PITTAGIO S. SALVATORE
Sorto e sviluppatosi nell'area prospiciente il Pittagio Castelli Veteris,
dal quale era diviso dalla via pubblica, il Pittagio S. Salvatore rimane
assolutamente privo di notizie per tutto il periodo precedente il secolo
XV. Non che la documentazione del 1400 dica gran che. Se non fosse per
il testamento di Filippo Sambiasi (15 febbraio 1428) non si saprebbe
neppure che, in quest'epoca, nel quartiere sorgevano tre hospicia di
proprietà rispettivamente dello stesso Filippo Sambiasi, di Antonello
de Anestora, e di Roberto Sambiasi. Si sa ancora che il già menzionato
Sambiasi possedeva una "Dòmus alia nominata cellario curn orto uno cum
diversis arboribus iuxta hospicium Antonelli de Anestora iuxta hospicium
Roberti de Sancto Blasio". Nessun riferimento alla suddivisione del
quartiere in vicinia, nessun riferimento a chiese, luoghi di culto,
o spazi ad uso pubblico. Una maggiore informazione (almeno rispetto
al silenzio dei secoli precedenti) offerta dalla documentazione del
secolo XVI non meraviglia poi tanto, essendo, la forte ripresa demografica
registratasi in tale periodo, un fenomeno che non riguardo solo l'estremo
meridione d'Italia. La capitale del Regno, Napoli, raggiunge in questo
momento, per esempio, una popolazione di circa 225.000 abitanti. L'unico
censimento, purtroppo, che si possegga per Nardo' e' quello fornito
da una "copia" della Relatio del De Epifans (1412), secondo il quale,
in tale data, la popolazione neritina sarebbe ammontata a 15.700 abitanti.
Si può tentare di spiegare tale situazione partendo dalla constatazione
della assenza nel quartiere di una grossa fondazione ecclesiastica,
o monastica, o, comunque, di un ente di carattere pubblico. Fatta eccezione
per i palazzi delle potenti famile Sambiasi e De Anestora, sembrerebbero
esser mancati quei poli di sviluppo necessari alla composizione e all'evoluzione
sociale del quartiere. La carenza e la lacunosità della documentazione
potrebbe suffragare l'ipotesi di un ruolo marginale svolto dal Pittagio
in questione. Nel secolo XVI il quartiere si articolava in Otto vicinia
(S. Angelo, S. Pietro Malearti, S. Giovanni, S. Demetrio, S. Leone in
via Lata, SS. Trinità, S. Tommaso, S. Maria della Misericordia), era
servito da sedici chiese, vale a dire S. Pietro Malearti, S. Teodoro,
S. Maria Cantone, S. Nicola "in curti domorum Augustini", S. Nicola
"iuxta domum Joannis", Trinità, S. Giovanni Battista, S. Matteo, l'Annunciazione,
S. Angelo, S. Tommaso,. S. Leone in via Lata, SS. Trinità, S. Nicola,
S. Costantino, SS. Trinità, comprendeva un forno, un giardino di proprietà
dell'abate Gabriele de Nestore , una quarantina circa di domus, tre
"case palazzate" . Tale situazione avrà riflettuto, ovviamente, sia
pur in parte, un asseto risalente ad un periodo anteriore il 15OO. Dalla
Visita Pastorale del Bovio la chiesa di S. Agata risulta, per esempio,
diroccata per mandato di mons. Ambrogio Salvio (1569 -1577); di un'altra
chiesa, quella di S. Leone in via Lata, e' detto: "iam diruta et solo
aequata" ; anche la chiesa di S. Nicola Spinelli risulta già abbattuta.
Di queste ultime, al tempo del. Bovio, sopravvivevano solo i benefici,
di cui erano titolari, rispettivamente, l'abate Pietro Scopetta settimo
Canonico della Cattedrale, Don Luigi Macedo, presbiterio della Cattedrale,
e Don Francesco Calò, presbitero, anch'egli, della Cattedrale . Non
va taciuto che per il Pittagio S. Salvatore solo una vola si fa menzione,
nel secolo XV, di attività di carattere commerciale. Nel testamento
di Filippo Sambiasi si fa riferimento ad una domus alia nominata cellario
cum orto uno cum diversis arboribus . La documentazione del secolo XVI,
che pur sembra ess ere più ricca sotto altri aspetti, censisce una apotheca,
un magazeno, ecc. Ciò che, comunque, sembra rimanere immutato, ciò che
il basso medioevo e i primissimi tempi dell'età moderna sembrano ereditare
dai secoli precedenti è, almeno per quel si riferisce a questo quartiere,
il tessuto sociale in tutto il suo spessore. Accanto alla situazione
teste' considerata; accanto cioè a certe emergenze che non sono solo
di natura architettonica; accanto ai palazzi gentilizi dei Sambiasi
e dei De Anestora; accanto alla "casa una palazata" - di cui non si
conosce il proprietario "cum un altra casa discoperta coniuncta cum
orticello cum certi arbori de marangia cum curticella" ; accanto, ancora,
alle domus paiaciate di proprietà della chiesa di S. Pietro Maliarti
; accanto alle due "case palazate" di proprietà di Benedetto Poso, abate
di S. Maria dell'Alto, in via Lata, nei pressi della chiesa di S. Leone
, del forno di proprietà di Pietro Vetrano , delle "case di lanna, servitute
de li Panthalei" trovano le case e le proprietà di famiglie come i Fontana,.
i Pandello, i Barbari, i Bellante, le quali, se pur incominciano a premere
alle spalle del vecchio ordinamento, non scalfiscono per niente quello
che Manieri - Elià chiama sistema feudale premercantile, poggiante su
un meccanismo di "dipendenze interne", la cui "peculiarità strutturale
consiste nel fatto, immediatamente evidente, che in essi l'impegno costruttivo,
coincide con il luogo del potere, sia esso laico o religioso". Tipo
di rapporto, sicchè, marcatamentee ipotattico dove "ogni parte si lega"
in un vincolo "di stretta dipendenza all'episodio centrale qualificante"
. Questo formarsi dell'agglomerato di quartiere per "dipendenze interne"
costituisce, ugualmente, il modulo di sviluppo degli strati sociali
più umili, essendo la casa a corte un sistema di comunità familiare
anch'esso centralizzato, prevedendosi al centro la casa paterna, intorno
alla quale (nucleo dell'unità familiare) si venivano sviluppando i nuclei
abitativi dei figli. Il rapporto sociale sentito come legame di dipendenza
si ramificava. ulteriormente. Nella casa a corte, infatti, si individua
un "nucleo primario" o "embrionale", e un "nucleo secondario" "formato
probabilmente dal primo figlio maschio sposato che, in virtù di un regime
patriarcale, poteva continuare a dividere col padre i beni della famiglia,
servendosi delle provviste ottenute dal. terreno retrostante l'unità
abitativa originaria, far parte della vita della corte, usarne gli accessori,
specialmente i granai" . Le cinque "case... coniuncte cum curte" di
proprietà di Antonello di Montefuscolo, abate dell'Abbazia di S. Angelo
della Salute ; la stesa "casa una palazata cum un altra discoperta coniuncta
cum orticello cum certi arbori de marangia cum curticella", già censita,
e confinante con la chiesa di S. Pietro Malearti e con la casa di Raimondo
Ingusci, si articolano, per l'appunto, secondo questo senso dell'unità
familiare, che si traduce nell'accorpamento delle stesse unità abitative
gravitanti sulla corte. Ad ulteriore chiarezza e comprensione. di questo
modello sociale, abbastanza utile risulta una indicazione, anche se
questa viene dal Pittagio Castelli Veteris. Dei beni appartenenti alla
Chiesa Cattedrale facevano parte "case dui coniuncte cum tre orticelli,
curte, puczo et pila" . Questa tipologia è stata qui utilizzata, in
quanto contribuisce a rendere comprensibile la laconicità riscontrata
per i moduli riportati nel Pittagio S. Salvatore. Le case coniuncte
cum curte, di cui sopra, o la più dignitosa casa palaciata congiunta
ad un alti a per mezzo della solita corte non mancante del retrostante
giardino diventano le case accorpate ad altre, prospicienti tutte la
corte comune, con uno spazio anteriore corredato degli accessori pure
in comune, vale a dire il "puczo" (come e' detto nella Visita Pastorale
di mons. Setario) al centro, o spostato su di un lato, e la "pila",
o lavatoio a ridosso d'uno dei muri, ed uno spazio posteriore, generalmente
coltivato, giardino, per le prime provviste della comunità familiare,
nel quale era prevista una fossa per il letame e che svolgeva anche
la funzione di fogna . Ma prima di terminare con il modello sociale
che viene proposto proprio dalla casa a corte, e necessario considerare,
sia pur brevemente, la tipologia fornita dalla casa palaciata o palazata
"coniuncta" ad altre cum curticella, come quella già indicata. I rari
esempi che ancor oggi sopravvivono anche in questo quartiere, richiamano
l'attenzione su un nuovo "elemento qualificante": la scala. Essa, come
giustamente e' stato osservato da A. Costantini, non serve a creare
nuove soluzioni architettoniche, una nuova scenografia, ma esprime soprattutto
una condizione più agiata, una differente economia "legata evidentemente
ad un tipo d'agricoltura più redditizia, quale vigneti ed uliveti".
La scala, quindi, stabilisce una divisione, una distinzione con la vecchia
corte. Non per nulla la domus diventa domus palaciata, evidenziando
un salto socialmene qualitativo. Alla fine del medioevo questo quartiere,
pur rimanendo saldamente ancorato ai modelli offerti da un tipo di organizzazione
economica arcaica, non rimane tuttavia immune dai movimenti, sia pur
lenti, presenti all'interno di questo rapporto per "dipendenze interne".
Le domus terranee dei documenti si arricchiscono, a questo punto, di
un ulteriore significato e funzione, quella cioè di locali al piano
di terra della corte (l'aspetto compositivo originario) adibiti ad abitazioni,
quando di abitazione nulla più avranno avuto. L'uso della scala, vale
a dire il sorgere della casa palazata all'interno della corte, che veniva
con lo svuotare quest'ultima del ruolo e della funzione di spazio sociale
accomunante, appunto, le unità abitative, condurrà lentamente a mutare,
almeno spesso, la destinazione d'uso dei locali situati al piano terra.
In questo quartiere, in cui l'esponente del potere politico, polo di
sviluppo e di ampliamento, per lo meno intorno ai secoli X1V - XVI,
della comunità residente, e' rappresentato unicamente da famiglie come
quella dei Sambiasi, il tipo di dipendenza verticale si ripropone anche
alla base, all'interno della stessa corte, con il ruolo riconosciuto
al pater familias. Non sempre, tuttavia, la corte esprimeva quell'unità
familiare con la quale "il contadino sfuggiva" all'isolamento "cui la
natura stessa del suo lavoro lo condannava; in essa aveva modo di coltivare
ed approfondire i valori della parentela, dell'amicizia, della collaborazione,
del frequente scambio di servizi, della conservazione di certi usi,
credenze, principi morali e religiosi". Nel 1501, per esempio, proprio
in Pittagio S. Salvatore, nel vicinio S. Giovanni una casa di proprietà
dell'abbazia di S. Maria dell'Alto divide la corte con proprietà dell'abate
Gabriele de Nestore; è detto, infatti, "una casa cum curti communi cum
abbate Gabriele De Nestore" ., Altri esempi in tal senso, risalenti
anche ai secoli precedenti, si trovano con facilità negli altri pittagi;
si veda il caso (li quelle "domus cum curticella communi cum Nuccio
de S. Lucia", sita in Pittagio S. Angelo, proprietà del Monastero di
S. Chiara, tenuta ad loerium da Giacomo Taccari nell'anno 1427 . A differenza
degli altri quartieri, almeno per quel che la documentazione dice, nel
Pittagio S. Salvatore non viene riportata alcuna "domus cum furno" così
come invece avviene, per esempio nel Pittagio S. Angelo nel 1427 . Si
ha notizia solo di un forno di proprietà di Pietro Vetrano. Il testo
della Visita Pastorale di mons. Setario non consente di intendere altro.
Probabilmente si sarà trattato di un forno d ' uso pubblico, situato
nel vicinio di S. Leone in via Lata, più che di un forno incluso in
una corte plurifamiliare; nè si può dire se si trattasse di un forno
padronale, del quale i contadini erano abituati a servirsi "pagando
un piccolo onere relativo". E assai verisimile che "la proprietà di
questi forni fosse una prerogativa peculiare delle famiglie più ricche",
essendo quasi sempre "annessi a coiti private abitate" . Per il 1578
dalla Visita Pastorale di mons. Bovio si ha notizia, infatti, di una
"domus" - nel Pittagio Castelli Veteris, in vicinio Episcopatus - "cum
fumo, cortili, et pluribus membris" . Questa era dotale del notaio Aquilante
Costa, e redditizia della Mensa Vescovile. Si può dire in definitiva,
dagli scarsi elementi emersi, che il Pittagio S. Salvatore dove a presentare
una fisionomia ben compatta e differenziata da quella degli altri tre,
per la presenza esclusiva di una nobiltà che svolge il suo ruolo primario;
che ancora, e per molto tempo, noi sarà assorbita nella società. In
questo quartiere non v 'è mai stato in tutto il medioevo sino al secolo
XVII un ente come quello del Monastero di S. Chiara per il Pittagio
S. Angelo, ne mai e stato sede, come il contiguo Pittagio Castelli Veteris,
del potere laico o religioso, nè tanto meno ha accolto un rione come
quello della giudecca, così marcatamente caratterizzato da quel; tipo
di strutture che fanno di ogni centro urbano il momento di trasformazione:
della materia prima in prodotto finito e dello smercio dello stesso.
La composizione signorile (la una parte e contadina dall'altra sarà
l'unica connotazione di questo quartiere. La presenza in via Don Minzoni
di un consistente hospicium dai moduli chiaramente settecenteschi deturpati
da profondi rimaneggiamenti, la presenza di Piazza S. Matteo di una
domus palaciata cum intercolumnio, ma specialmente la presenza, in via
Don Minzoni di Palazzo Asciutti; profondamente rimaneggiato in cadenze
Liberty, di Palazzo Personé, sempre in Via Don Minzoni, di Palazzo Vaglio
Massa in via Lata dalla dignitosa facciata neoclassica, è abbastanza
significativa per la composizione socio-politico-economica del Pittagio,
appartenendo le famiglie menzionate alla nobiltà agraria. Il palazzo
dalle forme tardo-cinquecentesche fra via Lata, via Don Minzoni, e via
Perillo; a un altro palazzo, pur esso della fine del secolo XVI, tra
via Nicola Ingusci e via Don Minzoni, con accesso da quest'ultima, come
pure il consistente palazzo barocco in via Margherita, offrono la prova
più evidente di una continuità sino alle soglie dell'età contemporanea.
Le piccole corti dallo strettissimo ingresso con volta a botte, come
quella dell'angusta via Fuor di mano, o quelle plurifamiliari di via
Strozza, via Giuggiola, via Perillo, vico Misericordia ecc. in un tessuto
viario di inalterato impianto medioevale, sottolinea ulteriormente,
e per altro verso, l'immobilismo sociale ed economico caratterizzato,
come si diceva, dalla preminenza del reddito agrario. Altresì significativo,
e' anche il numero delle chiese che, come s'è già detto, erano ben quindici
per il solo sec. XVI. E' vero che nel 1578, al tempo cioè di mons. Bovio,
tre risultavano abbattute; ma il numero risulta ugualmente elevato,
ragion per cui si deve supporre che alcune di esse dovessero essere
chiese private. Tale era la chiesa di S. Teodoro, ubicata nel giardino
della casa di Vincenzo De Amicis, detto "illustris dominus de Neritono
et olim de la Vetrana" . Nell'atto con cui nel 1520 dotava la detta
chiesa di S. Teodoro si fa uso del termine, molto più modesto, ma più
verisimile, di "cappella" . Discorso valido probabilmente, per due delle
tre chiese dedicate alla Trinità. Di una di queste il Bovio dice trovarsi
nel cortile della casa del magnifico Scipione Martiano; dell'altra riferisce
che era nelle case, "intus domos", cioè, dictas delli Marsali. Questo
tipo di lettura probabilmente e' da estendere a un buon numero delle
chiese riportate in elenco. Il Pittagio S. Salvatore dovrà attendere
il secolo XVI1I per accogliere la prima ed unica importante fondazione,
quella cioè di S. Teresa con annesso Monastero delle Carmelitane Scalze
Dalla documentazione nulla è dato sapere dell'arca su cui sorse la chiesa
e l'importante monastero. Si sarà trattato di un Casile? oppure di riutilizzo
di un'area già edificata? E chiaro che solo un'indagine di ben altra
natura può tentare una risposta. L'impegno edilizio, ad ogni modo, che
sembra così rilevante nel secolo XVI, risalta soprattutto per il silenzio
pressoché assoluto della documentazione dei secoli precedenti, per la
mancanza, meglio, di una documentazione per i secoli centrali del medioevo.
Per quel che riguarda l'edilizia religiosa non ci si deve dimenticare
che il 1500 è il secolo della battaglia di Lepanto e del Concilio di
Trento; che per l'area geo-politica in cui si trovava Nardo' significava
anche soppressione definitiva della religiosità greco-bizantina con
tutto il bagaglio di tradizioni, di cultura, e di mentalità che essa
comportava. L'incremento dell'edilizia religiosa non lo si vuole, tuttavia,
riferire unicamente a questi episodi, per quanto salienti, che caratterizzarono
un nuovo corso di politica, e di politica religiosa del mondo cristiano.
E' vero che proprio in questo periodo post- Lepanto e post-tridentino
sorgono, in altri punti della città, chiese sontuose come il 5. Domenico
con l'annesso monastero servito dall'omonimo Ordine, la chiesa dell'Immacolata
(già ecclesia Sancti Francisci), la chiesa di Madonna della Rosa. Nulla
invece si può dire, perché nulla si sa, almeno allo stato attuale della
documentazione, dell'aspetto, sotto questo punto di vista, del Pittagio
S . Salvatore al tempo della notevole espansione subita dall'edilizia
religiosa sotto la spinta, favorevole in questo senso, della politica
angioma, così diversa dall'ostilità che oppose costantemente lo Stato,
retto dalla dinastia normanno-sveva, al Papato". A conclusione di quanto
fin qui detto, possiamo aggiungere una breve considerazione riguardante
il rapporto della superficie disponibile con la superficie sfruttata
(operazione probabilmente legittima non avendosi notizia, nè dimostrandolo
l'osservazione sul campo, di allargamenti della cinta muraria). Si vuol
dire che l'area occupata dal quartiere, oggi, corrisponderà, in modo
ancora approssimativo, a quella del vecchio Pittagio, non essendosi
mai proceduto ad una esatta delimitazione delle aree corredata dai necessari
rilievi sulla perimetrazione degli edifici, e ad altrettanto indispensabili
sondaggi sulle stratificazioni costruttive, e sulle diverse fasi dell'impianto
urbano che hanno scandito la vita del Pittagio medesimo. Si tiene conto,
quindi, che una prima misurazione dell'area ha fornito come risultato
mq. 65.000, questo quartiere, che era delimitato dalle attuali vie Le
Mura, Fuor di Mano, Via Fedele, Via Cialdini, per mezzo della quale
si congiungeva con il Pittagio S. Angelo, parte di Via Lata; Via Tripoli,
Via Seminario e Corso Garibaldi (con cui si chiudeva il perimetro all'altezza
(Iella vecchia porta castello doveva contare un basso indice di popolazione
. Le ipotesi clic si possono formulare sono tre: la lacunosità della
documentazione a disposizione e superstite, un maggior numero di hospicia
capaci, pero', di occupare superfici abbastanza vaste, oppure la presenza
di un certo numero di casili, o aree edificabili non sfruttate, giardini
e orti. Per chiudere: una curiosità che può essere indicativa; ancor
oggi nell'area compresa tra via Fuori le Mura e Via Salvatore si trova
un giardino di proporzioni non del tutto modeste, a ridosso della Chiesa
di S. Teresa da cui è separato solo da via Salvatore. Il fermento di
rinnovamento che caratterizzo' un po' tutta la vita sia nel suo aspettò
pubblico, che nella dimensione della coscienza, coinvolse con movimento
rapido e radicale tutto il mondo cristiano. Era inevitabile, quindi,
che anche i centri dell'estremo meridione d'Italia risentissero dei
nuovi orientamenti di pensiero attraverso il cambiamento del gusto e
dei canoni stilistici, controllati come erano, financo nelle progettazioni,
dall'intransigente cristianesimo dei Gesuiti e di Teatini. Nardo' sembra
cambiare profondamente volto proprio in questo periodo clic va dalla
seconda metà del se. XVI sino alla fine del sec. XVIII. La costruzione
di chiese, e relativi monasteri, come quella di S. Antonio di Padova,
servita dai frati dell'Osservanza, del complesso imponente del Carmine
con l'adiacente Monastero, del già menzionato S. Domenico ed Immacolata,
Madonna della Rosa; la costruzione della Chiesa e annesso Monastero
della Punta' sull'area precedentemente occupata dalle carceri, su progetto
dell'architetto Ferdinando Sanfelice, la costruzione della nuova chiesa
dedicata a S. Chiara (la vecchia chiesa medioevale mononave con volta
a botte è rimasta inclusa nel perimetro del Convento); gli interventi
nell'area della Platea puplica con la costruzione del Seggio su di un'area
precedentemente occupata da case di proprietà dell'arcipretura, con
il barocco del Palazzo della Pretura, delle private abitazioni, della
Guglia dell'immacolata (epicentro ideale intorno a cui sembra ruotare
tutto l'ambiente nella sua compositività architettonica), la costruzione,
ancora, della chiesa di S. Trifone, contribuiranno a dare ad alcuni
punti della città ed alla piazza in particolare un aspetto monumentale,
alterando l'assetto di epoca medioevale, fatto, come s'è detto di domus,
domus palaciate, domus pro apotheca, di apothecae, celiaria, magazena
e spezarie, scomparse insieme con la chiesa di S. Nicola degli Alamanni
servita dall'Ordine dei Teutoni e confinante con le apothecae di Nicola
Vernaleone e di Antonio de Cerbasio . A consuntivo di questo primo e
rapido approccio con la documentazione scritta si può senz'altro affermare,
dunque, che la storia urbanistica della città dipende, come per l'organismo
sociale, dai momenti caratterizzanti la sua origine, il suo sorgere
nel rispondente ambiente storico, il suo svilupparsi sulla base delle
possibilità produttive del territorio, dall'integrarsi di interessi
di natura politico-economica con gli interessi di carattere culturale,
con l'attenzione rivolta alla propria identità. L'inesistenza di una
documentazione per i secoli centrali del medioevo vale a dire per i
secoli XI, XII e XIII, costituisce un grave handikap alla conoscenza
del comporsi della Universitas cittadina attraverso un lento processo
di integrazione fra popolazione greco-bizantina e donimatori latini,
in primo luogo, e di sostituzione, successivamente, di istituti e strutture
amministrative di marca più chiaramente occidentale a quelle di origine
bizantina. Ma non è solo un problema di Normanni e di Bizantini. Finche'
non sarà possibile ricomporre il quadro dei secoli che videro l'occidente
impegnato nel recupero del pensiero politico classico e nella ricostituzione
dei. quadri sociali; finche' non si giungerà a rompere il silenzio dei
secoli IX e X riguardanti il periodo della così detta seconda ellenizzazione
con la restituzione di una documentazione dispersa in alcune biblioteche
d'Europa con il commercio che se ne fece tra la fine del Seicento e
buon parte del Settecento, il volto che si cercherà di restituire della
città sarà sempre parziale. Del tutto impensabile è supporre di rispondere
a tutti gli interrogativi con le poche pergamene greche edite nel Syllabus
del Trinchera e riguardanti Nardo' e il territorio diocesano. La conoscenza
del periodo bizantino, quindi, con lo sguardo rivolto, ovviamente a
tutta la regione salentina, e alla più generale storia di Puglia e del
Meridione per i necessari rimandi e connessioni che inseriscono Nardo'
nell'ambito della storia pugliese, si pone in maniera propedeutica per
spiegare certe resistenze di carattere politico, culturale e religioso;
resistenze che non risparmiarono la composizione sociale, l'organizzazione
economica, e, conseguentemente, l'evoluzione dell'assetto urbano e dell'organizzazione
territoriale.