RICOSTRUZIONE STORICA
per la relazione del rilievo del 1982

La Chiesa Madre di Montescaglioso, a croce latina e tre navate, intitolata ai Santi Pietro e Paolo, subì notevoli trasformazioni rispetto all'impianto originale, soprattutto in seguito ai diversi crolli del XVIII secolo.
Nel 1776 una parte dell'antica chiesa madre di Montescaglioso crollò.
Su di essa non si sa molto. Pur essendo sconosciuta l'epoca precisa della sua costruzione, questa già esiste nel 1565 anno al quale risalgono le più antiche rubricazioni del registro dei battezati compilato secondo le norme del concilio tridentino. Doveva essere probabilmente seminterrata, "formata da grosse mura colla forma di tre grottoni sotterranei"; si accedeva attraverso una porta bassa sollevata di un solo gradino rispetto alla quota della piazza, discendendo poi 5 gradini, si raggiungeva la quota di calpestio.
Lo schema distributivo era quindi di tre navate orientate nella direzione est-ovest: quella centrale si formava di tre arconi bassi fabbricati su pilastri "che non avevano figura", la sua copertura era in legno con travi portanti e "rozzo tavolato che non aveva memoria nella formazione"; la navata sud piuttosto bassa, voltata con"mattoni rozzissimamente situati", presentava nel suo sviluppo, lateralmente quattro altarini, la fonte battesimale presso la porta d'ingresso, un'altro altare nella zona terminale; la navata nord, voltata come la precedente presentava invece oltre a nove altarini "il cappellone del S.S. Sacramento il quale era di comoda grandezza, alto, di asciutto pavimento di mattoni,…luogo almeno di poter stare in ginocchio a paragone dell’intera chiesa", terminava con un passaggio per il campanile e l’entrata della sagrestia.
Alla fine della navata salendo un gradino v'era il presbiterio costruito in tufo con un altare maggiore "niente manipolato ed abbellito", dietro di esso salendo due gradini: il coro.
Lo stato generale della costruzione doveva essere certamente molto precario, in quanto non esisteva adeguata ventilazione e l’umido pervadeva tutto l’ambiente;il pavimento inoltre copriva innumerevoli sepolture che "esalavano aria mefiticosa".
Dopo il crollo di una parte della navata nord si tentò di organizzare la riparazione della parte crollata, ma alcuni sacerdoti, insistendo sulla pericolosità della costruzione anche se riparata, suggerirono di costruire una nuova chiesa.
Questa idea ebbe successo presso la gente del paese che, con orgoglio ed allegria nominando prima una commissione di gestione, iniziò le operazioni di ricerca e trasporto del materiale da costruzione nella campagna; mentre si demoliva la vecchia chiesa, si preparavano le fosse dove confezionare la calce.
L'incarico di redigere il progetto fu dato ad un ingegnere di Bitondo, un certo D. Giovanni Cervelli, che lo approntò velocemente facendolo esaminare anche a Napoli. Il progetto proponeva uno spazio distributivo a tre navate senza crociera né cappelle di sfondo, né coro per mancanza di superficie e di risorse finanziarie a disposizione. Utilizzando tutto il materiale di risulta della vecchia chiesa demolita, si realizzò la navata nord; quindi si tracciarono e si eseguirono le fondazioni della sacrestia e del campanile; inoltre si realizzarono, sotto il piano di calpestio della nuova chiesa che si trovava a quota maggiore rispetto alla precedente, dei vani in cui furono riposti i resti delle antiche sepolture. Tale operazione fu poi emulata dalla popolazione che prese a seppellire i morti nell'ipogeo della chiesa; quest'ultimo si estendeva dall'altare maggiore fino al frontone principale, suddiviso da muri, su cui poggiavano le voltine che costituivano il piano di calpestio della nuova chiesa. La partizione dell’ipogeo avveniva seguendo lo schema della pianta in superficie, cioè le navate si corrispondevano nell'ipogeo, che era ricoperto appunto da voltine cilindriche con generatrici parallele alla dimensione maggiore della navata; sotto la navata centrale invece l'andamento delle voltine si raddoppia; l'altezza media di questi vani sotterranei varia procedendo dalla entrata principale in avanti, da 5-5,50 mt. a 4-4,5 mt.
Mentre si completava il livello della nuova chiesa, si riscontrò che i muri della sacrestia erano inadatti a sostenere la volta, per cui si chiese la consulenza dell'ingegnere Palmiero di Monopoli, venuto a Montescaglioso per un altro lavoro.
Costui più che argomentare sui muri, prima accennati, mostrò palese perplessità per l'assenza nel progetto del coro e degli sfondi, sensibilizzando anche l'attenzione del marchese D. Ferdinando Cattaneo, che con autorità e decisione convinse gli abitanti di alcune case, a ridosso della costruenda chiesa a vendere le loro abitazioni, che furono così demolite.
Fu chiamato a dirigere i lavori il capo mastro Gerardo Antonacci di Montone che realizzò il progetto di variante costruendo la parte absidale costituita in sostanza dal raddoppio degli ultimi pilastri conformando così il coro e le due cappelle laterali; inoltre portò avanti la costruzione della sacrestia, i cui muri furono rinforzati da pilastrini, completando poi la struttura ad archi che consente il passaggio nella sacrestia attraverso il campanile.
Queste opere risalgono al 1800, fino a quando mastro Antonacci ritirandosi dall'attività, passò le consegne a mastro Omobuono Basile il quale diresse la costruzione delle volte.
Purtroppo però appena ultimato il montaggio delle volte, due pilastri centrali precedentemente costruiti sotto la direzione dell'Ingegnere Cervelli, cedettero rovinosamente causando anche il crollo degli altri due attigui.
La natura del dissesto venne individuata nella friabilità del materiale usato, ma anche nel sistema costruttivo adottato, che consisteva nel creare un guscio esterno di muratura più resistente riempito poi internamente da materiale di risulta.
I lavori, dopo il comprensibile scoramento generale ripresero nel 1821 anche perché si dovettero riorganizzare le finanze.
Si ricostruirono i quattro pilastri centrali, provvedendo sia ad un ampliamento della loro sezione, sia ad un sovradimensionamento della loro fondazione; successivamente si montarono le volte.
In un primo momento si rimase soddisfatti della stabilità della costruzione, tant' è che con intenso fervore si provvide alla finitura e agli ornamenti.
Dopo un po' di tempo cominciarono a comparire grosse lesioni, che allarmarono i cittadini; i quali chiesero, tramite Monsignore Clary, arcivescovo di Bari, il sopralluogo dell'architetto Nicola Carelli che realizzò una dettagliata perizia ed un altrettanto attento progetto di interventi.

La configurazione attuale

La nuova struttura, realizzata in muratura di tufo, fu costruita progressivamente sino a raggiungere l'attuale configurazione con l’imponente campanile e la sagrestia adiacente la navata laterale destra. Due scalinate in pietra sul prospetto principale e laterale sinistro conducono agli ampi portali di accesso alla chiesa, arricchiti da elementi decorativi in tufo di pregevole fattura architettonica.
Le superfici interne sono completamente decorate dalla presenza di stucchi e cornici che definiscono le varie campate delle tre navate esaltandone l'organizzazione architettonica tipica settecentesca con volte a botte lunettate, impostate sulle murature perimetrali e sui pilastri della navata centrale.
Il coro ligneo fa da sfondo all'altare in marmo policromo ed alla zona presbiteriale delimitata da una balaustra in marmo, sopra la quale sorge la maestosa cupola ad andamento circolare. Di fronte l'altare, una pregevole cantoria in legno finemente lavorata ed ornata, costruita sopra la porta principale d'ingresso con la funzione di raccordare la navata centrale con quelle laterali.