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Enrico DALFINO

Dalla basilica alla metropoli

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Trascrizione, impaginazione e link: M. Mastrorilli, 2001 -


Bari esiste da millenni, ma la Basilica di San Nicola è, insieme, la coscienza del suo esistere, la memoria dei baresi, marinai e mercanti, il monumento della svolta dagli oscuri tempi della Bari antica, nei quali "sembra non spiri alcun fiato di vita" (come dice Francesco Nitti di Vito nella prefazione al Codice diplomatico barese) ai tempi in cui, dopo il Mille e la "santa rapina", si affaccia alla storia la Bari moderna che, con la costruzione della casa del Patrono (avviata nel 1087 e terminata nel 1108), inizia la trama secolare di avventure che la porterà a divenire approdo di traffici e di contemplazioni.
La Basilica è simbolo del progresso di Bari: soprattutto lo straordinario complesso amministrativo, organizzato sull'esempio rivoluzionario per l'epoca di Venezia con San Marco, di chiesa-banca-fiera-scuola-ospedale. È opera popolare: frutto dell'intelligenza architettonica dell'Abate Elia, ma voluta dai baresi, non solo mercanti ma anche artigiani, contadini emarinai, con consapevolezza di partecipazione al comune progresso, soprattutto voluta dalla gente di mare che, protagonista della "rapina" delle spoglie del Santo, riconosce alla Basilica per tre secoli il diritto di plateatico (cioè, quello del titolare di un fondo quale corrispettivo della facoltà concessa ai mercanti di vendere in pubblico) su tutte le merci importate via mare (eccettuato il lino di Siria e di Alessandria di Egitto).
In ciò è la manifestazione dell'essere dei baresi uomini "del fare", che, muovendosi sul piano della concretezza nei confronti dell'universo, da Oriente ad Occidente, alle radici del viaggio da Myra a Bari, via mare, rilanciano il culto di San Nicola in una contaminazione suggestiva di chiesa e negozio.


La baresità che qui si coglie, nella carica d'indipendenza e laboriosità, nasce e si sviluppa in un contesto storico particolare: da una parte, i dissidi tra la Cattedrale bizantina e la Basilica barese, pienamente permeata questa dallo spirito indipendente della religiosità benedettina; dall'altra parte, l'evidente contrasto tra il senso normanno dello stato, che si esprime in Puglia attraverso la fioritura di castelli e fortezze, e la laboriosità del popolo barese, legato più all'intraprendenza dello scambio che alla maestà dell'impero.
Quel che conta per i baresi è il ruolo che Bari svolge, con San Nicola e la Basilica, nel Mediterraneo.
A tale scopo sono finalizzati azione e rifiuto e, al tempo stesso, nella prospettiva di questo scopo risulta non incidente la successione dei vessilli innalzati ed ammainati dai vari occupatori, cui Bari viene affidata dalle sorti della storia.
Come approdo di traffici e contemplazioni la vede ancora l'Abate Pacichelli, poligrafico viaggiatore, nel suo "Regno di Napoli in prospettiva", ove nel 1692 di Bari si legge: "è la città marittima, illustre per edifici, per abitanti e per santuari, con picciuol porto e munito di castello, ma frequenta da uomini di negozio sì fitti che passeggieri al mercato pubblico nel dicembre".
È così rappresentato visibilmente lo stretto legame che accomuna, a cinque secoli dall'avvio della storia moderna di Bari, il destino della città all'attivismo dei suoi operatori economici e commerciali.
I tempi sono maturi, però, per aprire le Mura che racchiudono Bari entro il perimetro di una penisoletta a triangolo isoscele di circa 35 ettari di superficie: alle esigenze di espansione proprie del capitalismo borghese si accompagnano quelle tipicamente mercantiliste; le due piazze comunicanti, quella Mercantile e quella del Ferrarese, sono infatti insufficienti per la migliore espressione della economia barese che, protesa verso il mare, mantiene i contatti con l'entroterra solo attraverso le due Porte, del Castello ad Occidente e della Marina ad Oriente.


Nasce così l'idea del Borgo.
Il progetto originario, degli ingegneri Viti e Palenzia, prevedeva nel 1790 una penetrazione del nuovo corpo urbano all'interno della penisoletta triangolare, lungo la diagonale costituita dall'asse dello stradone principale di accesso, onde determinare la saldatura della città esistente non solo con il futuro nucleo urbano ma, anche, con l'entroterra attraverso il vertice opposto della progettazione.
Con l'approvazione di Gioacchino Murat nel 1813, il progetto subisce una rotazione ed il Borgo è accostato alla base del triangolo, in aderenza alle antiche Mura, annullando, così, il coinvolgimento dell'antica Città nelle potenzialità dinamiche della nuova aggregazione urbana.
L'operazione sembra soddisfare l'esigenza di adeguamento della città al passaggio di poteri dall'amministrazione borbonica a quella francese, più incline a conservare la struttura, già rettificata nel 1790, della Regia Strada (Corso Ferdinandeo, oggi Vittorio Emanuele) mercè la disposizione del Borgo in posizione che fronteggia la città, onde ottenere la formazione del "viale", nella falsariga dei boulevards parigini utili per le sfilate degli eserciti vittoriosi, ed il contrassegno rappresentativo del passaggio dalla struttura antica a quella nuova.
Gli effetti negativi dell'operazione si colgono anche nella destinazione meramente abitativa del borgo che se soddisfa l'esigenza di alleviare le condizioni di degrado in cui la Città antica versa alla fine del secolo XVIII, non soddisfa, invece, le concomitanti necessità imprenditoriali dei baresi.
Infatti, il tessuto compatto ed uniforme della scacchiera murattiana, ancorché esteso per circa 47 mila metri quadri, non offre spazi, quali quelli costituiti dalle piazze Mercantile e del Ferrarese, per l'esercizio dei traffici e per l'impianto di opifici.
La creatività dei baresi riesce comunque a tradurre la disposizione a scacchiera del Borgo in sede commerciale, agevolati, peraltro, dal fatto che questa struttura offre la massima espansione per la mostra di prodotti.


Nasce così la "vetrina" ed il ceto mercantile si evolve verso la produzione e la "mostra permanente".
La forza dei commercianti è tale che, dopo la Restaurazione borbonica, ad essi Ferdinando II si rivolge per il finanziamento della Borsa dei Cambi e della Camera Consultiva e di Commercio, da realizzare accanto al Teatro sul Corso Ferdinandeo: "la spesa occorrente per queste costruzioni sarà anticipata per via di azioni dal ceto di negozianti di Bari e restituita in un numero di anni agli azionisti, rimanendo gli edifici suddetti di proprietà del Comune, il quale dà il suolo" (Art. 4 del Decreto 3. 2. 1859).
La società commerciale barese mostra ora la sua maturità non solo con la costruzione della piazza coperta e del mercato ittico sul confine della città antica, ma anche, con la realizzazione, a sud del Borgo, dell'Ateneo in cui si raccolgono le Scuole Tecniche, la Biblioteca "Sagarriga Visconti-Volpi" ed il Museo Provinciale, e, ad est, della Camera di Commercio.
Il ceppo mercantile originario deve ora confrontarsi e comporsi con gli immigrati attratti dalle nuove opportunità dei fiorenti mercati, soprattutto con il sistema del latifondo provinciale che, con la crisi dell'agricoltura della seconda metà del XIX secolo, si volge con cospicui investimenti di capitali agricoli all'industria e al commercio. Con la crisi dell'economia di esportazione dei prodotti primari, intervenuta nel 1887 a cusa della rottura doganale con la Francia, gli agricoltori-finanzieri-commercianti baresi si orientano verso la diversificazione degli investimenti: dai settori dell'agricoltura e dell'intermediazione si passa all'industria sostitutiva dell'importazione, tendenza questa agevolata poi dal protezionismo nazionale del primo '900 e dal concorso dei finanzieri del nord.
Crescono gli opifici, i teatri, i luoghi di commercio, le grandi opere pubbliche. La città murattiana viene "circondata" da opifici e da industrie che si collocano soprattutto lungo la linea ferroviaria, sia per la mancanza di spazi all'interno del Borgo e sia per ragioni fiscali, cioè di convenienza a muoversi oltre la "cinta daziaria".
La città si va così conformando ancora una volta in maniera "spontanea".


Anche la nascita dei nuovi "rioni" segue l'ispirazione "economica" del massimo sfruttamento delle aree: sorgono così le "periferie" Madonnella, Libertà, Carrassi, San Pasquale e Picone in condizioni di assoluta emergenza e provvisorietà che poi segneranno definitivamente i caratteri di quei quartieri. Per converso, si moltiplicano gli investimenti per l'edilizia residenziale delle classi abbienti (lungo corso Cavour e le aree adiacenti) ed i luoghi di ritrovo (dal Margherita al Petruzzelli): si afferma così il rapporto gerarchico tra aree forti ed aree deboli che diverrà poi la costante nei successivi sviluppi per la formazione della Bari contemporanea.
Non si può dire se abbia inciso più lo spirito di indipendenza dei baresi che l'inadeguatezza delle politiche urbane rispetto al dinamismo dei ceti imprenditoriali e commerciali.
Certo è che se si considera l'attuazione dei piani Trotti del 1867, Veccia del 1918, Petrucci del 1931, Calzabini e Piacentini del 1952 e, infine, Quaroni del 1976, si ha la prova che gli interventi di maggiore incidenza sul piano urbanistico - dalla localizzazione di alcuni fra i più importanti edifici pubblici alla costituzione di interi quartieri - sono stati realizzati al di fuori di ogni piano e, addirittura, in contrasto con lo strument urbanistico vigente (lucida è, nella rappresentazione di questa vicenda, Enrica Di Ciommo nel saggio La trasformazione urbana in "Quali mani per la Città" a cura di F. Pirro, Laterza, 1986.
La realizzazione delle infrastrutture collettive è avviata, limitatamente "alle esigenze più elementari della sopravvivenza", dice Enrica Di Ciommo, con la prima legislazione speciale per il Mezzogiorno promossa da Giolitti: gli interventi per acqua, fognatura, bonifica (con la deviazione del torrente Picone) e trasporti, danno a Bari volto e fisionomia di capoluogo.


L'avvio alla conurbazione si ha con l'assenso del governo centrale nel 1928 per l'aggregazione a Bari dei comuni di Carbonara e Ceglie e delle frazioni di Santo Spirito e Torre a Mare: si pongono le premesse per l'area metropolitana.
Mutano anche i soggetti della trasformazione urbana e la stessa natura della produzione edilizia.
Da una parte le numerose agevolazioni fiscali, dall'abolizione delle tasse sulle aree fabbricabili all'esenzione dei nuovi immobili dalle imposte sui fabbricati, dall'altra parte l'istituzione di enti per il credito edilizio agevolato e per l'edilizia sovvenzionata media oltre che popolare, favoriscono la formazione di imprese edili e lo spostamento in questo settore dei profitti accumulati dagli agricoltori-finanzieri-commercianti.
Nel 1931 l'associazione dei proprietati edili, recentemente costituita, calcola l'avvenuta costruzione nel decennio di oltre trentamila vani (88% di edilizia privata).
L'obiettivo del ventennio, di promozione di Bari quale polo di traffici nell'Adriatico meridionale e centro direzionale e di servizi sul territorio pugliese, mentre consente l'istituzione di importanti attrezzature (porto, Fiera del levante, Corte d'Appello, Università degli Studi, Lungomare), muta poi, con il convogliamento delle risorse verso i settori forti dell'industria nazionale, lo stesso assetto produttivo barese, peraltro penalizzato dalla carenza di fonti energetiche.
Si assiste ora ad una riduzione dello slancio mercantile, niente affatto compensato dalla politica dei lavori pubblici che, se porta alla provvista di importanti attrezzature civili nell'ambito della sanità, dell'igiene e della grande viabilità, oltre che all'approvvigionamento idrico ed elettrico, accentua i rapporti gerarchici tra i vari spazi urbani.


La linea di tendenza è confermata negli anni '40 e '50 ove, al declino delle altre attività produttive, si contrappone l'egemonia delle iniziative nell'edilizia, governate, in netta opposizione con il piano Petrucci (la cui idea di fondo affermava la formazione di nuove centralità urbane e l'effettivo decentramento) e in deciso favore dell'opzione per una soluzione rigidamente monocentrica formalizzata poi nel piano Calzabini e Piacentini.
L'edilizia si caratterizza soprattutto in termini quantitativi: 120 mila vani vengono costruiti tra il 1947 ed il 1960. Sul piano qualitativo, invece, si aggrava la diversificazione tra aree urbane: da un lato l'edilizia sostitutiva borghese degli edifici del murattiano, dall'altro i quartieri periferici (si formano le nuove periferie di San Girolamo, Torre Tresca e San Paolo) e le palazzine della piccola e media borghesia.
Il Borgo perde completamente ogni possibilità di costituire il tessuto connettivo tra la città originaria e le nuove aggregazioni.
La città antica, anche per la perdita di gran parte dei residenti trasferiti nei nuovi quartieri periferici, assume sempre più le caratteristiche di monumento.
La città assume, peraltro, nuove funzioni e capacità di diversificazione nei servizi di capoluogo: l'Università si arricchisce di nuove Facoltà, cresce la Fiera del levante, si afferma la funzione dell'informazione con lo sviluppo de "La Gazzetta del Mezzogiorno", si attrezza l'area industriale sotto la guida del relativo Consorzio.


Nell'iter formativo del piano Quaroni, approvato poi nel 1976, Bari è pensata come città-metropoli, anzi addirittura come città-regione.
Sulle connotazioni del primo e del secondo modello non è stata raggiunta ancor oggi identità di veduta.
I lineamenti metropolitani dell'area vengono, comunque, identificati in quelli di un territorio caratterizzato oltre che da livelli demografici e densità insediative di rilievo, anche da notevoli intenzioni mutue tra questi insediamenti e da prevalenza di attività secondarie, terziarie e quaternarie.
I lineamenti della città-regione, invece, mutano a seconda dell'opzione prescelta.
Da una parte, la soluzione "emiliana", in cui si privilegia la distribuzione delle funzioni di rilevanza regionale sull'intero territorio, onde l'intera regione assuma connotazioni polifunzionali e policentriche; in altri termini, il tutto viene considerato in un sistema di grandi reti nel quale nessun centro urbano perde la propria individualità o assume posizioni di egemonia o di subordinazione, ma tutti possono ottenere vantaggi dalla reciproca integrazione per un effettivo rilancio tecnologico e produttivo in funzione di programmi infrastrutturali idonei a soddisfare domande di mobilità.
Dall'altra parte, si pone la soluzione "pugliese", risultante dall'adozione comunale e dall'approvazione regionale del piano Quaroni, in cui il capoluogo viene disegnato come centro polifunzionale rispetto all'intero territorio regionale e, quindi come città-metropoli e regione, insieme.
L'opzione pugliese recepisce, peraltro, nel piano di Bari l'ideologia del "tutto pubblico", per cui è riservata al Comune sia la redazione dei piani particolareggiati, degli insediamenti residenziali e delle zone a servizio, cui sono subordinate le lottizzazioni private, sia l'esecuzione e la gestione delle attrezzature di interesse comune.


Si tratta, come ognun vede, per Bari di scelte politiche ben precise dirette tra l'altro, con la costruzione di una stazione di testa e la dotazione di servizi ad ampie zone destinate ad uso pubblico, a dare forma architettonica alla città e ad ottenere un continum tra città antica, borgo murattiano ed aree esterne alla cinta ferroviaria.
L'opzione della città-regione e quella della riserva alla mano pubblica dei processi di trasformazione, a parte la condivisibilità delle stesse, richiedevano, però scelte operative e coerenti sia da parte statale per la provvista finanziaria, sia da parte degli enti nazionali per le opere settoriali (ad esempio, l'Ente Ferrovie per la stazione di testa), sia da parte della Regione con l'adozione di un piano di sviluppo ed urbanistico-territoriale per determinare le necessarie interazioni con gli ulteriori poli di sviluppo, dalla Capitanata all'arco ionico-salentino.
Alla mancata verificazione di queste condizioni si è accompagnato anche un ulteriore fenomeno non facilmente prevedibile, ma connesso con la situazione di paralisi dello sviluppo urbanistico in cui Bari si è venuta a trovare per i motivi ora esaminati.
La città, che nel 1788 contava 18.181 abitanti, eguale a quelle di Taranto e Foggia, aveva registrato un aumento di popolazione per flussi immigratori, pari a 119.172 abitanti nel 1936 ed a 312.023 nel 1961.
Negli anni '70, invece, registra una flessione consistente per effetto delle migrazioni nei comuni di prima corona, in particolare Modugno, Bitritto, Valenzano, Noicattaro, Rutigliano e Triggiano.


Il settore "vitale" resta quello dell'edilizia residenziale sovvenzionata, agevolata e convenzionata, favorita dalla fioritura delle cooperative, che, però, si attesta sulle aree periferiche, moltiplicando la marginalità (dal San Paolo a Enziteto, da Carbonara 2 a Japigia).
Lo spirito creativo ed imprenditoriale dei baresi ancora una volta ha modo di reagire a questa situazione di stallo sul doppio versante dell'impresa economica e della ricerca culturale.
Importanti funzioni di rilevanza regionale sono di fatto decentrate al di fuori del territorio comunale barese, nei settori della grande distribuzione (Parco Commerciale Barese, Baricentro) e della ricerca scientifica e tecnologica (Tecnopolis, Centro Laser e Centro Ricerca Olivetti), nonché al di fuori di qualsiasi piano pubblico territoriale e di sviluppo.
Nasce, così, di fatto, un raccordo tra capoluogo e centri periferici, embrione di area metropolitana, con una conseguente domanda di coordinamento istituzionale delle diverse funzioni ed attività territorialmente dislocate. Al di là di recenti ipotesi progettuali di iniziativa regionale, ancora attardate nel perseguimento di obiettivi che ricordano nei contenuti il piano Quaroni, il quale nel tempo ha dimostrato la sua inidoneità a garantire una equilibrata gestione dei processi di sviluppo del comprensorio barese, nonché prive di una strategia globale degli interventi funzionale ad una identificazione del ruolo assegnato al capoluogo, vi è però sufficiente materiale di iniziativa privata, come già detto, ed anche, ancorché episodica, di iniziativa pubblica (piano ferroviario, nuovo stadio per i mondiali di calcio, politecnico) perché l'antico spirito dei baresi trovi motivi di creatività tali da consentire un mutar di rotta, offrendo, nuovamente dal basso, nuove possibilità alle politiche regionali per Bari, per la sua area metropolitana, per la Puglia.