architetto, incisore e trattatista italiano (Mogliano di Mestre 1720-Roma 1778). Tra il 1730 e il 1740 fu avviato allo studio dell'architettura e della scenografia dallo zio M. Lucchesi e dall'incisore C. Zucchi a Venezia; integrò in seguito la lezione del classicismo neopalladiano, componente vitale della cultura veneziana settecentesca, con le estreme soluzioni barocche elaborate dalla scuola degli scenografi bolognesi Bibiena e dei Valeriani. Il trasferimento a Roma nel 1740 segnò una tappa capitale per la maturazione della cultura e del linguaggio piranesiano, tra i più alti e originali del Settecento e tra i più espressivi dei fermenti del secolo. Se infatti la tradizione pittorica veneziana dal Guardi al Ricci, dal vedutismo di Canaletto allo stesso Tiepolo (di cui forse frequentò lo studio nel 1743 durante un breve ritorno a Venezia) costituisce la base dell'impostazione “pittorica” dell'incisione piranesiana, caratterizzata da una sensibilissima intuizione dei rapporti ombra-luce sia nella drammaticità dei contrasti sia negli sfumati più delicati, soltanto a Roma egli scoprì la sua vena più sincera nel ritrarre il volto della città grandioso e decadente, e perfezionò la sua tecnica incisoria sotto la guida del Vasi e del Polanzani; l'indagine archeologica e architettonica di P. approdò in Roma a risultati di altissima poesia e creatività fantastica. Dalla duplice matrice culturale, veneziana e romana, scaturisce la complessa fisionomia artistica di P. nelle sue tre componenti fondamentali: quella di erede ultimo del rococò per la qualità del segno, sfatto ed evocatore; quella di artista neoclassico che del neoclassicismo condivide l'interesse archeologico e l'impegno metodico e teorico, pur opponendosi all'ortodossia neoclassica là dove afferma la superiorità dell'architettura romana su quella greca (Trattato della magnificenza ed architettura dei Romani, 1761); e infine quella di precursore del romanticismo per l'immagine particolare dell'architettura antica che trasmette nelle sue tavole, cogliendone con inquieta sensibilità la struttura monumentale. Se i Capricci e i primi studi di carceri esprimono un'ancor sostanziale adesione alla cultura veneta, i frutti del soggiorno romano e del suo accostarsi, oltre a Canaletto, al Pannini e a Gaspar Van Wittel, si leggono nelle Antichità Romane della Repubblica e nelle prime tavole delle Vedute di Roma (1748), opera che condusse innanzi per tre decenni; la vastissima attività incisoria continua con le Antichità Romane (1756), summa d'erudizione archeologica e altissima manifestazione d'arte per l'infinita ricchezza dei valori tonali nell'incisione, e con le Carceri d'Invenzione (1760-61), ciclo di architetture di fantasia in cui sapienza prospettica e suggestione luministica descrivono spazi interni frantumati e vastissimi, risonanti di suggestive presenze. Concludono l'attività di P. le Vedute di Pesto (1778) nelle quali il segno, dimenticati i passati drammatici arrovellamenti, si distende a ricreare spazi di più sereno respiro. Dell'attività più propriamente architettonica di P. poco rimane: i lavori di ristrutturazione in S. Maria del Priorato (1764-67) e la sistemazione dell'attigua piazza dei Cavalieri di Malta. Della decorazione interna del Caffè degli Inglesi (distrutto) restano le tavole incise che testimoniano dell'adozione del repertorio decorativo egizio: P. decoratore affrontò con cultura altissima i più vari linguaggi stilistici moderni e antichi nelle tavole delle Diverse maniere d'adornare i camini (1769) e dei Vasi, Candelieri, Cippi, Sarcophagi (1768-78). Di una probabile attività di P. pittore vedutista non resta traccia positiva sebbene proliferino ipotesi e attribuzioni.
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