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Come per altre chiese dei Carmelitani Scalzi d’Italia, tra le quali anche quella realizzata su progetto di Baldassarre Longhena (uno dei massimi esponenti del Barocco) a Venezia, anche S.Teresa dei Maschi ha un’organizzazione interna riconducibile ad una pianta centrale, caratteristica, questa, molto comune a diversi complessi realizzati, nello stesso periodo, nella città di Napoli.
Sotto questo punto di vista si è in contro tendenza rispetto alla volontà della Chiesa post tridentina che sebbene avesse introdotto delle riforme nella liturgia al fine di rendere tale organizzazione planimetrica più funzionale e accettabile, aveva auspicato un ritorno alla pianta longitudinale di tipo basilicale nel tentativo di rafforzare la tradizione e l’abolizione delle forme “pagane” del Rinascimento.
Fermo oppositore di tale impostazione è sicuramente Palladio il quale nel suo Trattato dell’Architettura sostiene di preferire la pianta centrale, o “ritonda”, perché “sola fra tutte le figure è semplice, uniforme, forte e capace…essendo essa da uno solo termine rinchiusa, nel quale non si può né principio né fine trovare, né l’uno dall’altro distinguere, et havendo le sue parti simili tra di loro e che tutti partecipano della figura del tutto, et finalmente ritrovandosi in ogni sua parte l’estremo egualmente lontano da mezzo, è attissima a dimostrare la Unità, la infinita Essenza, la Uniformità et la Giustizia di Dio”.
Si pervenne tuttavia ad un canone che prevedeva per le chiese di vaste dimensioni una organizzazione di tipo longitudinale, di solito comprendente un centro catalizzatore, segnato da una cupola, mentre le più piccole, per le quali si preferiva una organizzazione di tipo centrale, erano comunque segnate da un asse longitudinale.



La chiesa è costruita su vasti vani vuoti rettangolari, dotati di una copertura a volta a botte, che rese necessaria la collocazione, in corrispondenza dell’altare maggiore, di un massiccio pilastro per sostenerne il notevole peso.
All’interno di questi vani sono stati ritrovati resti umani profanati e la presenza di una dozzina di vaschette a ridosso di una parete accuratamente intonacata, che testimoniano rispettivamente di avvenute inumazioni e di un uso dei locali che non è consentito definire con precisione a causa della esistenza di acque freatiche e depositi.
Da quanto emerge da una visione della pianta della chiesa, che è contenuta in un quadrato di circa 20 m di lato, al quale si aggiunge un abside rettangolare che contiene il coro, si percepisce che lo spazio interno tende a svilupparsi in larghezza per la presenza, sia a destra che a sinistra, di tre vani laterali adibiti a cappelle, delle quali, quattro poste sulle diagonali e le altre due, che si espandono maggiormente, collocate nella fascia centrale.
L’organizzazione interna è ottenuta con quattro grossi pilastri, caratterizzati da una doppia simmetria, che inducono a pensare ad una pianta a croce greca, che condiziona fortemente gli spazi, ma che non trova tuttavia riscontro a causa della presenza delle quattro cappelle poste sulle diagonali del quadrato.
La posizione baricentrica della cupola a sesto acuto, che si imposta su di un alto tamburo sulla intersezione delle due direttrici principali, quella che dall’ingresso porta all’altare maggiore e quella che collega i due altari laterali più estesi, esalta il significato di questo ambiente che vede il suo cuore nella convergenza delle unità spaziali verso il centro.
Tale aspetto è sottolineato all’interno dalla presenza, in questa zona della chiesa, dei pilastri riccamente decorati da stucchi e da capitelli ionici, degli angoli e delle cornici dai profili molto marcati.
I bracci della croce sulla, cui intersezione si imposta la cupola, sono caratterizzati da una copertura a volta a botte.


La cupola e il tamburo sono caratterizzati da otto lesene leggibili tanto dall’interno quanto dall’esterno. Le lesene sono ornate di capitelli che si completano nella lanterna, un tempo sormontata da palla con croce.
Particolarità strutturale, rispetto alla tecnica realizzativa tradizionale delle cupole, è il fatto che quella di S.Teresa dei Maschi non è caratterizzata da una doppia calotta.
In corrispondenza di ciascuno degli otto spicchi che esse delimitano sono state realizzate, nel cilindro che costituisce il tamburo di impostazione della cupola, otto finestre, quattro secondo gli assi principali della chiesa, quelle che oggi sono ancora aperte e caratterizzate da timpani cuspidati, e quattro secondo gli assi inclinati a 45° sormontate da timpani arcuati (anche nella chiesa del Gesù del Vignola la cupola presenta un analoga scansione, con la differenza che i vani con i timpani cuspidati non sono finestre, ma nicchie contenenti statue).
All’esterno le otto finestre sono caratterizzate tutte da un timpano cuspidato.


Il rapporto tra il quadrato, geometria base della organizzazione di tale architettura, e il cerchio del tamburo e della cupola è di fondamentale importanza nella storia dell’architettura.
Così come il quadrato, nella sua forma assolutamente compiuta, è il simbolo della dimensione terrena dell’esistenza con i suoi quattro elementi (acqua, aria, terra e fuoco), il cerchio rappresenta l’infinità del Cielo e di Dio. In questo gioco di corrispondenze un ruolo intermedio è affidato all’ottagono (in questo caso rappresentato dalle lesene della cupola) che rappresenta il tramite attraverso cui dal regno della terra (il quadrato) è possibile conseguire l’infinità del Cielo e l’Immortalità.
Questo tema è assai ricorrente nell’architettura sacra di diverse culture, da quella cristiana a quella islamica o a quella cinese, nelle quali l’idea compositiva del passaggio dal quadrato della pianta al cerchio della cupola per mezzo della figura ottagonale ha prodotto innumerevoli capolavori (basti citare come esempio per tutti la Cupola della Roccia di Gerusalemme, punto d’incontro della cultura cristiana, ebraica e musulmana).



Con la cupola, la composizione centrale trova una sua espansione verso l’alto, consentendo alla chiesa di ritagliarsi un ruolo di preminenza all’interno dell’assetto urbano, fino al punto di divenire il quarto polo intorno al quale si organizza morfologicamente il borgo (si pensi, infatti, che in alcune zone di Piazza Mercantile risulta visibile solo la cupola e non l’alto profilo della torre campanaria della Cattedrale).
Si può ipotizzare che la rilevanza data dallo sconosciuto progettista agli elementi della cupola e dell’alto tamburo, siano da giustificarsi in relazione ad una lettura dell’opera fatta soprattutto su scala urbana.
E’ particolarmente interessante quanto sostiene C. Norberg-Schulz, nel testo Architettura Barocca, il quale parlando della chiesa del Gesù a Roma, prototipo della chiesa controriformista, disegnata dal Vignola, più di un secolo prima rispetto a S.Teresa dei Maschi, dice: “L’edificio diventa parte dello spazio esterno e partecipa come elemento attivo all’ambiente urbano; la cupola non è più simbolo di un’astratta armonia cosmica, ma il suo asse verticale forma piuttosto un contrasto espressivo e didattico col movimento orizzontale”.
La presenza della cupola all’interno del borgo conferisce, infatti, a questo complesso l’importante ruolo di elemento distributore delle direzioni, costituisce in altre parole un punto di riferimento spaziale che testimonia il particolare momento della storia sociale, religiosa e urbana di Bari all’inizio del XVII secolo, definito dalle imponenti installazioni degli ordini religiosi (anche i Gesuiti e i Carmelitani dell’Antica Osservanza avevano prediletto come loro sede le arterie più importanti di connessione dei fulcri del borgo antico).



Così come contemporaneamente in altre parti d’Italia, i Carmelitani Scalzi hanno scelto a Bari un suolo, sul quale erigere il convento e la chiesa, intimamente legato al rapporto con le famiglie aristocratiche più importanti. Il palazzo dei Gironda, infatti, prospetta lateralmente il sagrato della chiesa.
Molto importante, dunque, per il rapporto con le cortine dei palazzi adiacenti, è la grande facciata, che si suddivide in due ordini per mezzo di una trabeazione, fatta di tondi e triglifi (decorazione che è presente in scala più contenuta sui portali d’ingresso di alcuni palazzi nobiliari del borgo antico), interrotta e articolata dall’aggetto delle paraste rispetto al fronte.
La suddivisione del fronte in due ordini non è solo morfologica, ma anche cromatica.
Il portale di ingresso è sormontato da un timpano spezzato ed ai lati si aprono due nicchie laterali che contenevano, probabilmente così come è per altre chiese carmelitane, le statue del profeta Elia e di Eliseo. Nel cartiglio tra le branche del timpano che corona il portale si trova la seguente invocazione:

D.O.M. S.P.JOSEPH PROTECT ET M.THERESIAE FUND. ANNO SAL. MDCXCVI

Il secondo ordine è caratterizzato da un frontone di dimensioni più contenute, scandito da lesene, di cui le centrali binate con capitelli ionici, e concluso in alto da un cornicione aggettante sul quale si colloca un coronamento mistilineo.
Nel fronte si apre inoltre un grande finestrone, decorato da una balaustra il cui motivo è ripreso nelle parti laterali, sotto le volute, che sono gli elementi che raccordano i due piani della facciata, che si conclude in alto con un timpano sagomato (anch’esso ornato con grande enfasi). Sul lato destro di quest’ultimo appare un piccolo campanile ad altana con monofore sui quattro lati, che si conclude a piramide cuspidata.


Il valore architettonico di questo complesso è sempre stato riconosciuto, al punto di essere considerato da Concezio Petrucci l’edificio sacro più rilevante del borgo antico, dopo la Cattedrale e la Basilica di S.Nicola.
L’attenzione dell’architetto Petrucci, che agli inizi degli anni trenta realizzò il progetto del piano regolatore della città vecchia, costituisce un ulteriore conferma dell’importanza di questa chiesa. Nelle sue previsioni di piano erano ipotizzate demolizioni laterali che avrebbero dovuto allargare le piccole strade, portandole a sezioni addirittura triple rispetto a quelle esistenti. Sulla destra veniva poi preventivata la realizzazione di una piazza, che avrebbe dovuto permettere con un unico colpo d’occhio la visione totale dell’imponente facciata, a seguito della demolizione di tutta quella edilizia “minore” considerata, in quegli anni, elemento eterogeneo rispetto al monumento principale.
Fortunatamente quanto scritto non si è realizzato evitando così quello che, a mio avviso, sarebbe stato un autentico scempio che avrebbe fortemente compromesso i contenuti formali dell’intera opera.
Non si può pensare, infatti, che un monumento abbia un valore in sé che lo porti ad essere in ogni caso apprezzabile in qualsiasi luogo. Nel caso specifico di S.Teresa dei Maschi non si deve cioè ritenere che il suo significato e la sua bellezza siano decontestualizzabili da tutto ciò che da sempre ne ha costituito il contorno e il limite visivo.
L’operazione proposta dal Petrucci avrebbe finito col privare del fascino la sensazione di chi, provenendo da una delle vie che giungono sul sagrato della chiesa, si trova in una modesta piazzetta che sembra incapace di contenere la solennità della facciata.
Si tratta cioè dello stesso effetto scenico del quale è stata privata Piazza S.Pietro, dove a seguito degli sventramenti mussoliniani che hanno determinato la nascita di Via della Conciliazione. Il visitatore percepisce la monumentalità della facciata della Basilica e dello spazio antistante già a grande distanza, pregiudicando l’effetto di sorpresa di chi improvvisamente si sarebbe trovato nella piazza ellittica del Bernini.
Come dice l’Adorno “ Via della Conciliazione è uno dei risultati della retorica fascista: si volle dare grandezza a S.Pietro, distruggendo, con quello che veniva enfaticamente definito il piccone risanatore, lo stretto tessuto urbanistico della Roma medioevale e rinascimentale e costruendo, al suo posto un ampia strada d’accesso, e non ci si accorgeva che non basta la quantità metrica per dare solennità; si volle isolare il monumento per accrescere l’importanza, e non ci si accorgeva che ogni opera architettonica vive all’interno di tutto un complesso urbano con il quale è in rapporto strettissimo”.


Particolarmente interessante è poi una concisa ed efficace descrizione della chiesa fornita da Apollonj-Ghetti, il quale sostiene che S.Teresa dei Maschi “è un monumento cospicuo del tempo suo, e ciò malgrado l’aspetto barbarico che assumono qui forme consuete al più pacato Rinascimento. Sembra, infatti, che l’ignoto architetto abbia abbandonato la matita per l’ascia, e preso da subitaneo sconvolgimento, si sia dato a scolpire con strumento così rudimentale al sua fabbrica. Onde se anche ritrovi qui senza difficoltà tutta l’usuale morfologia architettonica e riconosci facilmente stilobate, paraste e trabeazioni, due volte sovrapposte, come le buone regole della sintassi descrivono e a conclusione della facciata hai il timpano, vedi poi che di fatto ogni membratura è disegnata e modellata con l’intento di ottenere effetti di chiaro-scuro selvaggi e drammatici, anche se non privi di una strana suggestione. Compostezza e quasi reminiscenza catalane se non fosse però per certe, chiamiamole così per intenderci, mensole ribaltate che stanno all’imposta dell’arco e sembrano due virgole giganti qui collocate ad interruzione di questo concitato discorso. L’anticonformismo dell’architetto si manifesta ancora allorché nei semitimpani pone, qui veramente fuori di ogni regola, sagome contorte col solo scopo, direi, di dar vita allo strano intarsio fatto di ombre e di luci; e per completare il gioco si colloca tra le stesse branche del timpano un’edicola traforata che, quando te ne vai per terrazze, vedi spiccare sul panorama della città vecchia e che sembri ti guardi da lungi come il mostruoso occhio spalancato di Polifemo”.


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