Dopo questo rapido sguardo alla storia del Santuario, è necessaria
una sintetica descrizione. S. Damiano, allo stato in cui oggi si trova,
è un gruppo di fabbricati disposti a dormitori; i quali, nonostante
la loro semplicità per nulla in contrasto colle vecchie tradizioni,
formano un convento grandioso. La parte centrale
dell'edificio - Infermeria di S. Chiara che è anche la più
antica - si distende a guisa di dorsale da nord a sud fra i due chiostri
quadrati, i quali raccolgono attorno quasi tutto il fabbricato. Nel chiostro
anteriore - presso la porta del convento - sorgono sul fianco e di fronte
all'Infermeria due altri dormitori di più recente costruzione;
dall'altro lato è la chiesa, sopra la quale si trovano il Dormitorio
di S. Chiara, la comunità e il ristretto appartamento della curia
provincializia, prospiciente colla facciata verso la grande pianura. Attorno
a questo primo chiostro corre un modesto porticato del sec. XVI, con di
mezzo il pozzo a carucola, scavato nel I650. La cisterna, che serviva ad
uso delle monache ed è ricordata nella Cronaca col nome Cisterna
vecchia o pozzo di S. Chiara, si trova nell'altro chiostro, ostruita
e guasta dalle infiltrazioni. Il secondo chiostro e un quadrato incompleto:
da questa parte l'Infermeria di S. Chiara dà, per così
dire, la mano a un altro dormitorio che è un prolungamento del fabbricato
della chiesa e forse un avanzo di remota costruzione, come farebbero supporre
certi frammenti di finestre e di stipiti che si vedono qua e là frammisti
ad altro materiale di adattamento, ma è impossibile ristabilirne
la forma e l'uso primitivo. All'angolo sud-est di questo dormitorio, che
si dice della guardiania, sorge un balcone o terrazza di recente costruzione,
donde si gode l'incantevole vista di quasi tutto il piano dell'Umbria. Il
terzo lato di questo chiostro è un fabbricato moderno, sorto ad uso
di lanificio nel 1851; nel quarto lato aperto a levante sono le fonti, ricche
di acqua proveniente dall'acquedotto mediceo, cominciato - come si disse
- nell'anno 1486. Un altro piccolo dormitorio destinato a professorio di
chierici, si trova sull'angolo nord-ovest del convento e compie il disegno
dell'odierno S. Damiano. Tutto il fabbricato è attorniato per tre
quarti da un bel tratto di terreno, coltivato a orti e pergolati, con abbondanti
riserve di acqua per irrigazione. Un giro di clausura di circa 600 metri,
completamente restaurato &laqno;sumptibus Marchionis Ripon», corre
tutto intorno, racchiudendo anche un piccolo bosco di annose quercie, le
quali colla loro chioma, mista alla rigogliosa vegetazione degli orti, fanno
verde corona al vecchio convento francescano.
Le parti di S. Damiano che meritano speciale osservazione sono, naturalmente,
le più antiche: l'Infermeria di S. Chiara, il suo Dormitorio
e la Chiesa.. L'Infermeria accusa
la sua venerabile antichità dalle mura grigiastre, che distinguono
a prima vista questa parte del convento da tutte le altre. Anche le finestre
hanno una forma primitiva, e corrispondono in numero di dieci ad altrettante
cellette. Queste celle piccolissime e quadrate, con porticina ad arco rotondo,
sembra non appartenessero alla primitiva costruzione, ma esistevano certamente
al tempo di S. Chiara. Nella Regola delle Clarisse si stabilisce infatti
che le malate abbiano un luogo separato; e la Legenda del Celano narra che,
essendovi una volta molte monache inferme, S. Chiara andava a visitarle
e le guariva col segno della santa croce. Il dormitorio dell'Infermeria
è scoperto, cioè a dire privo di volta: un tetto a scheletro
distende la sua possente e nuda travatura in difesa delle povere cellette.
Nel fondo del dormitorio, a sinistra, si apre una porticina, e discende
una strettissima scalinata quasi a chiocciola, i cui gradini consunti dall'uso
rivelano la sua remotissima costruzione. La scala conduceva alle officine
inferiori del monastero, che si trovavano verosimilmente a sinistra, dov'è
attualmente il fuoco comune dei frati, come può indicare un rimaneggiamento
di archi e stipiti di porte che si aprivano da questo lato.
A destra della scala è il Refettorio, integralmente
conservatoci dal tempo di S. Chiara in tutta la sua semplicità e
povertà, dal pavimento alla volta, dalla porta vetustissima alle
tavole rattoppate qua e là per sostenere il peso degli anni. L'umile
refettorio ha visto un Papa assiso alle sue mense ed ha assistito ai miracoli
dell'umiltà e della carità. &laqno;Il refettorio di S. Chiara
è la memoria più visibile e suggestiva di S. Damiano; e molti
artisti, pittori e poeti hanno chiesto a queste pareti la loro ispirazione».
Taluno, dopo il Cristofani, ha messo in discussione l'antichità della
sua volta a crociera, che sarebbe un'opera non anteriore al sec. XIV. Certamente
la volta non è primitiva, e ciò è dimostrato, se non
altro dalle finestre laterali che ne restano in parte ostruite. Ma la questione
dell'origine di questa volta è connessa ad un'altra: quando furono
costruite le camerette superiori dell'Infermeria ? perchè
lo stesso Cristofani ammette che la volta del refettorio venne innalzata
contemporaneamente, cioè in appoggio di quelle. Ora poichè
nessuno, ch'io sappi, nega che le cellette dell'infermeria esistessero al
tempo di S. Chiara, bisogna pure ammettere che il refettorio, com'è
attualmente, esistesse al tempo della Santa.
Il Dormitorio di S. Chiara si trova, come
sappiamo, sopra il fabbricato della chiesa. É uno stanzone rettangolare
di metri I3 di lunghezza e 5 di larghezza, il quale non ha subìto
alcuna modificazione dall'epoca della sua costruzione, cioè dai primi
anni del sec. XIII, salvo al soffitto che venne rifatto nel 1713, perchè
cadente: in questa circostanza si eliminò, per la stessa ragione,
anche il soppalco, o copertura di rozze tavole &laqno;a foggia di capanna»,
che esisteva sin dal tempo delle monache. Due finestre di forma singolare,
con sedili nel vano interno del muro, gettano una modesta luce su questo
ambiente severo e veramente francescano. Per l'identificazione di una parte
così importante del Santuario è sufficiente garanzia la costante
venerazione dei religiosi, i quali - malgrado l'angustia e la povertà
del convento - non hanno mai voluto utilizzare o trasformare il bel camerone,
costringendosi piuttosto a successivi ampliamenti e ricostruzioni. Ai tempi
di S. Chiara vi avevano il loro letticciuolo le monache, un semplice giaciglio
di legno, non essendo il pagliericcio concesso se non alle sorelle malate.
"Tutte le monache non inferme - dice la Regola - sia l'abbadessa che
le altre, dormano in un dormitorio comune.... L'abbadessa abbia un letto
disposto in tal luogo del dormitorio, che ella possa vedere senza ostacolo
tutti gli altri letti. Nel dormitorio ardano lampade chiare.... ".
Tale disposizione ci farebbe credere che S. Chiara avesse il suo posto nel
dormitorio comune, e forse lo ebbe qui per alcuni anni; ma sappiamo che
ella giacque lungamente inferma e sarà stata astretta dalla pietà
delle sue consorelle ad aversi delle cure; perciò fu costruita per
lei una cameretta, non nella infermeria, ma in un angolo a capo dello stesso
dormitorio. La cameretta di S. Chiara, ripetutamente ricordata dal Celano,
venne distrutta non sappiamo precisamente in qual tempo, ma certo prima
del 1600, perchè la Cronaca conventuale (cominciata a scrivere
in quell'anno) già ne lamenta la demolizione: il luogo è indubbiamente
quello indicato dalla medesima Cronaca "in capo del suo dormitorio,
vicino alla cappella della Santa". La cappella di S. Chiara è
il contiguo oratorio; e lì presso, in un angolo a sinistra del dormitorio,
sono evidenti i segni d'una cameretta distrutta, sicchè se ne possono
indicare le proporzioni: altezza metri 2,25; lunghezza metri 4 x 2,40 di
larghezza. Quando si pensa che in quest'angolo nascosto e umilissimo si
santificò nel lavoro, nelle preghiere e nella penitenza la illustre
figlia di S. Francesco, e particolarmente alla scena grandiosa della sua
morte, come è narrata dal Celano,
c'è da deplorare che se ne sia andata la parte più suggestiva
del nostro Santuario, cioè quell'umile celletta, che avrebbe fatto
versare più d'una lagrima di commozione. Ma quello che rimane è
abbastanza, perchè noi possiamo riguardarlo come eredità preziosa
di S. Damiano.
Il dormitorio di S. Chiara aveva due porte: l'una al fondo, che era la porta
esterna rispondente sulla facciata della chiesa; e questa è ottimamente
conservata. La sua altezza dal suolo (m.5.40) non meraviglia, sapendosi
che doveva servire meno per il passaggio delle abitatrici che per loro sicurezza:
una scala mobile, a foggia di ponte levatoio, permetteva l'accesso e l'uscita
dal monastero. A questa porta vennero furiosi i Saraceni e furono ributtati
dalle preghiere e dalla presenza di S. Chiara, la quale si affacciò impavida col tabernacolo in mano,
ributtando
l'assalto; sotto questa porta, avvenne il miracolo di S. Agnese quando,
il giorno della sua morte, si ruppe la catena che sosteneva la scala mobile,
e questa cadde con impeto sopra la moltitudine che si affollava per salire
di sopra, ma nessuno ebbe a farsi alcun male. La seconda porta si apriva
un po' in alto sulla parete opposta, e per essa si accedeva, salendo alcuni
gradini, al Laboratorio delle monache. E verosimile
che le religiose avessero una camera comune di lavoro, dove si radunavano
nel breve tempo che loro avanzava dalla preghiera e dalle salmodie del coro.
Giacomo di Vitry, narrando delle meraviglie che gli era occorso di vedere
nel suo passaggio in Assisi (1216), parla delle donne che avevano intrapreso
la vita francescana: "Le donne - egli dice - dimorano presso la città....
non hanno niente.... ma vivono del proprio lavoro". S. Chiara dava
l'esempio di vita laboriosa alle sue consorelle: anche nella sua lunga infermità
non cessava dal lavoro, e stando in letto, estenuata dal male e dalle penitenze,
si faceva sollevare per attendere a preparare dei lini finissimi per uso
della Santissima Eucarestia, da inviarsi in dono alle chiese povere. I religiosi
di S. Damiano hanno conservato con venerazione anche questa parte del Santuario,
cioè il Laboratorio di S. Chiara. É una bella camera
che si trova in alto, sull'angolo tra l'Infermeria e il Dormitorio
della Santa, e sopra il suo Oratorio. Vi si accede dal lato dell'infermeria
per mezzo d'una scalinata; ma in passato rispondeva sul dormitorio di S.
Chiara e accanto alla sua cella distrutta: &laqno;Appresso detta cella -
dice la Cronaca del Convento - et a capo di detto dormitorio stava una scala
di pietra, quale andava in una stanza grande antica, dove lavoravano le
monache et rispondeva in nello dormitorio, e dal tetto vi calavano le corde
delle campane; della quale scala ancora si cognosce e vede murata la porta
verso il dormitorio». La porta murata è tuttora visibile nel
dormitorio di S. Chiara, come pure i segni della gradinata per cui si saliva
al laboratorio. Notiamo di passaggio che la porta e il campanile si trovavano
sull'antica facciatella della chiesa, perpendicolarmente sopra il luogo
dov'è attualmente l'altar maggiore.
Dal dormitorio suddetto, per via d'una porta la cui
chiusura è appena dissimulata da una grata di ferro, si scendeva
altre volte nella cappellina che è l'Oratorio di S. Chiara. La forma
e l'apertura della porta, come pure i quattro scalini di dislivello fra
i due ambienti, si notano benissimo dal lato dell'Oratorio. Era questo il
luogo dove S. Chiara, per sua devozione, custodiva le Sante Specie; era
il suo santuario domestico, il secretum cubiculum dove essa sfogava
i suoi sospiri, versava le sue lacrime e cercava le sue consolazioni. La
santa Abbadessa restò quasi vent' otto anni malata; e la prossimità
della sua cella al piccolo Oratorio spiega il motivo dei privilegi al sacro
luogo accordati. Oltre la singolare prerogativa della conservazione delle
Sante Specie, S. Chiara potè ottenere per la sua venerata cappelluccia
una consacrazione solenne dagli stessi sette Vescovi che promulgarono l'Indulgenza del Perdono nella
cappella della Porziuncola, i quali vi apposero sette anni d'indulgenza,
da lucrarsi la vigilia di S. Lorenzo martire, giorno in cui ebbe luogo la
detta consacrazione. Il piccolo santuario è una cameretta quasi quadrata
(m. 5 x 4,80), a volta, che acquista grazia e forma di cappella da un'absidiola,
sita al lato opposto della indicata porta d'ingresso presso il dormitorio.
L'absidiola, che era stata in parte demolita, venne recentemente scoperta
e restaurata, come pure i begli affreschi del sec. XIV che ne formano la
parte decorativa. Nell'interno dell'abside, sur un fondo rossigno elegantemente
drappeggiato, spiccano dipinti di buona mano, a forma di medaglioni: nel
mezzo, i frammenti di una pittura di Madonna che tiene in mano il divino
Infante, ai lati S. Francesco e S. Chiara assai ben conservati e i quattro
Evangelisti attorno all'arco dell'abside, sopra cui spicca, in alto, il
trono del divino agnello. Presso l'angolo della parete, in cornu Evangelii,
sono dipinte un gruppo di monache, pavide e imploranti; e innanzi ad esse
la loro Madre che le addita al Dio dell'amore, dipinto in forma di bambino,
il quale sembra rispondere dal fondo della nicchia colla sua voce illfantile:
&laqno;io sempre vi custodirò ». Due angeli volanti alzano
il velo del pccolo santuario ed altri sono intorno in atto di adorazione.
Questa pittura, abbastanza ben conservata, è d'incormparabile efficacia
suggestiva. La decorazione della cappella è incompleta: altri dipinti
non si notano, all'infuori di un'alta figura monacale che s'aderge sulla
parete poco distante dal gruppo indicato, ed è uno dei più
bei ritratti antichi di S Chiara. L'altare dell'Oratorio, semplicissimo,
sorge alquanto distaccato dall'abside; e la sua forma a foggia di banco
lo dimostra ben antico, forse conteporaneo alla costruzione della cappella.
Di fronte all'abside e all'altare, appoggiato alla
parete, è un grosso armadio dove si conservano le Reliquie che hanno maggior importanza per il
convento di S. Damiano. Ne diamo la nota, secondo l'ordine in cui le troviamo
registrate nella Cronologia del P. Antonio da Orvieto, il quale ebbe sotto
gli occhi i documenti e la Cronaca conventuale: I° Dell'Abito e del
velo di S. Chiara; 2° del Pane che benedisse alla presenza del Papa
la medesima Santa; 3° il suo Breviario manoscritto, del quale si serviva
per la recita del divino Uffizio; 4° la Campanella colla quale chiamava
le sue monache al coro; 5° il Calice dove prendeva la purificazione
dopo la Santa Comunione; 6° il suo Ostensorio dove conservava il Santissimo
Sacramento; 7° una pezzolina con del sangue represso del costato di
S. Francesco; 8° altre reliquie del Serafico Patriarca: del suo abito,
del suo cordone ecc. ecc.; 9° una Croce piena di reliquie che portava
S. Bonaventura cardinale; 10° Reliquiario donato dal Pontefice Innocenzo
IV a S. Chiara, contenente molte reliquie, fra le altre quelle dei santi
martiri Cosma e Damiano; 11° altre reliquie di santi dell'Ordine.
Ciò che subito si fa notare in questo catalogo è il numero
e l'importanza delle reliquie di S. Chiara; e una domanda sorge spontanea,
la quale richiede una pronta spiegazione: Come va che le monache Clarisse,
allorchè abbandonarono S. Damiano per ritirarsi entro le mura della
città (an. 1257), non portaron seco quegli oggetti preziosi che ricordavano
la loro Madre e i bei giorni del monastero? Eppure esse avevano avuto autorizzazione
di esportare tutte le cose mobili, &laqno;lasciato intatto il corpo del
monastero». In forza di questa autorizzazione venne infatti trasportato
al nuovo monastero di S. Giorgio il miracoloso Crocifisso che parlò
a S. Francesco, il suo breviario ed altri ricordi; e non si può supporre
che venissero dimenticate proprio le principali reliquie di S. Chiara. Il
fatto singolare merita di essere esaminato; ma secondo nostro parere trova
la sua spiegazione nelle circostanze in cui avvenne lo sgombro di S. Damiano
da parte delle monache. Le buone religiose non lasciarono di lor volontà
quel luogo, caro ad esse come la culla del loro ordine: l'abbandono era
forzoso; ma il dolore della partenza venne forse lenito dal pensiero che
la loro casa restava in mano di fratelli. E quali fratelli ! Esse li avevano
visti al loro fianco, in tutte le prove, e li ritrovarono al capezzale della
loro Madre morente. Fra Leone, Fra Ginepro erano là.... e tutti i
fedeli di S. Francesco che ancora sopravvivevano. A tali religiosi restò
affidata con tutta probabilità la custodia di S. Damiano e nelle
loro mani il deposito dei grandi ricordi di S. Chiara e del monastero. Sembra
anzi che sia avvenuto una specie di accordo, quale solo può immaginarsi
tra fratelli e sorelle per uno scambio affettuoso di ricordi di famiglia;
così noi vediamo esulare verso il nuovo monastero di S. Giorgio le
memorie francescane, mentre restano a S. Damiano i cimeli delle Clarisse.
Non sappiamo se un tale accordo avesse luogo realmente; è certo ad
ogni modo che di queste pietose circostanze si dovette tener conto in seguito
tra gli abitatori di S. Damiano e le figlie di S. Chiara. Perchè
noi vediamo alcune reliquie ricordate in passato come appartenenti al monastero
d'Assisi, le quali oggi figurano nel catalogo di quelle di S. Damiano. É
il caso del reliquiario ove da S Chiara si custodiva la S. Eucarestia. Il
nominato P. Francesco Bartoli assicura che un tal reliquiario era conservato
nel 1332 in sancta Clara de Assisio, e 1o descrive come una capsula
eburnea per spatium unius palmi longa et alta, in qua est alia capsulina
parvulina de argento in qua erat Corpus Christi quod locutum fuit eidem
Virgini Clarae etc., etc. Al giorno d'oggi non si trova più in
S. Chiara d'Assisi questo prezioso reliquiario. Si trova invece in S. Damiano
una capsulina di avorio, cerchiata e con fermaglio di argento e lunetta
per sostenere la santa Ostia: questa capsulina si ritiene per tradizione
esser quella ove S. Chiara conservava la Santissima Eucarestia, e dev' esser
la stessa della quale parla il Bartoli. L'altra
capsula eburnea per spatium unius palmi longa et alta etc., è
scomparsa. Ma in S. Damiano si conserva un altro reliquiario, un Ostensorio
(n. 6 nel Catalogo delle reliquie) cui pure è legato per tradizione
il nome di S. Chiara. Questo Ostensorio è altra cosa, da non confondersi
colla capsula eburnea, nè colla capsulina indicata.
E un vaso d'alabastro di circa un palmo e mezzo di altezza, lavorato al
tornio a foggia di tabernacolo, di forma liscia e tondeggiante, a trafori,
con piedestallo e calottina mobili, dove si adatta benissimo la capsulina
sopraddetta, e l'uno e l'altra si usano esporre nelle solenni funzioni di
Quarant'ore a S. Damiano: col nome di Ostensorio di S. Chiara la
tradizione vuol forse indicare soltanto che questo reliquiario esisteva
in S. Damiano fin dai tempi di S. Chiara. Contro la reputazione di antichità
dell'Ostensorio di S. Chiara si elevano alcune obiezioni che si possono
riassumer per due capi: 1° la forma stessa del reliquiario, la quale
rivela un'opera d'arte postuma, con caratteri del rinascimento; 2° l'assenza
di documenti intorno alla sua origine, giacchè del tabernacolo d'alabastro
non si ha notizia prima del sec. XVII, o almeno non se ne parla nei documenti.
Intorno alla forma del tabernacolo noi non possiamo dire gran che; ma sappiamo
che l'arte del tornio è molto antica ed era ben conosciuta nei monasteri
del medio evo: essa porta di sua natura la forma liscia e tondeggiante,
e non mancano esemplari simili al nostro prima del 1500. Ricordiamo la tavola
della Galleria di Siena del sec. XIII: ivi S. Chiara e dipinta con un ostensorio
in mano, che differisce poco nella forma da quello di S. Damiano. Quanto
al silenzio dei documenti intorno all'origine del tabernacolo, osserviamo
per via d'analogia che l'argomento negativo porterebbe alla eliminazione
di tante altre reliquie che si conservano in tante altre chiese; eppure
della loro antichità e autenticità nessuno dubita, quantunque
non si possa presentare il documento sincrono in loro favore.
Tutto considerato, ci sembra che gli argomenti contro il nostro tabernacolo
non abbiano un valore decisivo; e noi - anche dopo le surriferite obiezioni
possiamo concludere, con grande presunzione di verità, in favore
della tradizione di S. Damiano.
Al lato destro dell'Oratorio, si apre una
porticina che dà sur una vecchia scala interna, con soppalco o soffitto
formato da tavolato primitivo: questa scala conduceva - dal Dormitorio
per l'Oratorio - al piano inferiore, ove era il coro delle monache
e la chiesa. A mezza discesa, è una piccolissima porta che mette
nel Giardinetto di S. Chiara. Per vero dire, nulla si legge
nei documenti che possa riferirsi a questa parte del Santuario: il giardinetto
di S. Chiara è uno dei secreti - ortus conclusus - che hanno
custodito per secoli le vecchie mura di S. Damiano. Il piccolo balcone (giacchè
non è altro che un balconcino dove si coltivano alcuni fiori) nella
primitiva disposizione del monastero veniva a trovarsi in un angolo aperto,
formato dalla congiunzione del dormitorio dell'Infermeria col fabbricato
della chiesa. Quivi dal vicino oratorio scendeva a intervalli S. Chiara
al tempo della sua lunga infermità, trascinando l'egro fianco, per
respirare l'aria pura della splendida sottoposta campagna; quivi essa -
come narra un'antica tradizione - coltivava alcuni fiori preferiti, il giglio
fratello della purezza, la violetta sorella dell'umiltà, la rosa
simbolo dell'amor divino. Noi non vogliamo forzare la storia; ma ripensando
a Colei che sì profondamente aveva sentito il fascino della poesia
francescana, non possiamo a meno di raffigurarcela su l'umil balcone, assisa
tra i suoi fiori prediletti, nella pace di qualche mite tramonto lanciando
al sole la strofe del suo poeta e maestro:
&laqno; Laudato sii mio Signore ..... »
il Cantico del Sole e di tutte
le creature.
Al fondo della scalinata che discende dall'oratorio,
si apre un pianerottolo che attualmente fa l'ufficio di antesacrestia: una
pietra quadrata, quasi nel mezzo, indica una tomba. É il Sepolcro
delle Monache, dove riposano i resti verginali di quelle compagne di S.
Chiara che morirono in S. Damiano prima del 1257. L'anno 1721 venne aperta
questa tomba e - a quanto ne dice il Cronologo conventuale - vi si scoprirono
due sepolcri: "in quello che sta sotto il primo gradino della scala,
furono trovate ossa e teste spiranti soave odore.... Et acciò in
avvenire se ne conservi memoria, vi fu fatta fare una volta e di sopra posto
un mattone con sopra scolpite queste parole: Sepulchrum Monialium Sanctae
Clarae".
Da questo pianerottolo si passa alla Sacrestia, che è piccola,
ma ornata di un bel paratorio di noce e di armadi ben forniti di arredi
sacri. essere che in altri tempi il luogo non fosse altro che una sacrestia;
ma le indicazioni storiche e tradizionali portano piuttosto a credere che
fosse un ambiente esterno, una di quelle costruzioni attigue alla chiesa,
destinate a persone di servizio del monastero o ad uso di foresteria: quivi
avrebbe ospitato S. Francesco nell'ultima epoca della sua malattia, quando
egli dimorò - l'ultima volta - in S. Damiano, oggetto delle cure
di S. Chiara, e quivi avrebbe composto l'inspirato Cantico del Sole.
Dalla sacrestia ritornando verso il Sepolcro delle Monache
si discende per alcuni gradini nel Coro di S. Chiara. Attualmente
è una grande cappella, a volta, che prende luce da una graziosa finestruola
leggermente archiacuta, con listello di mattone sovrapposto, indizio di
assai remota costruzione. La cappella viene a trovarsi quasi dietro la chiesa,
e originariamente doveva includere al completo il circolo esteriore dell'abside;
ma nel secolo XIV, o poco dopo, vi fu elevata una cortina di muro, che lasciando
appena visibile una parte dell'abside rende più regolari, ma più
ristretti i limiti della cappella. Nel tratto superiore di questa postuma
parete è dipinto, in buon affresco, un Crocifisso, colla data del
1482, opera si crede di Antonio Mezastris da Foligno. L'altare, elevato
di due gradini dal pavimento e appoggiato contro la parete, è stato
recentemente restaurato, o piuttosto rifatto nella forma più semplice
ed antica, sì da armonizzare colla perfetta severità dell'ambiente.
Il coro propriamente detto - che ha il nome da S. Chiara, perchè
essa colle sue sorelle si recava quivi a pregare e a salmodiare - è
un monumento di povertà francescana. Si trova addossato alla parete
opposta dell'altare; ed è formato alla semplice, di un dossale composto
di povere assi, nude e malconnesse, d'un inginocchiatoio dello stesso stile,
ai lati del quale sorgono due leggii che sembrano aspettare la mano che
li sorregga e che li guidi. Sopra uno di tali leggii si conserva un vecchio
catalogo, desunto dal Waddingo, su cui si leggono i nomi delle cinquanta
monache che formavano la famiglia di S. Chiara. Il coro era in comunicazione
colla chiesa per mezzo di una finestra munita
di grata, per cui le religiose ricevevano la Santa Comunione. A questa
grata accorse S. Chiara con tutte le sue figliuole per rendere l'ultimo
tributo d'affetto al loro padre e maestro, S. Francesco, quando con mesta
pompa veniva trasferito il suo sacro corpo da S. Maria degli Angeli ad Assisi,
il giorno dopo la sua morte. In tale solenne e triste circostanza venne
aperta la finestra, &laqno; ....et ecce domina Clara venit cum filiabus
suis ad videndum patrem non loquentem eis, nec reversurum ad eas....
».
Ancora un altro ricordo conserva l'umile cappella. Nella parete sinistra,
accanto all'abside, si vede un'apertura, una specie di nicchia poco profonda
e poco larga, di metri 1,54 di altezza. Sembra interessante riferire tal
misura, perchè sarebbe in relazione colla statura di S. Francesco.
A proposito di questa nicchia, il noto codice del Bartoli ha il passo seguente:
"....dietro la tribuna, dalla parte esterna della chiesa, a sinistra,
è la figura del B. Francesco dipinta entro una nicchia, secondo la
misura del suo piccolo corpo ad modum ostioli, ad mensuram sui corpuscoli
depicta, la quale fu fatta dipingere - come si attesta dai frati, ut
per fratres asseritur - dalla beata vergine Chiara, a perpetua memoria
e sua consolazione.... ".