DAL P.R.G. PIACENTINI-CALZABINI AL PIANO QUARONI


      Solo nel gennaio del '64 la Commissione mista propone, tra i progetti illustrati nella sua relazione, la stazione sopraelevata confermando il costo di almeno 28 miliardi. Non bastò la decisione della Commissione a rendere esecutivi i lavori, ma si dovette assistere ad una affannosa serie di riunioni e di polemiche per dover poi constatare la vergognosa realtà: la ferrovia non si sposta.

      La volontà di risolvere il problema del nodo ferroviario era stata battuta dall'incoerente convinzione di mantenere lo "status quo" dell'intera situazione. Soprattutto il Partito Comunista Italiano, in quegli anni, cominciò a inquadrare nella giusta maniera la globalità del problema. Nel punto in cui si era giunti, non si poteva più parlare singolarmente della problematica del nodo ferroviario, ma doveva essere portato avanti un discorso più ampio che tenesse conto di altri aspetti mai considerati che affliggevano la città, come il rapporto tra città e campagna, il ruolo produttivo di Bari ed in ultimo, ma forse il più importante, il Piano Regolatore Generale della città.

      Si prese finalmente coscienza che uno dei primi ostacoli al corretto sviluppo urbanistico della città era proprio il P.R.G. Piacentini-Calzabini. Si constatò che tale piano aveva posto l'attenzione principalmente sul borgo murattiano sconnesso dal resto della città ed, inoltre, fornendo delle previsioni che favorirono la ricostruzione, in modo caotico, del centro di una città estranea al suo entroterra.

      Con queste considerazioni l'opposizione cominciò a chiedere un nuovo piano urbanistico che inserisse Bari nel contesto della sua provincia essendo consapevoli della centralità regionale che ormai il capoluogo aveva assunto.Fu proprio nel 1964, con la crisi della giunta della Democrazia Cristiana, che l'amministrazione della città passò in mano ad un 'area di centro-sinistra presieduta dal Sindaco Liurri che fece del P.R. l'elemento centrale del suo programma di governo".

      Nell'aprile del '65 fu affidato l'incarico all'architetto Ludovico Quaroni che doveva essere coadiuvato da una Consulta durante la stesura del nuovo piano. Dai 15 mesi, nei qual i si prevedeva di ultimare il progetto, si arrivò, per varie vicissitudini politico-burocratiche, a ben 12 anni. A 2 mesi dall'incarico, la giunta di centro-sinistra dimostrò di aver già adattato una soluzione del nodo ferroviario indipendentemente dalla proposta di Quaroni: da un lato la giunta chiese all'architetto una soluzione "organica" al problema della ferrovia, dall'altra, in maniera contraddittoria, approvò nel bilancio del '65 una spesa straordinaria per la costruzione di 4 ponti sulla ferrovia, confermando indirettamente l'impossibilità di mutare l'ubicazione della stazione. Quaroni, inoltre, da una fu fortemente vincolato serie di altre scelte fatte per la città racchiuse nel piano A.S.I.. Risultò chiara la strategia dell'organo di governo: dare nome prestigioso allo lustro con un sviluppo della città quando in realtà, quando in realtà molti definiti. Fu aspetti erano stati già da tempo quindi solo una "operazione di facciata" e occasione di propaganda proposti, elettorale.

      Dei quattro ponti furono realizzati soltanto due: il primo nel rione Japigia-Madonella, ed il secondo in C.so Cavour; tali sopravie, in teoria, avrebbero dovuto risolvere i problemi di traffico ma in pratica si prestarono ad operazioni speculative che incrementarono le rendite fondiarie e le attività commerciali poste nelle zone adiacenti.

      Nel novembre del '65 Quaroni, in accordo con i principi generali del piano, propose una dislocazione della stazione ferroviaria definendo come sua naturale collocazione la cosiddetta "zona di smistamento" (situata a cavallo di via Brigata Bari).

      Tale soluzione, però, avrebbe avuto effetti devastanti sui precari equilibri economici della città: molti suoli adiacenti all'attuale stazione avrebbero perso valore i n termini di rendita fondiaria e molte attività economiche e commerciali sarebbero state seriamente danneggiate.

      La proposta, quindi, se da un lato evidenziava una nuova visione organica della città intercomunale, dell'altro lato si scontrava con una serie di innumerevoli questioni cittadine.

      I contrasti sorsero ben presto e furono alimentati dal Partito Comunista che evidenziò l'antitesi circa la costruzione di ponti su una ferrovia che si sarebbe dovuta spostare. Si innescarono una serie di contrasti politici che di fatto rallentarono l'attuazione del piano.

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