Sant'Antonio Abate: LA VITA

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Sant'Antonio Abate: la vita

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Antonio, di origine egiziana, nacque intorno al 250 a Coma (oggi Quemar), sulla costa occidentale del Nilo, nel Medio Egitto, presso Eracleopoli, da genitori nobili, abbastanza ricchi e cristiani, per cui anch’egli fu allevato nella fede cristiana.

Intorno al 270, quando aveva 18-20 anni, Antonio rimase orfano insieme a una sorella più piccola di lui. La sua vocazione trova un momento determinante dopo questo luttoso evento quando, entrato nella chiesa dove andava di solito, udì le parole del Vangelo: "Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi" ( Mt. 19,21 ).

Antonio sentì questo invito come rivolto a lui e, uscito dalla chiesa, donò ai suoi concittadini i poderi che aveva ereditato, vendette altri beni, distribuì il ricavato ai poveri, riservò una parte di denaro per la sorella che affidò ad una comunità di pie donne e si ritirò in un luogo solitario. All’inizio si stabilì non lontano dal suo villaggio, per condurre vita eremitica, tutta dedita al lavoro, alla preghiera e alla lettura delle Sacre Scritture, dapprima alle dipendenze di un santo monaco, in seguito in completa solitudine.

Già in questo primo periodo il demonio cominciò subito a tentarlo in diversi modi, cercando di dissuaderlo dalla vita ascetica (contemplativa, mistica) con il ricordo delle ricchezze che aveva lasciato. Antonio gli resistette rispondendo agli assalti del maligno con una preghiera più intensa e un tenore di vita più austero, fatto di penitenze sempre più rigorose. Ma il diavolo, resosi conto di essere debole di fronte al proposito di Antonio e delle sue continue preghiere, confidò in altre armi. Assalì così il giovane turbandolo di notte prendendo l’aspetto di una donna e imitandone il comportamento in tutte le maniere, solo per trarre in inganno Antonio. Ma egli, pensando a Cristo e meditando sulla nobiltà e sulla spiritualità dell’anima,spegneva il fuoco della seduzione.

Avendo appreso dalle Scritture che molte sono le insidie del nemico, Antonio si dedicava intensamente all’ascesi, trattava sempre più duramente il suo corpo perché non soccombesse in altre tentazioni. Decise perciò di abituarsi a un regime di vita più rigido, sopportando sempre più facilmente la fatica, perché il suo zelo perseverante aveva generato in lui buone abitudini. Vegliava a lungo e mangiava una sola volta al giorno dopo il tramonto (a volte ogni due giorni, spesso ogni quattro).

Si nutriva di pane e sale e beveva solo acqua. Per dormire gli bastava una stuoia, ma dormiva per lo più sulla nuda terra.

Regolata così la sua vita, si rinchiuse in una grotta lontano dal villaggio, scavata sul fianco di una montagna e la cui ubicazione era nota solo ad un amico fedele.

Anche qui subì da parte del demonio terribili sevizie da restare tutto contuso. Si racconta che una notte il demonio entrò nella grotta insieme ad altri demoni e coprì Antonio di colpi fino a lasciarlo a terra sfinito. Per divina provvidenza, il giorno dopo giunse quel suo amico a portargli il pane. Quando lo vide a terra, lo prese e lo trasportò alla chiesa del villaggio. Molti, anche suoi parenti, lo credettero morto, ma verso  mezzanotte Antonio rientrò in se stesso e, come vide che tutti dormivano e che solo quel suo amico era sveglio, lo pregò di riportarlo alla grotta. Il nemico continuò a prendere sembianze diverse provocando un terribile frastuono e Antonio, frustato e ferito da queste figure, provava sofferenze atroci su tutto il corpo, ma restava a giacere senza paura, forte della sua fede.

Nel 285, quando ormai aveva 35 anni, interruppe qualunque relazione umana ritirandosi in un vecchio rudere abbandonato sul monte Pispir, ad est del Nilo, un fortino pieno di serpenti che se ne fuggirono subito, come se qualcuno li inseguisse. In quel luogo visse circa 20 anni, isolato dal mondo e vietando l’accesso a chiunque, anche all’amico fedele che gli gettava i viveri al di sopra delle mura di cinta. Chi veniva a trovarlo spesso passava giorni e notti fuori dal fortino e sentiva là dentro come delle turbe in tumulto che gridavano: "Vattene dalle nostre terre! Che hai a che fare tu con il deserto? Non sopporterai le nostre insidie!".

Quelli che erano fuori pensarono che dentro vi fossero delle persone, ma quando, guardando dalle fessure, videro che non vi era nessuno, capirono che quelli erano demoni e si misero a chiamare Antonio, che li rassicurò di andare facendosi il segno della croce. Trascorso questo periodo, molti, che volevano condurre la vita ascetica, si recarono da lui e così su quelle alture sorsero i primi monasteri abitati da monaci, che si ponevano sotto la guida spirituale di Antonio. Qui verso il 307 ebbe la visita del monaco S. Ilarione.

Il Signore concedeva ad Antonio il dono della parola e così consolava coloro che erano afflitti, riconciliava quelli che erano in lite e convinse molti ad abbracciare la vita solitaria. E così apparvero dei monasteri e il deserto divenne una città abitata da monaci che avevano abbandonato i loro beni e scritto il loro nome nella città del cielo. Antonio, con frequenti ammonizioni, accresceva lo zelo di chi già era monaco e spingeva altri all’amore per la vita ascetica. In breve tempo sorsero molte dimore solitarie e Antonio presiedeva a tutte come un padre, esortando i monaci a incoraggiarsi vicendevolmente, portando la giustizia, la carità, la temperanza, l’amore per i poveri, la fede in Cristo, la perseveranza nella virtù.

Quando nel 311 iniziò la persecuzione di Massimo Daia, lasciò la solitudine per recarsi ad Alessandria per sostenere ed assistere i confessori della fede, i martiri. Costretto dall’indiscrezione del popolo alessandrino e anche dal desiderio di trovare una più completa solitudine, al termine della persecuzione stabilì di addentrarsi nel deserto della Tebaide orientale (alto Egitto). Si unì ad una carovana di mercanti arabi e si inoltrò per tre giorni e tre notti di cammino in una località completamente disabitata. Si fermò presso una montagna distante trenta miglia dal Nilo. Qui si manteneva intrecciando ceste di vimini e coltivando un piccolo appezzamento di terreno, i cui prodotti venivano condivisi con coloro che andavano a trovarlo per essere istruiti nella vita ascetica. La fama della sua santità era ormai nota in tutta la regione e molti si recavano per chiedere grazie e guarigioni. Per sua intercessione il Signore permetteva che si compissero numerosi prodigi e conversioni. Per questo il demonio si accaniva sempre di più contro di lui con tentazioni e visioni spaventose. Da questo posto si recò a visitare il primo eremita S. Paolo. I monaci del Pispir non tardarono a ritrovare le tracce e si organizzarono per recargli una scorta di viveri.

Presentendo ormai vicina la sua morte, Antonio si recò per l’ultima volta a visitare i suoi monaci, esortandoli a non scoraggiarsi nella pratica ascetica; tornò quindi ad Alessandria per combattere gli Ariani e le loro eresie. Ritornato al suo eremo, si ammalò e predisse ai due discepoli Macario e Amathas, a cui aveva concesso di far vita comune con lui, la sua fine imminente e lasciò loro il suo testamento:

"Io, come sta scritto, me ne vado per la via dei padri. Sento che il Signore mi chiama, voi siate vigilanti e non lasciate che si perda il frutto della vostra lunga ascesi, ma preoccupatevi di tener viva la vostra sollecitudine come se cominciaste soltanto adesso. Conoscete le insidie dei demoni, sapete quanto sono feroci eppure deboli. Non temeteli, dunque, ma respirate sempre Cristo e abbiate fede in Lui. Vivete come se doveste morire ogni giorno, vigilate su voi stessi e ricordate le esortazioni che avete udito da me. Non abbiate alcun rapporto con gli scismatici, nessun rapporto con gli eretici Ariani. Sapete come anche io li evitassi perché sono eretici e combattono il Cristo. Cercate piuttosto, anche voi, di unirvi sempre al Signore e ai santi perché ,dopo la vostra morte, vi accolgano nelle dimore eterne come amici e familiari. A questo pensate e comprendetelo. E se mi volete bene, non permettete che il mio corpo sia portato in Egitto perché non accada che sia messo in qualche casa. E’ per questo motivo che sono rientrato sulla montagna e sono venuto qui. Seppellite voi il mio corpo e nascondetelo sotto terra e custodite in voi la mia parola perché nessuno, tranne voi soli, conosca il luogo dove è deposto il mio corpo. Nel giorno della Resurrezione dai morti io lo riceverò incorrotto dal Salvatore. Dividetevi le mie vesti, al vescovo Atanasio date la mia pelle di pecora e il mantello su cui mi stendo; al vescovo Serapione date l’altra pelle di pecora, voi tenete la veste di pelo. Per il resto, figlioli, cercate la vostra salvezza. Antonimo se ne va e non è più con voi ".

Antonio si spense all’età di 105 anni, il 17 gennaio del 356. La fama della sua santità si era già diffusa in tutto il mondo cristiano.