PALAZZO VULPANO – SYLOS: Allegato 1

 

Ubicato sulla via S. Barbara che attraversa il nucleo più antico della città, il Palazzo Vulpano - Sylos è un luminoso esempio della perfezione costruttiva e decorativa raggiunta dalle maestranze bitontine allo scorcio del sec. XV. Il Carabellese e Mongiello lo fanno risalire agli ultimi anni del secolo XV. Mongiello infatti sostiene che la data 1501, incisa sulla porta d’ingresso al piano superiore, sia quella del completamento dell’opera. Carabellese suggerisce l’ipotesi che a dare inizio alla costruzione del palazzo possa essere stato un certo Giovanni Vulpano, che aveva costruito nella prima metà del secolo XV anche la cappella dei Vulpano nella Cattedrale. Al contrario, Antonio Scivittaro e Luigi Sylos lo ritengono del corso del Cinquecento. A sostenere questa tesi contribuisce la notizia, ricavata dalle carte del notaio Pascarello Russis del 1520, che in quell’anno il Palazzo non era ancora terminato. Perciò, in base a questa notizia, si può dedurre che, se la costruzione del Palazzo si può far risalire come inizio alla seconda metà del secolo XV, certamente si protrasse durante il secolo seguente, sotto gli auspici dei due fratelli notai Leucio e Giovan Pasquale Vulpano nipoti del suddetto Giovanni, come risulta dall’iscrizione del piano superiore. Quindi il palazzo sorse ad opera della famiglia Vulpano, una delle più illustri di Bitonto, che si estinse poi in quella dei Sylos, in seguito al matrimonio di Minerva, ultima dei Vulpano, con Diego Sylos. Questi, originario di una nobile famiglia di Burgos in Spagna, venne in Italia al seguito di Consalvo di Cordova ai primi del 500 e si fermò a Bitonto. Questo matrimonio risale al 1530, come è confermato da un testamento trovato nelle carte del notaio V. Madio del 1557, in cui risulta che in quell’anno Minerva Vulpano era già vedova. Sappiamo poi che nel 1608 i Sylos si imparentarono con i Labini, da cui deriva il nome attuale del Palazzo. Questo comunque nel 1728 e nel 1743 apparteneva ancora ai Sylos, come risulta dai Catasti onciari di quegli anni, e vi appartiene ancora oggi. Il palazzo Vulpano, anche se costruito nel ‘500, ricorda molto da vicino il quattrocento napoletano. Ciò non meraviglia in quanto si sa che le forme d’arte giungono in provincia con ritardo di almeno un quarto di secolo. Basta che si esamini la facciata disegnata secondo la fabbrica originaria per rendersi conto della purezza dell’opera. Si osservi lo schema e le proporzioni della facciata, le finestre quadrate del piano terra in mezzo a quel campo liscio. Il piano terra è delimitato superiormente da una cornice bella e delicata. La ricchezza plastica degli ovoli e dei dentelli suscita particolare interesse. Il primo piano ripeteva lo stesso ritmo del piano sottostante; le sue finestre, oggi sostituite da balconi, dovevano essere altrettanto belle ed armoniche nel loro dimensionamento. La continuità della ricca cornice appare deturpata in corrispondenza di ogni balcone, che ha sostituito la finestra originaria. Il carattere delle mensole dei balconi è di gusto diverso da tutti gli altri elementi architettonici che compongono l’opera. Il portone d’ingresso dell’edificio è un veto arco di trionfo con decorazione di colonnine aggettanti sotto l’arco inquadrato in un rettangolo, secondo uno schema architettonico prevalso a Napoli nel periodo della dominazione Aragonese. Nei fianchi si sviluppa lo zoccolo a bugnato rustico, delimitato dal toro di coronamento. Notevoli sono la cornice e le belle e delicate sculture ad essa attaccate, i capitelli a boccioli degli elementi verticali e il delicato bassorilievo dei campi triangolari dentro le cornici. Superiormente, sulla finestra centrale, si apre una nicchia con la statua dell’Arcangelo Michele, protettore della famiglia. Varcato il portale si passa nell’androne, sulle cui pareti laterali si aprono le porte dei locali del pianterreno, decorate da stipiti e architravi scorniciati in marmo bianco di Carrara. Sulla porta a sinistra è una graziosa nicchietta centinata con decorazione a edicola, composta da lesene con capitelli dorici e fastigio. L’androne è coperto da una volta a botte lunettata coi peducci pensili imitanti i capitelli d’ordine dorico toscano. Nel centro della volta è dipinto lo stemma nobiliare dei Sylos-Labini. Dall’androne si passa al cortile, in fondo al quale si sviluppa la scala di accesso ai piani superiori, la cui prima rampa assiale è preceduta dal triplice porticato formante il ricco loggiato del piano nobile. Questo è costituito, al pian terreno da tre colonne a fusto liscio posanti su basi attiche, arricchite da capitelli di ordine corinzio, sul cui abaco si sviluppano tre archi a doppia ghiera. Sulla chiave dell’arco centrale è scolpito lo stemma della famiglia Vulpano. Al di sopra degli archi corre una fascia che porta inciso in latino il motto sallustiano: "Concordia magnae res crescunt, discordia maximae dilabuntur". Nello spazio tra arco e arco sporgono quattro medaglioni rappresentanti donne scolpite ad altorilievo e raffiguranti probabilmente le quattro virtù cardinale: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. Il fregio della loggia è suddiviso in due file di riquadri di cui i superiori e più grandi rappresentano: al centro lo stemma della famiglia Vulpano protetto da Apollo seduto su due cigni e con un ramo fiorito in mano e Marte che brandisce la spada su di un carro; a sinistra e a destra due cavalieri pronti per la battaglia, seguono poi Scipione l’Africano e Annibale come è indicato dalle scritte e in ultimo due busti in due nicchie, scolpiti ad altorilievo e rappresentanti Cesare Augusto e Federico II di Svevia. I pannelli inferiori, più piccoli e separati da quelli superiori da un festone di foglie di alloro, rappresentano: al centro una lapide sorretta da due putti con la data 1502 e i nomi di Leucio e Giovan Pasquale Vulpano, che sono rappresentati di profilo nei pannelli seguenti, che, stando alle parole di L. Sylos " …sono di eccellente fattura, ma posti lì fra mezzo e tanto umanesimo vi recano un’impronta sgradita di meschinità provinciale…" . Poi, separati da due mascheroni, seguono nei due lati lo stemma dei Sylos-Labini retto da coppie di angeli, Alessandro il Macedone e Dario il Persiano, e per ultimo il mito di Orfeo che incanta gli animali. Infine gli ultimi pannelli rappresentano Antonino il Pio a sinistra, Nerone a destra, tra coppie di mascheroni. Il fregio termina in alto con un bassorilievo che rappresenta i simboli della nobiltà, corone ducali, marchesali, baronali e principesche intrecciate con rami di quercia e di alloro, e con una cornicetta dentellata che poi continua a snodarsi leggera intorno a tutto il cortile. Si consideri poi lo studio dell’effetto prospettico, sicché la linea, più marcata e sommaria nella regione superiore, diventa accuratissima in basso e più leggera, degradando dal rilievo quasi allo stiacciato: e si noti anche il contrasto del materiale, che è pietra delle cave pugliesi, e la bontà del lavoro, che non poco avrebbe acquistato di pregio se fatto nel marmo. Le pareti laterali della corte e quella prospiciente i loggiati, si arricchiscono col chiaro-scuro delle finestre e delle porte, completando l’ambiente monumentale con la preziosità del materiale marmoreo impiegato nelle cornici. Sono notevoli, nella parete destra, la porta della scuderia, con stipiti smussati mediante le rispettive mensolette a foglie d’acanto, e la vera della cisterna, incassata nella nicchia, con gradino e zoccolo su cui poggia il cilindro in marmo arricchito da festoni di fiori e frutta. La loggia del piano superiore ripete l’ordinamento a tre arcate su colonne con basi attiche e capitelli compositi. Le cornici degli archivolti e i motivi decorativi del fastigio sono, però, di stucco, e quindi certamente eseguiti in epoca più tarda. Le volte delle logge sono a crociera (con l’interposizione degli archi trasversali in corrispondenza dei sostegni, in modo che la composizione risulta, nel contempo, statica ed estetica), mentre quelle della scala sono a botte. La porta d’ingresso al piano superiore ha stipiti in marmo ed è sovrastata da una cornice su cui poggia il bassorilievo con lo stemma di Vulpano e porta incisa l’iscrizione di cui sopra si è detto. Il secondo piano fu sopraelevato posteriormente e precisamente nel 1859-1860 come risulta da una lapide murata sulla scala. L’interno è stato rifatto nell’800 e solo i locali del piano terra conservano la struttura originaria con una serie di lunette che si aprono all’incontro delle pareti laterali col soffitto. Le notizie che ci sono pervenute su questo palazzo non parlano dell’architetto che lo costruì e dei principali artefici che contribuirono all’elaborazione delle opere scultoree. Tuttavia si può ritenere che l’ideatore doveva essere un artista educato a Napoli alla scuola di Laurana, il quale venuto a Bitonto trovò schiere di lapicidi provetti nella lavorazione del marmo e della pietra calcarea, per cui poté creare, senza difficoltà, il suddetto palazzo. Allo stato attuale palazzo Sylos-Labini risulta mutilato dell’ala laterale Nord, crollata per fatiscenza alcuni decenni or sono. Il proprietario ha avuto cura di conservare in sito i pezzi d’opera e il relativo paramento in pietra da taglio, per cui il rifacimento restaurativo è sicuramente positivo. Occorre però che il complesso venga valorizzato (mediante contributi periodici da parte dello Stato, per la relativa manutenzione ordinaria), in quanto il suo pregio artistico lo fa classificare fra i monumenti nazionali.