Nella tematica del repertorio dei trulli si riscontrano dei pareri discordanti su alcuni degli elementi architettonici tipici di queste
strutture edilizie.
In particolare, si evidenzia la virtuale distinzione tra arco e falso
arco, tra volta e falsa volta, tra cupola e falsa cupola che costituiscono
essenzialmente delle false interpretazioni di identiche modalità di risoluzione di quesiti architettonici da parte dei nostri avi.
Nel 1955, durante il IX Congresso Nazionale di Storia dell'Architettura, il Chierici affrontò tale questione ribadendo il concetto che "il
vocabolo "volta" indica quella parte di costruzione di muro di varia
forma, la quale poggiando su piedritti serve a coprire un edificio o
parte di esso. Sembra, quindi, non perfettamente proprio chiamare
falsa la volta trullica, mentre sarebbe più corretto indicarla come volta
inerte per la mancanza, più che del legante, di quel sistema di forze che
si assumono di mantenere la stabilità. Questa premessa non è del tutto
oziosa perché tende a rivendicare l'origine della volta, nella sua doppia
funzione estetica e pratica, al momento in cui un architetto di genio
tentò di rendersi padrone di un volume atmosferico avviluppandola
con una parete di muratura a secco. Il ricordo più lontano è suggerito
dall'architettura egiziana che, per esempio, ad Abydos durante la II dinastia innalzò edifici coperti da cupole, ma quello presente a tutti è offerto da Micene con la sala del cosiddetto "Tesoro di Atreo".
Questa tesi espressa dal Chierici propone una delle soluzioni al problema della distinzione tra volta vera e volta falsa. Infatti meditando
sulla etimologia costruttiva di questa struttura, egli appura che la concezione primordiale, ossia "l'assunto spaziale volta a cupola", non considerava l'uso di leganti, pertanto, a rigore di logica, la vera volta è
quella "falsa", mentre la sua evoluzione ha determinato differenti
principi di statica e di meccanica strutturale.