La chiesa è l'unico edificio rimasto di un complesso che comprendeva anche due chioschi e un monastero che furono edificati, secondo alcuni critici, sul luogo in cui sorgeva un Pantheon intitolato a "tutti i Numi", dedica che sarebbe poi stata mutata in "Ognissanti" dal fondatore del monastero, il benedettino Eustasio.
La data di fondazione del monastero si può far risalire al periodo in cui fu Arcivescovo di Bari Andrea II (1062-1078), infatti nonostante il primo documento relativo al monastero sia un falso diplomatico confezionato forse nel XIII secolo, esso dovette realmente essere esistito dato che se ne trova conferma negli archivi pontifici.
Si tratta di un diploma di esenzione dell'Arcivescovo Ursone databile intorno al 1080 nel quale si afferma che "Eustasius presbiter de loco Cuti laboravit a fundamentis ecclesiam in honore omnium sanctorum".
Conferma dell'esenzione da intromissioni negli affari del monastero da parte del potere vescovile si ripetono successivamente nel diploma dell'Arcivescovo Elia (1103) e nelle Bolle dei papi Pasquale II (1115) e Callisto II (1123), finché nel 1131 l'antipapa Anacleto II concede il monastero all'Arcivescovado diBari; poi nel 1217 l'Arcivescovo Onorio II ne concede la cura al monastero della Basilica di S. Nicola di Bari.
Ognissanti torna indipendente nel 1222 grazie ad un'istanza dell'imperatore Federico II, ma nel 1295 il Papa Bonifacio VIII lo annette alla Basilica di S. Nicola.
Si giunge così, nei primi anni del 1500, alla soppressione del monastero che verrà poi demolito nel 1737 ad opera dei frati Alcantarini e degli amministratori del Comune di Capurso allo scopo di procurare materiale per la costruzione del santuario della Madonna del Pozzo a Capurso.
La chiesa, risparmiata alla demolizione di cui fu fatto oggetto il monastero, appartiene al gruppo di edifici a cupole in asse, di cui rappresenta indubbiamente l'esemplare meglio conservato.
All'esterno si presenta come un parallelepipedo costruito in pietre calcaree da taglio finemente squadrate e disposte con l'interposizione di pochissima malta.
In facciata si ergono ancora i resti di un portico a tre fornici diseguali corrispondenti alle tre navate, di cui restano integri solo quello di destra, coperto con volta a botte, e l'attacco della volta del fornice centrale;quest'ultimo, se completato, avrebbe coperto l'oculo decorato al centro della facciata e pertanto si può affermare che detto oculo sia stato aperto dopo il crollo del porticato, avvenuto forse a seguito di un terremoto, o a seguito della rinuncia al completamento del progetto originario.
Sempre relativamente all'esonartece, va citato il fatto, abbastanza curioso, che nella Platea del 1645 la chiesa è rappresentata non con un unico portico sporgente, bensì dotata di due corpi quadrati aggettanti in corrispondenza delle navate laterali.
Sul lato sinistro è visibile un oculo che era in origine una vera e propria finestra, in seguito accecata, la quale avrebbe potuto costituire, secondo alcuni, l'accesso ad un campanile crollato o mai realizzato simile a quello della chiesa di S. Benedetto a Conversano.
I muri laterali sono molto compatti e dotati di finestre con arco a tutto sesto, una per campata, di cui solo quelle corrispondenti alla prima campata sono decorate con una certa raffinatezza.
Ingressi laterali con archivolto lunato si aprono su entrambi i lati in corrispondenza delle campate centrali e sul lato ovest nell'ultima campata. Al di sotto delle coperture a spiovente realizzate a file di "chiancarelle", i muri laterali sono decorati con una fascia a denti di sega.
La facciata posteriore mostra l'aggetto delle tre absidi semicircolari delle quali quella centrale, più alta e sporgente, è dotata di una finestra, mentre le altre sono sovrastate da due oculi; in alto tutte presentano una cornice a denti di sega sotto l'attaccatura delle coperture coniche a chiancarelle.
La copertura, che nelle navate laterali è a spiovente, nella navata centrale è data da tre tiburi uguali a base quadrata sovrastati da piramidi a chiancarelle; queste ultime sono il risultato di un restauro eseguito negli anni '60 in cui si è tenuto conto delle tracce rinvenute dallo Jonescu sotto le tre terrazze piane che allora coprivano la navata centrale.
I restauratori eleminarono anche il campaniletto nell'angolo destro della facciata perché ritenuto un'aggiunta tarda non prevista nel progetto originale dell'opera.
All'interno l'ambiente camminabile è suddiviso in nove campate, tre per navata, da pilastri cruciformi su cui gli archi longitudinali e trasversali scaricano il peso delle tre cupole semisferiche raccordate alla pianta quadrata mediante pennacchi e sprovviste di tamburo. Fungono invece da contrafforti le volte rampanti a semibotte checoprono le due navate laterali divise in campate da archi-diaframma a tutto sesto forati da oculi che si ripropongono corrispondenti sulle due facciate. Lo stesso motivo della navata centrale ritorna sui muri perimetrali interni grazie ad arcate cieche con archivolti lunati.
L'ambiente interno si conclude con le tre absidi semicircolari e con un presbiterio rialzato di due gradini rispetto al normale piano di calpestio; l'altare che è ora presente non è quello originale che è andato distrutto.
Le decorazioni scultoree sono decisamente scarse in rapporto alla grandezza dell'ambiente, coerentemente al senso dirigore e maestosità che il progettista volle dare alla struttura: l'imposta delle volte in corrispondenza dei pilastri cruciformi è segnata non da veri e propri capitelli, ma da cornici sporgenti costituite da una fascia a denti di sega o a dentelli sopra una modanatura a mensola; le decorazioni sono differenziate a seconda che la volta si imposti sui pilastri centrali o su quelli laterali.
Delle tre cupole, solo la prima presenta un'imposta decorata in maniera più raffinata e, difficilmente notabili, quattro piccole teste al vertice dei pennacchi.
Da sottolineare il fatto che le cornici si trovano una trentina di centimetri al di sopra dell'imposta vera e propria delle cupole in maniera da farle sembrare, per una correzione ottica, leggermente rialzate ; infatti se così non fosse, le cupole sembrerebbero ribassate, mentre in tal modo appaiono all'occhio dell'osservatore perfettamente emisferiche.
All'esterno una fascia a grani di rosario tra due fasce di dentelli orna il portale centrale della facciata, il rosone e la finestra absidale; le finestre delle campate centrale e absidale sono decorate con una sottile fascia a mosaico, mentre quella della prima campata con un torciglione.
La diversità di decorazione della prima campata rispetto alle altre può far pensare, come sostiene lo Jonescu, ad un'interruzione e poi ad una ripresa dei lavori.
L'origine di questo tipo di edificio è stata oggetto di discussioni che hanno portato a formulare diverse ipotesi: secondo lo Jonescu Ognissanti deriverebbe direttamente dalla chiesa di S. Benedetto a Conversano, mentre il Venditti sostiene esattamente il contrario; ma, come fa notare Pina Belli d'Elia, i due edifici sono così affini e sicuramente concepiti a breve distanza l'uno dall'altro che si può supporre l'esistenza di "precedenti dalle caratteristiche più sperimentali" comuni a entrambe le opere, "precedenti di cui non è possibile accertare o negare l'esistenza, data la scarsità di reperti dell'epoca pervenuti fino a noi".
Sempre la Belli d'Elia nega le supposizioni che indicherebbero tali precedenti nelle chiese della Francia sud-occidentale (Kroenig) o in quelle cipriote a cinque cupole (Sotiriou), avvalorando invece l'ipotesi del Venditti che considera questo tipo architettonico il "frutto di un'occidentaliz zazione di un tema bizantino". Un altro argomento di dibattito fra i critici è rappresentato dal problema della funzione delle volte rampanti associate alle cupole: questo abbinamento sarebbe una semplice "fantasia costruttiva" senza alcuna funzione statica per lo Jonescu; al contrario, per il Venditti, sarebbe estremamente funzionale in quanto consentirebbe la riduzione della sezione dei pilastri rinviando le spinte laterali delle cupole su tutta la parete fra un pilastro e l'altro; concordemente, il Berucci ne sostiene la praticità dal punto di vista strutturale aggiungendo che questo tipo di impostazione avrebbe sicuramente richiesto una grande sapienza costruttiva da parte delle maestranze, ma non un calcolo matematico. Concludiamo citando la tesi della Belli d'Elia che associa alla funzione statica delle semibotti, quella di "indispensabili raccordi fra i tre organismi monocellulari".