L'impiego più radicale del vetro nelle case ha inizio negli anni Quaranta dello scorso secolo, quando per primo Mies van der Rohe costruisce la Casa Farnsworth. Un'ampia vetrata, sorretta da sottili angolari in acciaio, garantisce la continuità pressoché totale tra l'interno minimale e il magnifico paesaggio circostante.
In seguito a questa prima sperimentazione si succederanno nel tempo altri progetti come la Glass House di P. Johnson
nel riquadro o la casa di C. Eames a Parigi: tuttavia questi esempi rimangono episodi che non riescono a generare nel campo dell'architettura per abitare una diffusione del vetro.
È necessario attendere gli anni Settanta, quando, a seguito delle crisi petrolifere, il problema energetico divenne per la prima volta un argomento all'ordine del giorno. Il vetro viene sottoposto a numerose critiche come materiale da costruzione e anche la più piccola finestra viene considerata una perdita di energia. L'abuso delle grandi vetrate dell'epoca, ancora acerbe di tecnologia e indifferentemente orientate, provoca enormi perdite di calore d'inverno ed eccessivi surriscaldamenti d'estate, lasciando strada a costosi impianti di condizionamento per riscaldare e raffrescare gli ambienti, di cui ancor oggi risentiamo gli effetti negativi sull'ambiente. Non volendo tuttavia rinunciare alle caratteristiche architettoniche del vetro, si rivelò necessario rivedere il rapporto tra il materiale e l'architettura, rapporto che ancor oggi contraddistingue l'utilizzo del vetro.
Con l'avvento del fotovoltaico, un principio molto semplice per il quale l'irraggiamento solare che attraversa il vetro viene assorbito dai corpi illuminati, i quali a loro volta emettono radiazioni termiche di diversa lunghezza d'onda che vengono riflesse dalla lastra di vetro, riscaldando la stanza, nasce quindi l'idea di sfruttare il vetro non solo come materia, ma come accumulatore di energia solare.
Chissà, quindi, se in un futuro prossimo vivremo in grandi città di vetro.