ERA PREISTORICA
Negli
ultimi anni si è sempre più consolidata la convinzione dell'importanza
che riveste il territorio di Parabita, in provincia di Lecce, per
essere stato sede di stanziamenti umani in epoche preistoriche. Ce ne
dà conferma una serie di significativi ritrovamenti ed evidenti testimonianze
che accertano la presenza dell'uomo nella zona sin dal Paleolitico medio,
con una frequentazione quasi senza soluzione di continuità. La coscienza
dell'importanza che riveste questa zona nel contesto preistorico salentino
si è andata delineando e precisando nelle sue giuste dimensioni solo nell'ultimo
ventennio, cioè in seguito alla scoperta e allo studio della "Grotta
delle Veneri". I successivi rinvenimenti degli ultimi anni ad opera
dei ricercatori dell'Archeoclub locale hanno contribuito a chiarire l'entità
e l'importanza della frequentazione umana in epoca protostorica (età del
Bronzo ed età del Ferro). Sicuramente maggior importanza in tutto il territorio
è da riferire alla grotta denominata delle "Veneri", denominazione originatale
dal rinvenimento al suo interno di due statuine in osso levigato raffiguranti
sembianze femminili: più precisamente la donna-madre nell'ultimo stadio
di gravidanza. Si tratta di una particolare e tipica espressione artistica
del Paleolitico Superiore, estremamente rara ed importante, che si collega
ai pochissimi esempi del genere ritrovati in Italia e a quelli orientali
(in Russia). Comunque, la fase più antica della presenza dell'uomo nella
Grotta è da far risalire al Paleolitico Medio. Si sono infatti ritrovate
tracce di uno stanziamento umano nel primo ambiente della grotta, oggi
in parte crollato, da attribuire al musteriano. La Grotta delle Veneri
è un antichissimo letto di un fiume sotterraneo che ha scavato ampi cunicoli
nel calcare e può essere distinta descrittivamente in due parti, una più
esterna e l'altra interna, in cui le serie stratigrafiche sono diverse
e in un certo senso complementari tra loro. Purtroppo la storia che si
può ricavare da questa Grotta è in parte lacunosa, con interruzioni dovute
alla mancanza di resti in sequenza continua, causata sia dall'abbandono
della Grotta da parte dell'uomo per alcuni periodi, sia dall'azione delle
acque che di quando in quando sono penetrate nella cavità, sempre per
fenomeni di carsismo, ed hanno asportato i sedimenti e la documentazione
che essi custodivano. Sempre nella grotta esterna, oltre alle già menzionate
tracce d'epoca musteriana, sono stati recuperati reperti attribuiti alla
cultura "Uluziana", tipica di un'epoca di transizione tra il
Musteriano e il Paleolitico Superiore, circa 31.000 anni fa. Per quanto
riguarda il Paleolitico Superiore, invece, sono stati fatti importanti
rinvenimenti nella seconda parte, più interna, della grotta. Questo secondo
ambiente vide la presenza dell'Homo Sapiens del tipo di "Cro-Magnon" a
cui sono riferite due sepolture ritrovate nel corso della campagna di
scavi effettuata a cura degli archeologi dell'istituto di Antropologia
dell'Università di Pisa. Si tratta di una sepoltura bisoma in una fossa
a contorno ellissoidale scavata nei depositi appartenenti al Gravettiano
a dorsi troncati, era inoltre riempita e ricoperta dai livelli dello stesso
orizzonte e ad esso riferibile (circa 18.000 anni fa). Purtroppo gli uomini
che in epoca successiva, durante il Neolitico, frequentarono la stessa
Grotta per scopi rituali, scavarono alcune profonde buche nel terreno,
una delle quali intaccò questa sepoltura asportandone tutta la parte superiore,
i crani e le braccia e forse una parte del corredo dei due inumati. Questi
erano stati deposti distesi, l'uno leggermente al di sotto e alla sinistra
dell'altro e in una posizione particolare per cui una gamba dei due andava
ad incrociare anche quelle dell'altro individuo. Si trattava probabilmente
di un uomo e di una donna morti ad un'età stimabile tra i 30-35 anni.
Del loro corredo funerario fu ritrovato ben poco: un ciottolo tinto con
ocra, una scheggia di selce e ventinove canini di cervo forati. Probabilmente
alla stessa cultura cui appartenevano i due Cro-Magnon ritrovati e da
attribuire la realizzazione delle due "Veneri", la più grande di 9 centimetri,
l'altra di circa 6 centimetri. Esse furono ritrovate, per la verità, nello
strato più superficiale della grotta, perciò in giacitura secondaria,
forse in seguito ai numerosi scavi clandestini che hanno sconvolto la
stratigrafia in alcuni punti. Nei livelli epiromanelliani della grotta
esterna sono poi stati ritrovati oltre 400 tra pietre e frammenti di osso
decorati con incisioni geometriche. Si pensa che in origine tutti questi
reperti dovevano essere colorati con ocra rossa dal momento che alcuni
di essi ancora oggi ne conservano traccia: questo probabilmente con l'intento
di far risaltare il bianco della pietra incisa rispetto al rosso della
superficie dipinta. Infine sia le pietre che le ossa furono rotte intenzionalmente,
dagli stessi uomini che le avevano realizzate, forse con finalità rituali.
Negli ultimi anni ulteriori testimonianze d'epoca preistorica sono state
evidenziate grazie all'opera di esplorazione del territorio effettuata
dalla sede di Parabita dell'Archeoclub d'Italia. Importante fu
la scoperta di una piccola grotta situata sulla Serra di Parabita.
Anche questa grotta è scavata nel calcare e si compone di un atrio centrale
e due stretti cunicoli laterali nei quali sono stati fatti finora i ritrovamenti.
Una moltitudine di stalattiti rende l'interno della grotta particolarmente
suggestivo. Il sito archeologico non è stato ancora oggetto di un saggio
di scavo, e praticamente l'esplorazione fatta dai giovani dell'Archeoclub
si è limitata ad un esame dello strato superficiale, per non alterare
la stratigrafia del terreno con scavi inopportuni e non autorizzati. Comunque
proprio in superficie sono stati recuperati numerosi resti ossei pertinenti
ad un individuo (o forse a due) lì inumato circa 3.000 anni fa: si tratta
quindi di una grotta sepolcro. C'è inoltre da evidenziare la consistenza
numerica dei frammenti ceramici appartenenti al corredo funerario. Purtroppo
l'intero ritrovamento risulta essere molto danneggiato e sia le ossa che
i vasi sono in frantuni. Ciò probabilmente è dovuto al fatto che sicuramente
la grotta è servita per secoli come tana di volpi e altri animali (ne
sono testimonianza i resti delle loro prede) che hanno causato lo sconvolgimento
dello strato superficiale. Finora solo un vaso monoansato in terracotta
è stato ritrovato perfettamente conservato. Grazie all'esame dei reperti
si è potuta attribuire la sepoltura alla fine dell'età del Bronzo (circa
XI secoli a. C.) Ovviamente tutto ciò che è stato recuperato è stato consegnato
alla Soprintendenza competente. Infine un terzo insediamento è stato segnalato
dai soci dell'Archeoclub parabitano su un'altura a pochi chilometri dall'abitato.
Nel corso della campagna di scavo, ad opera della Soprintendenza Archeologica
di Taranto, che ha interessato un'ampia area, sono venute alla luce testimonianze
evidentissime di un villaggio risalente alla tarda età del Bronzo - inizi
età del Ferro (circa X secolo a. C.). Lo scavo effettuato può dare un'idea
di quella che doveva essere la struttura dell'insediamento: alcuni muretti
forse di fondazione o di contenimento, due focolari, una moltitudine di
fori nella roccia, evidenti testimonianze di capanne, è quanto finora
è stato osservato. Una ricostruzione ipotetica del villaggio ha fatto
notare delle strutture di 20-30 metri in legno, accanto ad una capanna
a pianta circolare, ben individuabile grazie al canaletto di scolo delle
acque realizzato intorno al suo perimetro. E' stata rinvenuta ceramica
ad impasto con decorazione a cordonatura databile al Bronzo finale. Per
la prima volta in un insediamento dell'entroterra è stata anche recuperata
della ceramica d'epoca micenea, a testimonianza dei contatti e degli scambi
commerciali che i locali intrattenevano con gli antichi abitanti del Peloponneso.
Purtroppo ciò che oggi possiamo osservare e studiare di questo antico
villaggio protostorico è solo una parte di quello che doveva essere il
complesso dell'insediamento, ormai largamente distrutto da una cava: solo
il tempestivo intervento della Soprintendenza ha potuto assicurare il
recupero delle ultime testimonianze risparmiate dai lavori del cantiere.
Il rimpianto è motivato ancor più dal fatto che l'insediamento distrutto
avrebbe potuto fornirci utili e significative informazioni sulle abitudini,
l'economia e i modi di vita dei nostri progenitori di più di 3.000 anni
fa, data la rilevanza e l'estensione del villaggio, probabilmente uno
dei maggiori della zona.
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