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Il piano Palenzia-Viti per il borgo di Bari (1790).

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L'idea del borgo.
Riflessioni sulle pratiche urbane alla fine del secolo XVIII.
Il piano Palenzia-Viti (1790).

TopL'idea del borgo.
Il decreto reale con cui si concede al comune di Bari il permesso di fabbricare un borgo fuori le mura della città, "ad oggetto di evitarsi le assidue infermità per li danni del commercio", porta la data del 26 febbraio 1790.
Il 30 aprile, sempre con decreto, Ferdinando IV ordina all'ingegnere straordinario degli eserciti, piazze e frontiere Giovanni Palenzia, e all'ingegnere camerale Francesco Viti di individuare il sito del borgo:
"Con che però debba formarsi una pianta esatta del terreno adiacente alla città medesima, nel quale si creda più adatto al pubblico comodo di erigerlo, unendo ad essa pianta la corrispondente porzione delle mura della città, ed il castello, onde si vegga il rapporto dell'uno e dell'altra col borgo stesso, il quale dovrà essere indicato colla dovuta regolarità, specialmente nelle strade, e quindi si accompagni l'istessa pianta colle convenienti riflessioni."
Il piano predisposto (Pianta del Regio Castello della Città di Bari, colle mura, e fossato, che racchiudono detta Città dalla parte interna, unitamente col terreno, e strade adiacenti alle stesse mura, e coll'idea del sito da formarvi il nuovo Borgo) è il primo atto ufficiale che fornisce delle risposte alle richieste della città, e contemporaneamente rappresenta l'inizio di un travagliato dibattito che durerà più di venti anni, fino ad arrivare alla posa della prima pietra del borgo fuori le mura.

TopRiflessioni sulle pratiche urbane alla fine del secolo XVIII.
Nella relazione che accompagna il piano, datata 30 giugno 1790, i due ingegneri analizzano le proposte avanzate in precedenza dai sindaci di Bari per la scelta dell'area in cui edificare il borgo.
Esso deve essere "un raccolto di più case senza recinto di mura e propriamente un accrescimento di abitazioni fuori delle mura delle città murate, che per lo più corrisponda o cominci alle porte", che non sia "di niun pregiudizio del regio castello, men che in menoma parte l'offende", e invece sia ideale per la popolazione "per la vicinanza alle due porte della città, per essere vicino alli edifici sacri e per respirarsi un aere sano e salubre".
L'idea di costruire lungo il fronte della strada regia, tra la porta castello e il convento di San Francesco di Paola, è scartata perché le case sarebbero sorte ad una distanza eccessiva dalla città, non essendo neppure opportuno addossarle al castello. Allo stesso modo è sconsigliato di utilizzare l'area della spiaggia fuori porta di mare: nonostante la vicinanza alla principale piazza commerciale della città, il luogo è infatti molto ventilato e paludoso a causa delle frequenti mareggiate.
Le parole che allora esprimevano questi concetti, benché oggi difficili a leggersi, danno un quadro più completo della cultura urbana alla fine del secolo XVIII:
"Il luogo per prima ideato da' sindaci sarebbe stato appunto ne' laterali di quella ampia e lunga via, che da Modugno passando per avanti il convento de' Paolotti, a dirittura conduce alla porta della città di Bari, accosto il regio castello, e quest'istessa via è quella che formerà la continuazione del nuovo regio cammino di Lecce.
Vi era inoltre chi per l'opposto opinava di situare detto borgo nell'altro estremo della città, e propriamente verso il Molo, in poca distanza dell'altra porta di detta città, denominata la porta di Mola.
[...] Proprio sarebbe stato di farlo lunghesso quella suddetta ampla, e lunga strada, che andando da Napoli in Bari col nuovo regio cammino, venghi a corrispondere nella prima porta della città, che s'incontra accosto il regio castello. La lunghezza stessa di quella strada, la rettitudine della medesima, l'incontro di più edifici di riguardo, come sono la chiesa de' Paolotti, le fabbriche dei padri della Missione, e la corrispondenza di altre vie intermedie, che avrebbero portato con esso loro la regolarità del borgo (forse in niente dissimile da quello, che introduce nella porta del Popolo dell'alma città di Roma), avrebbe fatto ad ognuno risolvere di doversi colà situare.
Ma vi erano i seguenti ostacoli: nella parte del castello verso ponente vi sta uno spalto, o sia spianata detta in francese glacis, che per regola di architettura militare non può affatto alterarsi, e di più, parte di detta strada con i terreni adiacenti, perché in fronte del suddetto regio castello, deve restare anche libera e sgombra da qualunque altra novità.
A queste si aggiunge, che per la formazione del borgo in questo sito, quantunque specioso per la sua veduta, si sarebbe però contenuto nel fronte della suddetta strada, ma per molto tratto di lunghezza, per quanto è la medesima, onde la maggior parte della popolazione si sarebbe trovata in qualche distanza dalla città, cosa, che sarebbe stata d'incomodo, e perciò con ragione doveva escludere quest'idea.
Architettandosi poi la situazione del borgo nella parte bassa verso il molo, quantunque la vicinanza della porta della città verso Mola, in dove sono tutti i negoziati, e s'introducono le derrate per andare nella regia dogana, e sempre vi esiste un emporio, niente di meno la situazione bassa del terreno, il lido muscoso dell'Adriatico produce un'aere niente perfetto, anzi dannoso per i cagionevoli di salute, e per i venti non troppo salutari; onde si stima dover essere quest'altra idea anche proscritta.
La parte intermedia dunque, e propriamente quella dirimpetto le mura di detta città tra la porta presso il castello, e l'altra verso Mola, è la miglior situazione.
Il borgo perciò, secondo il nostro sentimento deve principare a linea delle fabbriche dei padri della Missione sul fronte di quella regia strada dirimpetto il fossato della città, con estendersi in dentro verso mezzogiorno per quel tratto di terreno, che occorrerà occuparsi secondo il bisogno; girare per il proseguimento della medesima strada all'opposto di detto fossato, e dirimpetto il torrione denominato San Domenico, e torrioni, e fossati susseguenti, sino all'incontro però della via, che porta a Carbonara e ceglie, dove sta la cappella de' sartori, perché da detto sito in poi il terreno incomincia a declinare verso il molo, e s'incorre in quell'inconvenienti di sopra rapportati di aria poco salubre, particolarmente nei tempi estivi.
L'unica irregolarità, seppur tale può chiamarsi, sarebbe che il borgo procede a seconda della stessa strada, la quale oggi in molte parti è alquanto tortuosa; ma colla confezione del nuovo regio cammino, che per colà deve passare, e colla correzione che può, e dovrà darsi al medesimo, come anche alla situazione materiale del borgo stesso, si fa cessare ogni menomo ostacolo".

TopIl piano Palenzia-Viti (1790).
Il piano Palenzia e Viti dispone, quindi, lo schema del borgo in posizione centrale rispetto alle due porte della città, e precisamente fra il convento dei padri della Missione, sul fronte della strada regia, e la cappella della Madonna dei Sarti, sulla strada per Carbonara e Ceglie.

Sulla pianta le tredici isole sono disegnate con un leggero tratteggio, mentre sono evidenziati molti riferimenti allo stato dei luoghi:
Fra gli edifici religiosi sono indicati la chiesa e il convento dei Paolotti, la chiesa e il convento dei padri della Missione, la chiesa e il convento dei padri Cappuccini, la cappella della Madonna dei sarti, la chiesa e il convento dei padri Carmelitani, la cappella di Sant'Anna.
Due casini di campagna appartengono rispettivamente a Titta Baracchella e al barone D'Ameli.
Fra i servizi sono indicate due osterie, due concerie, una cereria, l'edificio della dogana vicino alla porta castello, l'edificio della guardia della gabella vicino alla porta di mare.
Tra le strade vicinali la più importante è quella che conduce alla conceria dei padri Cappuccini, mentre la rete delle strade comunali comprende i tracciati per Bitonto, Bitritto, Carbonara e Ceglie, Mola.

La relazione allegata al piano ci fornisce anche alcune proposte di massima per la costruzione del borgo (larghezza delle strade, dimensioni delle isole, altezza massima per tutti gli edifici):
"La fabbrica del borgo deve compartirsi in tanti parallelogrammi, uno dall'altro separato, mediante le vie intermedie, tutte di larghezza di palmi 30, né più né meno per il gioco dell'aria e della ventilazione, ed ogni isola dovrà essere di fronte nella suddetta regia strada almeno palmi 200 e di fondato palmi 300, acciò ognuna di queste possa essere occupata da più possessori nel fabbricare secondo la loro condizione, ma tutte queste isole di case non dovranno eccedere l'altezza di palmi 40 o poco più per serbare una uguaglianza negli edifici, cosa che non deve riuscire di dispiacere e di più incontrandosi nella situazione di queste case quelle strade che ora esistono in quel terreno e conducono alla conceria, a Bitritto, al convento dei Cappuccini ed altrove, queste acciò non formino sconcio nella simmetria del borgo potranno dismettersi e situarsi nei vicoli laterali e paralleli all'isole medesime."
Ponendosi, infine, un problema doganale, si vieta di costruire nel borgo cantine, magazzini e posture d'olio; tale idea, sottoposta all'amministratore della dogana, ottiene la piena approvazione:
"[...] si partecipò il tutto a Giuseppe Quattromani attuale amministratore, ed il medesimo dopo istrutto della nostra idea, sembrò, che non disapprovava i nostri pensieri, e che facendosi il borgo nella divisata maniera e colle suddette proibizioni di cantine, magazzini e posture d'olio per incetta soltanto, e non già proprio uso, e comodo, niente aveva, che ridire."
Il piano, sebbene approvato da Ferdinando IV con il decreto del 18 dicembre 1790, resta però sulla carta. Della costruzione del borgo si tornerà a discutere dopo sedici anni, e solo nel 1812 si concluderà la prima fase del dibattito ottocentesco, con il primo piano dell'architetto Gimma.


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Ultimo aggiornamento:
31 Maggio 2001