I MOTI LIBERALI IN RUVO DAL 1799 AL 1860 E LA GUERRA MONDIALE


INTRODUZIONE

La storia c'insegna che i roghi, le torture, le ritrattazioni non valgono a spegnere l'idea, quest'alata figliuola del pensiero, perchè essa è fatta da Dio, sua mercè, tale che umana miseria non la tange. Con la Rivoluzione Francese e le guerre napoleoniche si diffuse in tutta Italia l'idea liberale e nazionale. Per quanto attive e feroci fossero le repressioni della reazione, non valsero a spegnere quest'idea, anzi essa, santificata dal martirio, allora si quietò, quando ebbe raggiunta l'ultima meta: l'unità d'Italia con Roma capitale. Dal 1799 al 1860 nei Ruvesi si mantenne sempre vivo il desiderio di libertà e d'indipendenza. Essi presero viva parte alle rivoluzioni dei 1799, del 1820/21, del '48 e del '60.

1 - IL 1799 IN RUVO

I moti liberali del 1799 in Ruvo si alternano con quelli della reazione. Ora i liberali piantano il tricolore sulla torre dell'orologio e l'albero della libertà nella pubblica piazza, ora la reazione e le violenze della plebe li atterrano. Cittadini intemerati, non d'altro colpevoli che di essere liberali, furono vittime della plebaglia inferocita, eccitata e guidata da Simone Pellegrini, detto Capogrosso: il governatore fu ferito gravemente alla testa, mentre fuggiva per la via di Terlizzi; il noto liberale Michele Boccumini, condotto in carcere fra le contumelie della folla e quasi ignudo, dai tetti di casa sua, su cui era fuggito, è liberato a stenti per le premure del suo parente Nicola Cantatore; Saverio Montaruli e Giuseppe Jatta furono inseguiti a fucilate e feriti in Piazza Castello; Michele Coppa ed il notaio Biagio Caracciolo, rinvenuti il primo nella Cattedrale ed il secondo in casa del notaio Ficco, furono incarcerati e poco mancò che non fossero bruciati vivi. Nel marzo 1799 si formava la municipalità nelle persone di Francesco De Venuto, presidente, Raffaele Cotugno, Giuseppe Ursi, Luigi Lorusso, Vito Paolo Riccardi, Vito Nicola e Pasquale Cantatore, componenti, Simone lurilli, segretario. Il dì 26 marzo, verso le ore 16, fu ripiantato nella pubblica piazza l'albero della libertà; ma non passarono neppure due mesi, che il 21 maggio la reazione rendeva dedizione al cardinale Ruffo ed abbatteva l'albero. In questi moti si distinsero, per nobiltà di sentimenti e per amor di patria, Giovanni Jatta ed Ettore Carafa, conte di Ruvo: due nomi, che dovrebbero suonare antagonismo, e che, invece, per la stranezza delle umane vicende, li troviamo congiunti in questi dolorosi avvenimenti. Entrambi coraggiosamente esposero la propria vita per liberare la patria dall'assedio e dalle stragi delle armi francesi, ma con diversa fortuna. Giovanni Jatta riuscì nell'intento e, coll'esilio, scampò il patibolo; al contrario, Ettore Carafa ebbe avversa la sorte. Non riuscì a liberare Andria, sua patria, dall'incendio e dal saccheggio, quantunque si gettasse finanche ginocchioni ai piedi del generale Broussier, implorando pietà per la città nativa. Perdette anche la vita, perchè, fatto prigioniero, morì sul patibolo da eroe qual visse. Il Conte di Ruvo, scrive Pietro Colletta, svillaneggiato dal giudice Sambuti, ruppe le ingiurie dicendogli: "Se fossimo entrambi liberi, parleresti più cauto; ti fanno audace queste catene "; e gli scosse i polsi sul viso. Quel vile, impallidito, comandò che il prigioniero partisse; e, non appena uscito, scrisse la sentenza di morte. Egli, nobile, dovendo morir di mannaia, volle giacere supino per vedere quasi a dispregio scendere dall'alto la macchina che i vili temono. Il supplizio ne fa rifulgere con l'aureola del martirio la nobile figura. Valga il suo sangue generoso ad espiare le infinite prepotenze ed angherie, di cui fu vittima la nostra città nel secolare dominio dell'illustre sua casata.

2 - IL 1820-21 IN RUVO

Nel movimento costituzionale dei 1820-21, promosso dalla setta dei Carbonari, allora potentissima e molto diffusa nel Napoletano, in Ruvo fu serbata la massima tranquillità ed il più saggio contegno. Benchè non ci fosse alcuna novità, molti Ruvesi si segnalarono nel 1820, per amore grandissimo alle liberali istituzioni. Era in Ruvo gran maestro della Carboneria Michele Caputi di Matteo, che nel 1821 partì alle frontiere con Rocco Cantatore, farmacista, e Marcantonio Pagano, mugnaio, col grado di maggiore legionario contro gli Austriaci, che, vittoriosi a Rieti, entrarono in Napoli nel marzo 1821. Fin dal 1817 sorgeva in Ruvo la società dei Carbonari, detta "la Perfetta Fedeltà" con 162 iscritti, fra i quali è da ricordare Caputi Tommaso, fratello di Michele, detto il Comandante, che combattè contro gli Austriaci ad Androcoo. Vincenzo Cervone fu Pasquale è la figura più veneranda dei Carbonari ruvesi dei 1820. Dopo aver preso parte alla Dieta delle Pugile, convocata da Domenico Tupputi di Bisceglie nel suo palazzo il dì 5 luglio per proclamare la costituzione del regno, esiliato, andò errando lontano dalla famiglia e dalla terra natia, non perciò affievolendosi in lui la fede nella redenzione della patria.

3 - IL 1848 ED IL 1860 IN RUVO

Sebbene Ferdinando I con decreto del 10 aprile 1821 sciogliesse le società segrete, in Ruvo si continuò a congiurare in casa di Michele Anelli, di Luigi Simia e di Marino e Pasquale Cervone. I due fratelli Cervone furono costretti a rendersi latitanti e le loro signore, Chiara e Maria Cotugno, sono degne di tutta la nostra ammirazione per aver saputo mantenere con animo più che virile, dinanzi alle frequenti perquisizioni dei poliziotti, la più completa tranquillità d'animo onde nascondere le interne inquietudini. Oltre a queste due signore, sono degne anche di essere ricordate alla riconoscenza dei posteri, per la costanza e la rassegnazione, con cui sopportarono i più gravi sacrifizi e disagi, la signora Clementina Quinto, moglie di Francesco Rubini, e le due figlie di Vincenzo Cervone, Maria e Vittoria. In queste donne la rivoluzione ebbe in Ruvo le sue eroine. I Patrioti ruvestini dei '48 e del '60 si riunivano assieme con molti altri della Provincia anche nei siti lontani dall'abitato: nel casino Ursi a Valle Noè, nella masseria Ciccio Ficco, nell'altra dei fratelli De Astis a Monserino, che era la rocca forte dei liberali. Fra questi spiccano le due figure di Francesco Rubini fu Pasquale e Nicola Berardi fu Francesco, notaio. Francesco Rubini, buon parlatore, arringava sovente il popolo nella chiesa della Madonna dell'isola, facendo proseliti alla causa della libertà Ricercato, si rifugiò in casa Mazzilli in Corato, donde si liberava dai poliziotti, uscendo travestito con abiti sudici da servetta. Nel decennio, che corse dal '49 al '59, infierì in provincia di Bari la più cruda reazione. I liberali e le loro famiglie si videro esposti alle continue insolenze di Aiossa in Bari e Santoro in Barletta. Furono condannati Michele Anelli e Luigi Simia con sentenza della Gran Corte di Lucera (27-11-1852): il primo a 20 anni di ferri, l'altro alla pena di morte; Michele Altamura fu Angelo, Vincenzo Cervone fu Pasquale e Marino Cervone furono arrestati per illecite associazioni e poi assolti dalla Gran Corte di Lucera il 15-11-1852; Era il martirio, che precede l'ora della redenzione. E questa suonò finalmente nel 1860. La marcia trionfale di Garibaldi da Marsala a Napoli apportava dovunque la luce della libertà e suscitava il più grande entusiasmo e le più belle speranze nei liberali, che, dopo tante ansie e patimenti, vedevano alla fine cadere, e per sempre, l'aborrita dinastia dei Borboni. Nel periodo della rivoluzione, il Governo Provvisorio della città fu assunto da Francesco Rubini, da Vincenzo Chieco con la carica di Sindaco e da Giovanni Jatta fu Giulio. Si costituì anche la Guardia Nazionale; che fu dapprima comandata da Giovanni Jatta e poi dal maggiore Francesco Rubini. Componevano la guardia nazionale sei compagnie, delle quali furono capitani Biagio Cotugno fu Raffaele, Nicola Palumbo-Vargas, Giuseppe Villari, Nicola Berardi, Pasquale Cervone fu Michele, Michele Mastrorilli. Dopo l'entrata di Garibaldi in Napoli, il 7 settembre, i liberali di Ruvo si divisero nelle due tendenze, che fin dal '60 divisero quasi tutti i liberali d'Italia. Così, fin dal '60, si delinearono in Ruvo i due partiti locali, che si mantennero in fiero contrasto fino ai nostri giorni e che, con le loro gare personali e con gli odii di partito, dovevano essere l'estrema ruina del Comune.

4 - LA GUERRA MONDIALE

Proclamato il 17 marzo 1861 il regno d'Italia, le guerre del 1866 e del '70 e la mondiale del 1915-18 furono combattute dal popolo italiano principalmente per strappare dagli artigli austriaci le terre italiane, che ancora giacevano sotto il loro dominio. La guerra del 1866 fruttò il riacquisto del Veneto; quella del '70 la presa di Roma; la guerra mondiale la liberazione della Venezia Giulla e Tridentina. Il monumento ai Caduti, eretto in Piazza Porta Noè col triste elenco dei 367 morti in guerra ed i numerosi mutilati attestano il contributo di sangue dato da Ruvo alla causa nazionale. Finchè sarà santo e lacrimato il sangue per la patria versato, quei morti avranno onore di pianti, di fiori e di devoto culto da parte del popolo riconoscente. Essi rendono ancora più sacro il suolo della patria bagnato dal sangue di lor giovani esistenze. Nelle nuove guerre, che il popolo italiano dovrà, forse, un giorno sostenere per la difesa e la maggiore grandezza della patria, quel monumento ai Caduti, nella sua religiosa pace, indicherà ai combattenti il dovere da compiere: piuttosto morire, anzichè permettere che piede o mano straniera calpesti o insulti i cinquecentomila morti sacri alla patria.


LE VARIE TAPPE DEL PRODOGIOSO PROGRESSO DI RUVO

INTRODUZIONE

Le guerre e le rivoluzioni sono le tappe sanguinose, per le quali l'umana società progredisce ed, evolvendosi, va sempre avanti. La faticosa storia degli uomini - dice il Carducci - gorgoglia sangue nei secoli e la guerra, cavalla indomita, corre il mondo. A queste tappe sanguinose dell'umano progresso la nostra città deve la sua rivendicazione, per cui si ebbe il meraviglioso sviluppo dell'agricoltura e del commercio con la ricchezza sempre maggiore dei cittadini e l'aumento prodigioso della popolazione, verificatosi in tutto il corso del secolo passato e nei primi trent'anni del nostro.

1 - PRIMA TAPPA

Si è innanzi detto che sotto il dominio di Casa Carafa la nostra città fu oppressa dalla prepotenza baronale e dagli abusi dei Locati Abruzzesi. In seguito alla Rivoluzione Francese ed alle guerre napoleoniche, i cittadini si liberavano dal feudatario, che li opprimeva e dissanguava, dai suoi spietati armigeri, che li bastonavano a sangue, dal tetro ed oscuro carcere della torre, divenuta da fortilizio prigione baronale, e dai vampiri abruzzesi. Abolita la feudalità nel 1806, l'antico feudo scompare e ad esso subentra la proprietà privata, per cui i molti beni di Casa Carafa sono venduti e comperati dai privati. Con le provvide leggi sul Tavoliere del 1806 e del 1817, i terreni, appartenenti alle Confraternite, alle Chiese ed ai Luoghi Pii, sono censiti ed i fittuari ne divengono proprietari. In seguito alla legge del 1808, i terreni demaniali aperti vengono chiusi, parte gratuitamente, parte mediante affrancazione. I cittadini, divenuti proprietari di questi terreni, mossi dalla molla potentissima del proprio interesse, si diedero a migliorarli, ad accrescerne le piantagioni con grande vantaggio proprio e dell'agricoltura. A questo modo si ebbe la prima benefica trasformazione dell'agro ruvestino, di cui fu una diretta conseguenza il primo aumento straordinario del valore dei fondi e quindi della ricchezza dei cittadini. Parimenti cambiarono del tutto le condizioni del Comune. In seguito alle cause vinte contro la casa Carafa ed alla transazione del 1805, il Comune rivendicò quasi tutti i suoi beni e le sue rendite e, da fallito, divenne uno dei più ricchi della Provincia.

2 - SECONDA TAPPA

La seconda tappa del prodigioso progresso di Ruvo è dovuta alla guerra ed alla rivoluzione del 1860. Dopo il 1860, il governo liberale riprese l'opera del governo francese, interrotta dalla reazione borbonica. Si ebbe dapprima la conciliazione demaniale dei 1864 per il demanio feudale delle Murge. Seguì la soppressione degli Ordini Religiosi e della manomorta. Si provvide, infine, ai mezzi di comunicazione indispensabili per lo sviluppo dell'agricoltura e del commercio. Numerose strade nuove misero in comunicazione con la città qualsiasi contrada, anche la più lontana, del suo vastissimo territorio. Il vapore, che passa benefico di luogo in luogo, mise in contatto la nostra città con le più lontane regioni d'Italia e con le nazioni estere. Coi mezzi di comunicazione si ebbe la seconda meravigliosa trasformazione dell'agro ruvestino. Ne derivò, per la seconda volta, un fortissimo aumento del valore dei fondi e della ricchezza della città fu, mediante i contratti a miglioria, a lunga scadenza, che le masserie a semina delle Mattine, delle Strappete, delle Ralle, di Monserino e di Belluogo si trasformarono, come per incanto, in fiorenti vigneti ed in oliveti e mandorleti. Questi contratti a miglioria, a lunga scadenza, produssero parecchi benefici effetti: primo, di spezzettare i latifondi in piccoli lotti e creare così la piccola proprietà terriera; secondo, di dare la terra a molti, che non ne avevano, dimodochè non vi fu quasi contadino che non avesse la sua piccola quota di terreno; terzo, di mettere questi nella possibilità, industriandosi, di migliorare le proprie condizioni economiche. Fra tutte le contrade quella che, per la sua fertitità, fu fonte di maggiore ricchezza, fu la vasta contrada denominata Mattine, a cui si devono i bei palazzi di Corso Cavour e l'agiatezza dei proprietarli che l'abitano. Con l'aumento del benessere, si ebbe anche l'aumento della popolazione, che, oggi, è quasi il triplo di quella che la nostra città contava nel 1860. In ragion diretta della popolazione, la città si è ingrandita con nuovi quartieri, che circondano da tutti i lati la vecchia città e ne sono per due volte più grandi.

3 - PARTITI LOCALI E SPOGLIAZIONE DEL COMUNE

Ma se il regime liberale fu causa di così grandi benefici per la nostra città, le gare personali e gli odii dei partiti locali furono addirittura fatali al Comune, che, oltre ad essere bruciato nell'infausta notte dell'8 gennaio 1894, fu anche spogliato di tutti i suoi beni e di tutte le sue rendite. Non c'era mezzo più efficace per cattivarsi il favore delle masse ignoranti, che promettere di dar loro in demanio le vaste proprietà comunali. Bastava pronunziare la magica parola "demanio" perchè l'intera popolazione perdesse il ben dell'intelletto. Divenne così travolgente la corrente popolare, che gli Amministratori del Comune non ebbero la forza, nè il coraggio civile di opporsi. Essi sacrificarono i beni e le rendite del Comune al favore popolare: cosi come gli antichi Amministratori li avevano sacrificati alla prepotenza baronale. Non ci fu cosa più inconsulta, nè che maggiormente disonora la nostra città, quanto la quotizzazione delle proprietà comunali. Se il Comune non fosse stato spogliato di tutti i suoi beni, la loro rendita annua di parecchie centinaia di mila lire sarebbe stata di sollievo all'intera cittadinanza, rendendone meno gravosi i tributi. Al contrario, la quotizzazione delle proprietà comunali in piccole quote, non ha avvantaggiato neppure i fortunati, che le hanno avute, i quali, per le varie e dolorose vicende della vita, sono stati già costretti, in gran parte, a venderle o ad abbandonarle.

4 - TERZA TAPPA

La guerra mondiale e le rivoluzioni, che ne sono state una diretta conseguenza, sono la terza tappa sanguinosa dell'umano progresso. Si è avuto così per la terza volta un fortissimo aumento di tutti i valori e di tutte le ricchezze. In Italia la guerra mondiale e la Rivoluzione Fascista, che l'ha seguita, hanno determinato la fine del regime liberale e l'affermazione di un nuovo regime, che è quello dominante. Nel dopo-guerra la nostra città, con l'intera nazione, cadde in uno stato di anarchia. Tutti ci ricordiamo con terrore gli anni 1920-21 e '22, nei quali l'invasione delle terre e le continue agitazioni rendevano mal sicura la vita e le proprietà dei cittadini. Fu gran merito del Fascismo aver liberato, con I'Italia, anche la nostra città da questo stato turbolento di cose e l'averci ridata la pace e la tranquillità, ripristinando l'ordine e la disciplina. Formano anche un gran merito del Regime le grandiose Opere pubbliche, iniziate e compiute in tutta Italia e che danno lavoro e pane a centinaia di migliaia di operai. Anche la nostra città si è avvantaggiata di questo fervore di Opere pubbliche col prosciugamento del pantano e con la fognatura, che sono due opere d'inestimabile utilità all'igiene ed alla salute del paese. Le acque putride, che stagnavano nel pantano, e che, esalando miasmi, rendevano la città di Ruvo zona malarica, sono state, con lavori mirabilmente diretti dal genio civile, incanalate per una galleria sotterranea dove, prima che giungano a destinazione, vengono inghiottite dalle molte voragini, in cui s'imbattono. Nei lavori di fogniatura, finora eseguiti, si sono trovati degli antichi sepolcri e qualche armatura; però questi oggetti sono stati portati chi sa dove ed il Comune, nei cui suolo sono stati trovati, non ha potuto neppure valutarli per liquidare, almeno quanto ad esso spettava di diritto. Di pari utilità all'intera cittadinanza sarebbe stata anche la nuova ferrovia, se la stazione non fosse stata fatta nel punto più fuori mano e più scomodo per il transito delle merci e per i viaggiatori e se la ferrovia non avesse tagliato le due vie delle Mattine e di Santa Barbara, che sono le due arterie principali del paese. Questo stato di cose vien reso ancora più grave dal fatto che non si è avuto neanche la cura di fare un cavalcavia, almeno sulla via delle Mattine, che è la più battuta, onde evitare qualsiasi inconveniente nel transito delle vetture.

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