LA FONDAZIONE DELLA CHIESA


Nella diocesi di Castellaneta, sorta nel 1099, come suffraganea di quella di Taranto, già dalla prima metà del XV secolo si era diffuso il culto di San Francesco d’Assisi
al quale i Castellanetani avevano dedicato una cappellina, meta di pellegrinaggio per molti fedeli. Costruita nel basso Medioevo, rappresenta la prima fondazione francescana della
diocesi con la sua architettura essenziale, che rispecchia l’ideale della povertà minoritica.
Rimane ancora incerta la data precisa della costruzione della nuova chiesa, ma dalle fonti disponibili si desume che nel 1463 il sacro edificio era stato completato.
Anche a Castellaneta, dopo le trasformazioni operate dalla Serafica Riforma, risultano reperibili con difficoltà gli elementi della primitiva chiesa quattrocentesca.
Dalle informazioni trasmesse da p. da Lama in "Cronica dè Minori Osservanti riformati della Provincia di San Nicolò" è però possibile cogliere alcune linee della costruzione originaria.
La pianta originaria era costituita da un rettangolo di forma basilicale, senza transetto e con due navate laterali simmetriche. In fondo l’abside e il presbiterio; dietro l’altare,
per la preghiera dei frati, era stato ricavato un piccolo coro, attualmente utilizzato come sagrestia.
In origine la chiesa di San Francesco era strutturata in stile tardo-romanico.
Possedeva, secondo p. da Lama, la sala centrale con copertura in legno, più alta di quelle laterali, che avevano volte in pietra ed erano aperte verso il rettangolo principale
attraverso sei archi a tutto sesto.
Attualmente l’ala di destra, che fiancheggia il convento, risulta più stretta e più bassa e ciò induce a dedurre che, durante la costruzione del convento, sia stata abbattuta e
ricostruita per permettere, al piano terra, la sistemazione di uno dei portici del chiostro e, in quello superiore, le cellette dei frati.
Nel vano di sinistra della chiesa rimangono, invece, le primitive coperture a campate a crociera, ornate da serafini, che aggettano dagli spigoli e da boccioli pendenti dalle chiavi di volta.
Ai lati del presbiterio si trovavano due lunghe finestre, di stile romanico, in seguito murate, ma di cui sono ancora visibili i segni.
Solo il prospetto esterno non ha subito grandi ritocchi dal punto di vista architettonico, infatti il portale, incorniciato da una modanatura lunettata, ed il finestrone centrale appartengono
alla primitiva costruzione.
All’interno della chiesa, i due vani costruiti ai lati dell’attuale presbiterio, risultano architettonicamente diversi dalle navate laterali, perciò sono da considerare posteriori.
L’abside fu ristrutturato per ricavarne due cori, uno inferiore ed uno superiore o "di notte", aperto agli ambienti conventuali e comunicante con la chiesa, mediante grate poste dietro i busti
reliquiari dell’altare maggiore.
Attraverso i secoli il tempio è stato sottoposto a trasformazioni radicali.
Nel XVII secolo p. Onofrio da Castellaneta, superiore del convento (1696-1699), secondo il cronista p. da Lama "si diede tutto a far più bella la chiesa col monastero". In concreto, fece rifare
in pietra la volta della navata centrale, fece chiudere parecchie sepolture di cui la chiesa era piena "per il gran concorso della plebe che cerca qui seppellirsi" e fece rinnovare il pavimento.
Contemporaneamente fu realizzato l’attuale altare maggiore.
Prima che il vano principale venisse ricoperto di affreschi dai padri riformati (1708), vennero aperti i finestroni laterali e fu sistemato l’organo.
Durante il Concilio di Trento (1545-1563) la Chiesa aveva elaborato delle direttive che assegnavano alle immagini sacre una funzione educativa. Essa si concretizzò attraverso la realizzazione
di un vasto patrimonio figurativo con cui la Chiesa stimolò particolari devozioni confluite nella religiosità popolare.
L’esigenza del rispetto delle direttive conciliari incentivò la formazione di artisti adeguatamente preparati per la creazione di immagini sacre degne di venerazione, conformi alle sacre
scritture e aderenti al decoro richiesto dalla sobrietà francescana. Sorsero così, nei conventi, botteghe attrezzate dei sussidi necessari per realizzare opere d’arte.
Fu acquisita una vasta gamma di specializzazioni e le nozioni relative all’esecuzione delle diverse tecniche venivano tramandate da un frate all’altro. Quasi tutte le opere realizzate da
questi monaci-artisti si caratterizzano per l’uso di materie prime comunissime (soprattutto legno) e per le linee sobrie.

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