pure oggimai conoscere le sue condizioni: e dicoti, ch'io mi maraviglio, come non ha dato tutto l'avanzo, ma nondimeno io sì lo correggerò bene di questo fallo. E convocati tutti li frati insieme in capitolo, fece chiamare Frate Ginepro; e presente tutto il convento, lo riprese molto aspramente delle sopraddette campanelle; e tanto crebbe in furore, innalzando la voce, che diventò quasi fioco. Frate Ginepro di quelle parole poco si curò, e quasi nulla; perocchè delle ingiurie si dilettava, quando egli era bene avvilito; ma per compensazione della infocagione del Generale, cominciò a cogitare del rimedio. E ricevuta la rincappellazione del Generale va Frate Ginepro alla cittade, e ordina e fa fare una buona iscodella di farinata col butirro; e passato uno buono pezzo di notte, va e ritorna, e accende una candela, e vassene con questa scodella di farinata alla cella del Generale, e picchia. Il Generale aperse, e vede costui colla candela accesa, e colla scodella in mano; e piano comanda: Che è questo? Rispose Frate Ginepro: Padre mio, oggi quando voi mi riprendeste de' miei difetti, io vidi che la voce vi diventò fioca, credo fusse per troppa fatica; e però io cogitai il rimedio, e feci fare questa farinata per te, però ti priego, che la mangi; ch'io ti dico, che ella ti allargherà il petto e la gola. Disse 'l Generale: Che ora è questa, che tu vai inquietando altrui? Risponde Frate Ginepro: Vedi, per te è fatta: io ti priego, rimossa ogni cagione, che tu la mangi, perocch'ella ti farà molto bene. E 'l Generale turbato dell'ora tarda e della sua improntitudine, comandò ch'egli andasse via, che a cotale ora non volea mangiare, chiamandolo per nome vilissimo e cattivo. Vedendo Frate Ginepro, che nè prieghi, nè lusinghe non valsono, dice così: Padre mio poichè tu non vuoi mangiare, e per te sera fatta questa farinata; fammi almeno questo, che tu mi tenga la candela, e mangerò io. E 'l Generale, come pietoso e divota persona attendendo alla pietà e semplicità di Frate Ginepro, tutto questo essere fatto da lui per divozione, risponde: Or ecco, poichè tu pure vuogli, mangiamo tu ed io insieme: e amenduni mangiarono questa iscodella della farinata, per una importuna caritade. E molto più furono ricreati di divozione, che del cibo.

CAPITOLO VI.

Come Frate Ginepro tenne silenzio sei mesi.
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Ordinò una volta Frate Ginepro di tenere silenzio sei mesi, in questo modo. Il primo dì, per amore del Padre celestiale. Il secondo dì, per amore di Gesù Cristo suo figliuolo. Il terzo, per amore dello Spirito Santo. Il quarto dì, per la reverenzia della Santissima Vergine Maria; e così per ordine, ogni di per amore d'alcuno Santo, osservò sei mesi senza parlare.

CAPITOLO VII.

Esemplo, contro alle tentazioni della Carne.
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Essendo una volta ragunato Frate Egidio, e Frate Simone d'Ascesi, e Frate Ruffino, e Frate Ginepro a parlare di Dio e della salute della anima, disse agli altri Frate Egidio: Come fate voi colle tentazioni del peccato carnale? Disse Frate Simone: Io considero la viltà e la turpitudine del peccato carnale, e di questo mi seguita una abbominazione grande, e così scampo. Dice Frate Ruffino: Io mi gitto in terra isteso, e tanto istò in orazione pregando la clemenza di Dio, e la madre di Gesù Cristo, che mi sento al tutto liberato. Risponde Frate Ginepro: Quando io sento lo strepito della diabolica suggestione carnale, subito corro e serro l'uscio del mio cuore, e per sicurtà della fortezza del cuore, mi occupo in sante meditazioni e santi desiderj: sicchè, quando viene la suggestione carnale, o picchia all'uscio del cuore, io quasi dentro rispondo: Di fuori; perocchè l'albergo è già preso e que entro non può entrare più gente; e così non permetto mai entrare dentro del mio cuore pensiero carnale, di che vedendosi vinto, come isconfitto si parte non tanto da me, ma da tutta la contrada. Risponde Frate Egidio, e dice: Frate Ginepro, io tengo teco, perocchè col nemico della carne non si può combattere più che fuggire; perocchè dentro il traditore appetito carnale, di fuori per li sensi del corpo, tanto e si forte nemico si fa sentire, che non fuggendo non si puote vincere. E però chi altrimenti vuole combattere, alla fatica della battaglia rade volte ha vittoria. Fuggi adunque il vizio, e sarai vittorioso.

CAPITOLO VIII.

Come Frate Ginepro vilifica sè medesimo a laude di Dio.
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Una volta Frate Ginepro, volendosi bene vilificare, si spogliò tutto ignudo, e puosesi li panni in capo, fatto quasi un fardello dell'abito suo, e entrò così ignudo in Viterbo, e vassene in sulla piazza pubblica per sua dirisione. Essendo costui quivi ignudo, li fanciulli e' giovani, riputandolo fuori del senso, gli feciono molta villania, gittandogli molto fango addosso, e percotendolo colle pietre, e sospignendolo di qua e di là, con parole di dirisione molto; e così afflitto e schernito istette per grande ispazio del dì; poi così dinudato se ne andò al convento. E vedendolo i frati così dinudato, ebbono gran turbazione di lui. E massimamente, perchè per tutta la cittade era venuto così ignudo col suo fardello in capo, ripresonlo molto duramente, facendogli grandi minacce. E l'uno dicea: Mettiamolo in carcere; e l'altro dicea: Impicchiamolo; e gli altri diceano: Non se ne potrebbe fare grande giustizia di tanto male esemplo, quanto costui ha dato oggi di sè e di tutto l'ordine. E Frate Ginepro tutto lieto, con ogni umiltade rispondeva: Bene dite vero, perocchè di tutte queste pene sono degno, e di molte più.

CAPITOLO IX.

Come Frate Ginepro, per vilificarsi, fece al giuoco dell'altalena.
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Andando una volta Frate Ginepro a Roma, dove la fama della sua santità era già divulgata, molti Romani per grande divozione gli andarono incontro; e Frate Ginepro, vedendo tanta gente venire, immaginossi di far venire la loro divozione in favola e in truffa. Erano ivi due fanciulli, che facevano all'altalena, cioè che aveano attraversato un legno sopra un altro legno, e ciascheduno stava dal suo capo, e andavano in su e in giù. Va Frate Ginepro, e rimuove uno di questi fanciulli dal legno, e montavi suso e comincia ad altalenare. Intanto giugne la gente, e maravigliavansi dell'altalenare di Frate Ginepro: nondimeno con grande divozione lo salutarono, e aspettavano che fornisse il giuoco dell'altalena, per accompagnarlo poi onorevolmente insino al convento. E Frate Ginepro di loro salutazione e riverenzia, o aspettazione poco si curava, ma molto sollecitava l'altalena. E così aspettando per grande spazio, alquanti cominciarono a tediare e dire: Che pecorone è costui? Alquanti cognoscendo delle sue condizioni, crebbono in maggiore divozione; nondimeno tutti si partirono, e lasciarono Frate Ginepro in sull'altalena. Ed essendo tutti partiti, Frate Ginepro rimase tutto consolato, perocchè vide alquanti che aveano fatto beffe di lui. Muovesi, ed entra in Roma con ogni mansuetudine e umiltade, e pervenne al convento de' Frati Minori.

CAPITOLO X.

Come Frate Ginepro fece una volta cucina ai Frati per quindici dì.
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Ginepro cucina: clip in streaming QuickTime Francesco giullare di Dio, regia di Roberto Rossellini, 1950.
Come fra' Ginepro fece cucina per quindici dì e Francesco intenerito dal suo zelo gli die' permesso di predicare.
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Essendo una volta Frate Ginepro in un luoghicciuolo di Frati, per certa ragionevole cagione tutti li Frati ebbono andare di fuori, e solo Frate Ginepro rimase in casa. Dice il Guardiano: Frate Ginepro, tutti noi andiamo fuori; e però fa che quando noi torniamo, tu abbi fatto un poco di cucina a ricreazione de' Frati. Rispuose Frate Ginepro: Molto volentieri; lasciate fare a me. Essendo tutti li Frati andati fuori, come detto è, disse Frate Ginepro: Che sollecitudine superflua è questa, che uno Frate stia perduto in cucina e rimoto da ogni orazione? Per certo, ch'io ci sono rimaso a cucinare questa volta; io ne farò tanta, che tutti li Frati, e se fussono ancora più, n'averanno assai quindici dì. E così tutto sollecito va alla terra, e accatta parecchie pentole grandi per cuocere, e procaccia carne fresca e secca, polli, uova ed erbe, e accatta legna assai, e mette a fuoco ogni cosa, cioè polli colle penne e uova col guscio, e conseguentemente tutte l'altre cose. Ritornando i Frati al luogo, uno ch'era assai noto della semplicità di Frate Ginepro, entrò in cucina, e vede tante e così grandi pentole a fuoco isterminato; e ponsi a sedere, e con ammirazione considera e non dice nulla, e ragguarda con quanta sollecitudine Frate Ginepro fa questa cocina. Perocchè 'l fuoco era molto grande, e non potea troppo bene approssimarsi a schiumare, prese un'asse, e colla corda se la legò al corpo molto bene istretta, e poi saltava dall'una pentola all'altra, ch'era uno diletto. Considerando ogni cosa con sua grande recreazione questo Frate, esce fuori di cucina, e truova gli altri Frati e dice: Io vi so dire, che Frate Ginepro fa nozze. I Frati ricevettono quel dire per beffe. E Frate Ginepro lieva quelle pentole dal fuoco, e fa sonare a mangiare; e gli Frati sì entrano a mensa, e viensene in Refettorio con quella cucina sua, tutto rubicondo per la fatica e per lo calore del fuoco, e dicea alli Frati: Mangiate bene; e poi andiamo tuti all'orazione, e non sia nessuno che cogiti più a questi tempi di cuocere; perocch'io ho fatta tanta cucina oggi, che io n'avrò assai più di quindici dì, e pone questa sua pultiglia a mensa dinanzi a' Frati, che non è porco in terra di Roma sì affannato, che n'avesse mangiato. Loda Frate Ginepro questa sua cocina, per darle lo spaccio; e già egli vede, che gli altri Frati non ne mangiano, e dice: Or queste cotali galline hanno a confortare il celabro; e questa cucina vi terrà umido il corpo, ch'ella è si buona. E istando li Frati in tanta ammirazione e devozione a considerare la devozione, e semplicità di Frate Ginepro; e 'l Guardiano turbato di tanta fatuitade e di tanto bene perduto, riprende molto aspramente Frate Ginepro. Allora Frate Ginepro si getta subitamente in terra inginocchioni dinanzi al Guardiano, e disse umilmente sua colpa a lui e a tutti li Frati, dicendo: Io sono uno pessimo uomo, il tale commise il tale peccato, perchè gli furono cavati gli occhi; ma io n'era molto più degno di lui, il tale fu per li suoi difetti impiccato; ma io molto più lo merito, per le mie prave operazioni: ed ora io sono stato guastatore di tanto beneficio di Dio e dell'Ordine, e tutto così dolendosi si partì, e in tutto quello di non apparve dove Frate nessuno fusse. E allora il Guardiano disse: Frati miei carissimi, io vorrei che ognindie questo Frate, come ora, sprezzasse altrettanto bene se noi l' avessimo, e solo se ne avesse la sua edificazione; perocchè grande semplicitade e caritade gli ha fatto fare questo.

CAPITOLO XI.

Come Frate Ginepro anda una volta ad Ascesi per sua confusione.
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Una volta, dimorando Frate Ginepro nella Valle di Spuleto, e vedendo che ad Ascesi v'era una grande solennitade, e che molta gente v'andava con grande divozione, vennegli voglia di andare a quella solennità: e odi come. Ispogliossi Frate Ginepro tutto ignudo, e così se ne venne, passando per Ispuleto per lo mezzo della Città, e giugne al Convento così ignudo. I Frati molto turbati e scandalizzati, lo ripresono molto aspramente, chiamandolo pazzo e istolto e confonditore dello Ordine di Santo Francesco, e che come pazzo si vorrebbe incatenare. E 'l Generale ch'era allora nel luogo, fa chiamare tutti li Frati e Frate Ginepro, e presente tutto il Convento, gli fa una dura ed aspra correzione. E dopo molte parole, per vigore di giustizia si disse a Frate Ginepro: Il tuo difetto è tale e tanto, ch'io non so che penitenzia degna di dare. Risponde Frate Ginepro, come persona che si dilettava della propria confusione: Padre, io te la voglio insegnare; che così come io sono venuto insino a quei ignudo, per penitenzia io ritorni insino a là, donde mi misi a venire qua a questa cotale festa.

CAPITOLO XII.

Come Frate Ginepro fu' ratto, celebrandosi la messa.
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Essendo una volta Frate Ginepro a udire la messa con molta divozione, fu ratto per elevazione di mente e per grande spazio, e lasciatolo ivi per la stanza di lungi degli altri Frati, ritornando in sè, cominciò con grande fervore a dire: O Frati miei, chi è in questa vita tanto nobile, che non portasse volentieri la cesta del letame per tutta la terra, se gli fusse data una casa tutta piena d'oro? e dicea: Oimè, perchè non vogliamo noi sostenere un poco di vergogna, acciocchè noi potessimo guadagnare vita beata?

CAPITOLO XIII.

Della tristizia, ch'ebbe Frate Ginepro della morte del suo compagno Frate Amazialbene.
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Avea Frate Ginepro uno compagno Frate il quale intimamente amava, e aveva nome Amazialbene. Bene avea costui in sè virtù di somma pazienza e obbedienzia; perocchè, se per tutto il dì fusse stato battuto, mai non si rammaricava, nè si richiamava solo d'una parola. Era spesso mandato a' luoghi, dov'era malagevole famiglia in conversazione, da cui riceveva molte persecuzioni; le quali sostenea molto pazientemente, senza alcuna rammaricazione. Costui al comandamento di Frate Ginepro, piagnea e ridea. Ora morì questo Frate Amazialbene, come piacque a Dio, con ottima fama, e udendo Frate Ginepro della sua morte, ricevettene tanta tristizia nella mente sua, quanto mai in sua vita avesse mai avuta di nessuna cosa sensuale; e così dalla parte di fuori dimostrava la grande amaritudine ch'era dentro, e dicea: Oimè tapino, che ora non m'è rimaso alcuno bene, e tutto il mondo è disfatto nella molte del mio dolce e amantissimo Frate Amazialbene! E dicea: Se non che non potrei aver pace con li Frati, io andrei al sepolcro suo, e piglierei il capo suo, e del teschio farei due scodelle; l'una, nella quale per sua memoria, a mia divozione, per continuo mangerei; e l'altra, colla quale io berrei, quando io avessi sete o voglia di bere.

CAPITOLO XIV.

Della mano, che vide Frate Ginepro nell'aria.
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Essendo una volta Frate Ginepro in orazione, e forse cogitava di sè grandi fatti, e parendogli vedere una mano per l'aria, udì con li orecchi corporali una voce, che disse a lui così: O Frate Ginepro, con questa mano tu non puoi fare niente. Di che di subito si levò, e levato e dirizzato gli occhi in Cielo, disse ad alta voce, discorrendo per lo convento: Bene è vero, bene è vero: e questo per buono spazio replicava.

CAPITOLO XV.

Esemplo di Frate Lione, come Santo Francesco li comandò, che lavasse la pietra.
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Nel Monte della Vernia, parlando Santo Francesco con Frate Lione, disse Santo Francesco: Frate pecorella, lava questa pietra coll'acqua. Fu presto Frate Lione, e lava la pietra coll'acqua. Dice Santo Francesco con grande gaudio, e letizia: Lavala col vino; e fu fatto. Lavala, dice Santo Francesco, coll'olio; e quivi fu fatto. Dice Santo Francesco: Frate pecorella, lava quella pietra col balsimo. Risponde Frate l,ione: O dolce Padre, come potrò io avere in questo così salvatico luogo il balsimo? Rispuose Santo Francesco: Sappi, Frate pecorella di Cristo, che questa è la pietra dove sedeva Cristo, quando m'apparve una volta quiritta, e però io t'ho detto quattro volte, Lavala, e taci; perocchè Gesù Cristo m'ha promesso quattro singulari grazie per lo Ordine mio. La prima è che tutti coloro che ameranno cordialmente l'Ordine mio, e' Frati perseveranti, dalla divina grazia faranno buona fine. La seconda, che li perseguitatori di questa santa Relione, notabilmente saranno puniti. La terza che nessuno male uomo potrà durare molto tempo in questo Ordine, durando nella sua perversità. La quarta, che questa Religione durerà insino allo giudicio finale.


Trascrizione, impaginazione e link: Maurizio Mastrorilli, 2002 -

Per informazioni, suggerimenti e collaborazioni: bsc@rilievo.poliba.it