TUFO



Molte parti dell'antica Terra d'Otranto sono punteggiate di cave, a cielo aperto e in sotterranea, dove venivano, e in alcuni casi vengono ancora, estratti quelli che impropriamente e comunemente vengono definiti tufi. Con il termine tufi vengono infatti in genere accomunati la pietra leccese, le calcareniti e i tufi calcarei, ciascuno dei quali, ad un'analisi più attenta, caratterizzato da un'estrema eterogeneità in ordine a colore, grana, resistenza meccanica, etc. Le modalità di estrazione sono rimaste sostanzialmente invariate nel corso dei secoli; solo negli ultimi 50 - 60 anni sono profondamente mutate le attrezzature con cui essa avviene e di conseguenza i tempi e i costi connessi. Nelle cave a cielo aperto, l'operazione preliminare, oggi come in passato, consisteva nell'eliminare la vegetazione e il terreno superficiale dall'area scelta per l'estrazione (la scelta di tali aree in passato avveniva per tentativi o "per pensamento", basandosi cioè sull'esperienza dei cavamonti più anziani); il terreno asportato veniva venduto ai proprietari di terreni poveri, caratterizzati dalla presenza di estese zone di roccia affiorante, costituendo un'ulteriore fonte di reddito. L'operazione successiva consisteva nell'eliminazione, attraverso operazioni di sbancamento utilizzando cariche di polvere da sparo, del "cappellaccio", lo strato superficiale, inservibile, del banco roccioso. Fino a metà del XX secolo l'estrazione avveniva completamente a mano, con l'ausilio di strumenti rudimentali, ad opera dei cavamonti (o "zoccatori"). L'estrazione avveniva per letti di cava, ossia assecondando quelli che erano i naturali piani di sedimentazione della roccia: dopo che il banco era stato liberato dal materiale superficiale inutilizzabile, i cavamonti stendevano una corda, utile a segnare il solco, profondo circa 28 cm, da tracciare con lo strumento in ferro detto "zocco"; usando un ramo d'olivo (detto "due palmi" per la lunghezza pari a circa 50 cm) si segnava l'altezza del blocco, praticando con la mannara (strumento simile ma più grande dello zocco) delle incisioni dette finte; andava quindi staccato il blocco dal piano di cava, inserendo nel solco precedentemente fatto dei cunei di pietra o facendo leva con un palo di ferro. A partire dagli anni '50 l'estrazione della pietra avviene invece con l'ausilio delle macchine: dopo aver preparato un piano di scavo ben livellato, si procede incidendolo, ad una profondità di circa 25 cm, con solchi paralleli mediante una sega a disco verticale dentato che si muove su binari, prima in un senso e poi perpendicolarmente, con solchi distanti circa 50 cm. Subito dopo entra in azione la macchina scalzatrice, capace di tagliare la pietra orizzontalmente. I blocchi estratti vengono quindi trasportati altrove per eventuali lavorazioni.