Racconti leggendari,
affascinanti quanto inverosimili e storie fantasiose, costruite
sin nei minimi particolari, sono tutto ciò che ci rimane
sulle origini di Martina, se si fa eccezione per qualche documento,
ritrovato, qui e là, nelle contrade del circondario, che
ha consentito, nel corso degli anni, di fare delle ipotesi, più
o meno plausibili, circa i caratteri fondamentali del "castrum
Martinae".
Castrum Martinae, questo il toponimo con cui si fa riferimento
a Martina, per la prima volta, in un documento del 1260: "Instrumentum
executionis mandati regii"
Circa la natura, la destinazione d'uso e la struttura del castrum,
si ritiene di poter fare due ipotesi possibili, secondo cui, la
prima, attribuisce al castrum la definizione di castello dotato
di una o più torri e di mura di cinta, attorniato da gruppi
di casupole e qualche chiesetta; la seconda, lo definisce come
un vero e proprio centro abitato fortificato. Tuttavia, l'unico
elemento certo è la sua collocazione nell'area urbana settentrionale,
oggi volgarmente detta 'u Curdunnidde sita nel punto più
alto dell'antico borgo ( circa 431m s.l.m. ).
Il castrum, dunque, al cui interno si suppone si erigesse un'alta
torre quadrata per la residenza del feudatario, era posto su un
altura, in una posizione eccellente, dominando la vallata sottostante
(
la Valle d'Itria). Dell'antico tracciato confinario sono individuabili
tre punti precisi: il primo era il Monterrone, presso la chiesetta
di Santa Maria della Pace; il secondo, era un cippo , che si erigeva
nei pressi dell'odierna chiesa di San Martino, a delimitare i
territori di Monopoli e Taranto, di cui Martina rappresentava
il confine; il terzo, era la torre campanaria, ancora perfettamente
conservata. Quest'ultima, edificata sul suolo monopolitano con
funzioni militari, fu trasformata in campanile, con una soprelevazione
di più piani, di differente stile, fra la fine del Trecento
e gli inizi del Quattrocento. Le strette monofore e l'ardita scala
in pietra, costituita da gradoni monoblocchi, innestati nei muri
perimetrali, che caratterizzano la parte inferiore del campanile,
che va dalla base fino al primo cornicione esterno, sono segno
evidente della destinazione d'uso militare che aveva caratterizzato
la parteinferiore del campanile, che va dalla base fino al primo
cornicione esterno, sono segno evidente della destinazione d'uso
militare che aveva caratterizzato la torre nel XIII sec. Le grandi
finestre e gli archetti pensili che decorano la zona sovrastante,
rimandano ad una architettura successiva, finalizzata ad altri
scopi, che conferisce alla torre quella che è ancora oggi
la sua funzione: campanile della chiesa di S. Martino.
Nel primo trentennio del XIV sec., dopo alcune ricostruzioni e
ampliamenti, che diedero a Martina le sembianze di ''casale'',
si eresse una cinta muraria, rinforzata da un sistema di torri,
ventiquattro, secondo la tradizione, che conferì al casale
l'aspetto di città fortificata: ''Terra''. La rifondazione
di Martina, voluta da Filippo I d'Angiò, principe di Taranto,
nei primi anni del Trecento, era finalizzata a creare un ''borgo
franco'' , con un'università demaniale e non feudale, libero
da vincoli di vassallaggio.
Quando l'Università edificò la cerchia muraria,
furono realizzati cinque accessi urbani sul sito delle antiche
vie che conducevano, in età preangioina al castrum Martinae:
la Porta di Santa Maria, a nord-est, la Porta di S. Nicola, ad
ovest, la porta di S. Pietro dei Greci, a sud-ovest, la Porta
di S. Stefano, ad est, infine, una <posterla>,nella muraglia
di nord-est.
Alla Porta di Santa Maria, oggi nota con la denominazione di porta
del Carmine, giungeva la strada cui confluivano vari tracciati
viari diramatisi nella attuale Valle d'Itria.
Nel l596 la porta medievale fu rimpiazzata da un'altra più
monumentale e moderna, che aveva e conserva ancora, in alto, un
bassorilievo con le insigne della 'Terra'' , il più antico
stemma in pietra che attualmente esista. La torre quadra, che,
probabilmente, sovrastava la porta prima del rifacimento, non
fu più realizzata, essendo venute meno le esigenze di difesa,
così, la porta ebbe una sede ridotta ed un semplice loggiato
sull'arcata.
La Porta di S. Nicola, oggi nota come porta di S. Francesco, dava
accesso ad una delle principali arterie urbane in direzione della
chiesa di S. Vito, si trattava dell'odierna via Mazzini.
Nel 1753 la vecchia porta fu abbattuta e rifatta da un privato,
che, ottenne l'autorizzazione ad erigere una stanza d'abitazione
sull'area sovrastante l'arcata, precedentemente adibita a loggia
di difesa. La soprelevazione effettuata, lascia intendere che,
parti delle mura attigue, erano già state sostituite da
fabbricati fondati sul limite dell'antico circuito urbano.
La Porta di San Pietro, con gli anni ha assunto il nome di Porta
Stracciata, a causa della sua singolare storia, secondo cui più
volte fu murata e riaperta per essere definitivamente riaperta
nel 1752. Era posta a circa duecento metri dalla Porta di S. Nicola
e ad essa convergevano, per le due salite ripide del votano, due
strade importanti: quella per Taranto e quella per Massafra Per
ciò che riguarda le sue attuali linee architettoniche,
si ritiene che nulla sia rimasto di ciò che la caratterizzava
nel Seicento o Settecento, a causa degli inimmaginabili rivolgimenti
edilizi degli ultimi due secoli.
La Porta di Santo Stefano è stata ed è ancora la
più importante fra le quattro. Nel largo antistante, confluivano
strade di primaria importanza, che garantivano il collegamento
con Monopoli, Cisternino, Ostuni, Ceglie, Taranto, Grottaglie
e Francavilla. Essa immetteva sulla strada principale della città,
il Ringo ( via Vittorio Emanuele ) che conduceva all'unica grande
piazza - p.zza Plebiscito -, centro religioso, amministrativo
e giudiziario, su cui si affacciava la chiesa maggiore e la sede
dell'Università. La strada, poi, proseguiva, a nord, verso
la porta di Santa Ilaria. Nel primo Seicento l'intero assetto
del recinto esterno, a sud della porta, fu radicalmente modificato,
infatti, circa 85m di mura furono distrutti, in parte, per costruire
edifici destinati ad abitazione, in altra, per concedere il suolo
in locazione perpetua a quattro efiteuti che vi avrebbero fabbricato
delle botteghe.