GROTTE DI DIO
Fu
la civiltà della "frescura e del silenzio". Ma non solo. Fu anche la civiltà
dell'ingegno e dell'operosità. Il popolo misterioso ed affascinante che
per quattro secoli abitò le grotte di Puglia non fu un popolo di perdenti.
Crollava il Sacro romano impero. Nella regione calarono i Bizantini, i
Goti, i Longobardi, gli Slavi, i Franchi, i Saraceni, fino alla seconda
conquista e colonizzazione bizantina, alle soglie dell'anno Mille. Una
cappa di terrore incombeva. Dove nascondersi? Fu così che nacquero le
città sotterranee. Per l'antica terra d'Otranto non era una novità. Dal
tempo dei tempi la grotta è stata per l'uomo "casa, santuario, difesa,
rifugio". Lo consentivano la natura del luogo, i dirupi spaventosi delle
gravine dove la Murgia d'improvviso sprofonda dai trecento ai cento metri.
Lo imponeva la necessità di rifugiarsi lontano dall'Appia e dalla Traiana,
le vecchie vie consolari percorse dagli eserciti. Lo suggeriva l'alto
costo dei materiali da costruzione. E poi dalla Grecia vennero i monaci
di S. Basilio a far nascere l'equivoco delle "grotte di Dio". Non si contavano
le loro comunità nei territori dominati dall'Impero d'Oriente; stavolta
arrivavano incalzati dagli Arabi di Ibrahim e dalla "guerra delle icone"
che laceravano Bisanzio. Furono loro ad impreziosire quel mondo sepolto
con le chiese che ancora oggi custodiscono "quasi tutta la pittura medioevale
pugliese: una grande pinacoteca sotterranea". Capeggiarono quell'avventura
della creatività popolare sui fianchi infernali dei precipizi nel Salento,
nel Tarantino, nel Materano. Vita attiva e contemplativa, preghiera e
lavoro nei campi. Quei burroni sembravano irraggiungibili e, per chi non
li conosce, lo sono. Ma occhi esperti scorgono incredibili sentieri scavati
nel sasso, scalette di corda, camminamenti, gradini abbozzati, cunicoli
vertiginosi. All'alba un popolo di formiche sbucava dalle grotte con gli
animali, vi si richiudeva al tramonto con i prodotti della terra. Tutto
aveva ricavato nella pietra: letti, sedili, mensole, vasche, lucernari,
stalle, nicchie nelle case a più piani. E mulini, frantoi, botteghe, prigioni,
cimiteri. E ogni villaggio aveva la sua farmacia con centinaia di cellette
scolpite nelle pareti. E stupefacenti acquedotti sfruttavano le fessure
nelle rocce, canaletti naturali, terra permeabile per fare arrivare l'acqua
nelle cisterne. Ma ciò che di più bello ci rimane di quel mondo sommerso
sono le chiese: centinaia di affreschi di santi, Madonne, Cristi. Presso
Mottola le chiese rupestri sono più di trenta. Anche qui sono orientate
secondo un preciso schema liturgico, le absidi verso Oriente. Sant'Angelo
è un esmpio unico in tutto l'arco ionico di architettura rupestre su due
livelli. E poi Santa Margherita e San Gregorio, San Nicola, San Cesario
e Sant'Apollinare: ecco i monumenti di quello che potrebbe essere uno
dei parchi naturali ed archeologici più importanti della regione. Sono
dipinti che ancora emozionano. Nel buio della terra le facce dei santi
risplendono, quasi ad invocare pietà contro l'insulto degli uomini. Molti
hanno la testa tranciata, altri gli occhi cavati dal piccone. Vandalismo,
superstizione, speculazione: questa l'amara sorte di un mondo silenzioso
e imponente che mille anni dopo non riesce più a sopravvivere neanche
nascondendosi.
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