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La Valle d'Itria è una superficie topografica amministrata, attualmente, da cinque comuni: Locorotondo, Cisternino, Ostuni, Ceglie Messapico e Martina Franca e si conforma con quote altimetriche piuttosto sinuose che vanno dai trecento ai quattrocentocinquanta metri.
Nella Valle si riscontrano diverse emergenze che hanno la sommità quasi pianeggiante e differenze di quote alquanto variabili.

Secondo alcuni autori il toponimo Itria abbrevierebbe "Madonna Hodegitria", il cui culto sarebbe stato introdotto nell'Italia meridionale dai Padri Basiliani nell'Alto Medioevo.
Secondo altri autori si dovrebbe dire Valle d'Idria da "Santa Maria d'Idria", che sarebbe stata venerata in un culto autoctono intorno al XVII secolo, sorto in seguito al rinvenimento della sacra immagine nella cisterna di una vecchia grangia basiliana.

Innanzitutto, si notano nella valle tre entità urbane preminenti (che ne segnano i primi confini): Locorotondo, Cisternino e Martina Franca.
La strada che collega Locorotondo a Cisternino costituisce, all'incirca, il confine Nord della Valle, mentre la via che dal cimitero di Martina Franca consente di pervenire al Monte Paretene, alle Caselle Vecchie e alla masseria Ferrara, rappresenta il limite Sud.
Come limite Est della Valle si possono considerare i sentieri che iniziando da Cisternino collegano la masseria Semeraro, la masseria Costa, la masseria Satia, l'insieme dei trulli denominato Sierri, la masseria Monte Marcuccio, la masseria Nisi e là masseria San Pietro del territorio di Ceglie Messapico.
Infine come confine Ovest si può ritenere l'antico sentiero che iniziando da Locorotondo è contiguo alle masserie Battaglini, Chiaffele, Pozzo Tré Pile, e raggiunge Martina Franca.

E' un territorio molto ricco per tutta la sua estensione di contrade e masserie e soprattutto di bianchi trulli dalla cupola grigia su cui campeggiano, segnati a calce, simboli evangelici e cosmici di una lontana catechesi cristiana, che aveva saputo innestare opportunamente il Vangelo sul sentimento religioso naturale legato a culti primordiali. Si tratta di simboli il cui significato ormai sfugge anche a chi per tradizione continua a ridisegnarli.
"Trulli": trulli con voce colta si chiamano generalmente oggi, ma la gente di campagna li ha sempre chiamati semplicemente casedde!

E' diffìcile immaginare quanto possa essere costato rendere un giardino abitato questa zona pietrosa, senz'acqua, assolata ed un tempo piena di macchie e boschi. Non vi sono più di due palmi di terra fertile, e delle volte non più di due dita sulla roccia fessurata, e vite ed olivo vi spingono le loro radici per trovare riparo nella frescura della pietra e poter così sopravvivere negli anni della siccità (senza accento nel dialetto locale).

La vera storia locale inizia con i Normanni, i quali nel 1054 conquistano Conversano costituendovi la Contea. Ad essa risultano assoggettate, inizialmente, molte terre di Valle d'Itria. Sotto il regno normanno l'intera Puglia si trova poi unificata nel 1071.
Dopo gli Svevi le debolezze del potere monarchico sfrenano via il regime feudale, e per il contadino murgese alla povertà si aggiungono la vessazione, l'angheria e lo scherno, da soffrire in silenzio.
Ai Baroni succedono i Galantuomini, e per lo stesso contadino si conia, come beffarda gratifica, l'ingrato epiteto di cafone.

Se invece si vuole andare più indietro con gli anni, sostiene Quirico Punzi che in Valle d'Itria esistevano comunità indigene, incontratesi prima con i micenei e poi con le genti miriche "che determinarono il processo di formazione delle genti Japigie e che cominciarono a far sfruttare razionalmente il territorio, sia pure per la semina di cereali che per l'utilizzo del legname".
La romanizzazione della Japigia ridusse i lavoratori della terra in condizione di semi-schiavitù che si videro così costretti a lavorare per i legionari romani, ai quali furono assegnate le migliori terre pugliesi con il metodo della centuriazione. Anche in Valle d'Itria alcuni studiosi leggono, nei vecchi tratturi o nei più antichi muri a secco, segni di centurìazioni. Tuttavia solo con la conoscenza delle complesse vicende politiche ed ecclesiastiche del Basso Medioevo della città di Monopoli si può comprendere l'origine dei casali di Locorotondo, di Cisternino e di parte del territorio di Martina, mentre l'altra parte segue la storia delle cospicue assegnazioni ad opera dei principi angioini di Taranto.

Durante il Basso Medioevo la città di Monopoli possedeva un vasto patrimonio ed un esteso territorio. Da un'indagine effettuata con mandato del rè sull'estensione dei suoi confini, si rileva che si estendevano fino ai tenimenti di Polignano, di Conversano, di Mottola, di Tarante, e di Ostuni; nello stesso documento si accenna anche a Locorotondo, a Martina, a Cisternino, a Putignano e a Castellana, compresi nel territorio, o posti lungo le linee di confine. Vanno poi considerati i possedimenti dipendenti dall'abbazia di Santo Stefano di Monopoli fondata nel 1086.Daundocumetodel principe Boemondo di Tarante del 1107 si può capire chiaramente quali fossero i diritti di cui godevano i territori soggetti all'amministrazione di questa abbazia.
Il documento concedeva che gli animali, senza il pagamento di alcuna tassa, potessero liberamente essere introdotti nelle terre del principe per il pascolo. I Benedettini, inoltre, potevano operare trasformazioni e miglioramenti fondiari nei territori deserti di propria competenza, edificare trappeti, mulini e forni, riscuotendo i relativi tributi.

Locorotondo, nella prima metà del XIII secolo, come afferma Giovanni Liuzzi, era una modesta unità rurale guidata dai frati benedettini che amministravano i coloni e servi della gleba, e ne percepivano le decime sulle produzioni.
Dunque la piccola superfìcie fondiaria che cingeva il villaggio deve le sue origini alla dominazione del monastero di Santo Stefano di Monopoli; successivamente i vassalli di Locorotondo passarono sotto altri signori. Non molto dissimili erano le condizioni di Cisternino,che aveva come barone il vescovo di Monopoli e pagava le prestazioni decimali alla Mensa vescovile.

Martina nel 1306 era un casale, un centro abitato aperto, successivamente cinto di mura e torri. Nel 1317 i suoi abitanti furono gratificati da Filippo I d'Angiò, principe di Tarante, con la concessione di una superficie di terreno circolare (distretto), che cingeva il centro urbano, del raggio di circa due miglia, riservato alla proprietà privata. Nel 1359 Martina ricevette, in aggiunta a quello precedentemente concesso, un più vasto territorio demaniale, ritagliato da quelli di Monopoli, di Tarante e, in misura minore, da quello di Ostuni.
Il primo documento originale, riguardante il demanio regio delle città di Monopoli e le terre di Martina, di Castellana, di Locorotondo, di Cisternino e di Fasano, risale al 1566 e fornisce una prima mappa della distribuzione fondiaria in Valle d'Itria. Il suddetto Demanio Regio era affidato in concessione ad enti ecclesiastici ed a privati con ben definite restrizioni, che permettevano solo la possibilità di coltivare una volta ogni tré anni. Dopo l'operazione di mietitura, le terre dovevano diventare di uso comune. I possessori erano tassativamente obbligati a diroccare le pareti, aprendo i passaggi, per consentire alle mandrie di pascolare e transitare nel contempo concimare i terreni con lo stereo, durante il biennio successivo al raccolto. L'unico diritto degli assegnatari era quello di seminare e raccogliere il prodotto ogni tré anni, sulle terre sative. Sulle zone macchiose e boschive esisteva il diritto di pascolo in maniera perpetua, e quello di tagliare e raccogliere legna per usi domestici.
L'atto del 1566 fu fondamentale per la storia e l'economia di Locorotondo, di Cisternino e di Martina perché segnò il principio della distribuzione fondiaria che, con successivi aggiustamenti nel tempo, comportò le caratteristiche che ancora oggi si possono notare, basate sul concetto di proprietà, inteso come diritto esclusivo.
Dal manoscritto si rilevano alcune indicazione toponomastiche, come la Padula delle Vigne, Vigne Vitrane, che possono far prefigurare, già nel XVI secolo, la vocazione viticola del territorio.

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