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CENNI STORICI SU SANTERAMO
I ritrovamenti neolitici a “Curtelupiscke” sotto la gravinella e a monte di Padula Rosa, ed i reperti più diffusi a “Grottanova”, dimostrano chiaramente che i pastori dell’età della pietra avevano trovato qui l’ambiente adatto per insediarsi, tanto più che “Serra d’Alta” e “Murgia Timone”, poste vicino a Matera, erano collegate con le località di Santeramo a mezzo di un sistema organico di strade comode ed efficienti, il che rendeva ovviamente più facili tutte le comunicazioni, gli scambi ed in genere la vita.
Tale sistema di strade però, mentre servì egregiamente a facilitare il ritmo normale di vita di questi primi abitanti, per le stesse ragioni di comodità ed efficienza espose l’agro della “Matine”, a seri pericoli.
Le milizie italiche, tarantine e cartaginesi, infatti, che scorrazzavano sulle nostre terre in lungo e in largo, nelle alterne vicende di vittorie e sconfitte pro e contro Roma, trovarono comodo accesso all’una e all’altra città attraverso queste magnifiche strade che le allacciavano in maniera così perfetta.
Così, quando le lotte con Roma si conclusero, nel 185 a.C., con la vittoria dei Romani contro i pastori ribelli, alcuni di questi furono tradotti in schiavitù ed altri si salvarono con la fuga nei boschi delle “Murge” nelle vicinanze dei corsi d’acqua. Questo spiega il ritrovamento veramente straordinario e suggestivo, proprio nel centro abitato, di un lago, che i pastori scelsero come loro rifugio. Questo lago, prosciugato nel 1856, fu destinato nel 1926 a Villa comunale. Qui si sviluppò dunque il primo nucleo di abitanti, nella zona tra le attuali via Foscolo, corso Italia e via S.Antonio.
Gli stesi pastori sfuggiti ai Romani e i loro antenati si fermarono in grotte, un po’ qua un po’ là, secondo un sistema diffuso in tutto l’arco ionico.
Così nelle grotte nei pressi di Santeramo vissero eremiti fino ad epoca recente (Francesco Masella da Gaeta eremita morto nel 1719) e dettero l’avvio a quel nucleo di monaci di notevole consistenza, che costituì il monastero dei Benedettini. Essi chiamarono il loro monastero col nome di S.Erasmo, perché il culto di questo santo era molto diffuso nel mezzogiorno d’Italia.
L’esistenza di questo monastero ed i conseguenti rapporti che gli abati ebbero con le autorità ecclesiastiche e civili consentono oggi di accertare l’esistenza di un casale (centro abitato legato ad un comune più importante) attorno al monastero stesso con i fedeli, le pertinenze, il cimitero, le regalie e le decime, il tutto dipendente da Acquaviva. Un documento del 1193 prova inoltre che non solo vi erano cappelle entro questo casale, ma anche un’altra chiesa : quella di S.Effremo.
Il piccolo centro diventò autonomo, e non più legato ad Acquaviva, grazie alla regina Giovanna I, almeno da quanto si rileva in un documento del 1374 ove parlando di questa circoscrizione si legge : “terra seu castri s.Herasmi” (che da una libera interpretazione significa : la terra ossia l’accampamento di S.Erasmo). L’indicazione di “castrum” (accampamento) viene ripetuta anche da re Ladislao in un documento del 1406 ed in quello di vendita effettuato nel 1410, a favore di Buccio dei Tolomei di Siena. Anzi nell’atto di vendita si precisa che il “castrum S.Herasmi” è vicino al territorio di Acquaviva, di Gioia e di Matera. Fu proprio questa vendita a determinare la destinazione del paese a feudo nobile (feudo nobile, con titolo di baronia, era quello in cui il feudatario veniva nobilitato con la concessione della giurisdizione civile e criminale e la potestà sui vassalli) con la imposizione di un contributo annuo in denaro e del vassallaggio, anche se la “Universitas”, cioè il comune, venne riconosciuto ufficialmente come baronale.
La terra di S.Erasmo divento feudo con tutti gli annessi e connessi e tale sua posizione fu così determinante per lo sviluppo del paese che non si può fare a meno di parlare dei suoi feudatari.
Il primo “utile possessore” dei beni feudali fu Buccio o Puccio Tolomei di Siena che, come abbiamo visto poco innanzi, ne divenne padrone attrverso l’atto di vendita stipulato il 1410 da Re Ladislao ; la famiglia Tolomei era inoltre padrona del feudo di Grumo. Naturalmente con normale successione, il feudo passò dal padre Buccio al figlio Salvatore Tolomei, questi sposò Maria del Balzo, dalla quale ebbe tra gli altri figli Aurelia Tolomei, che sposò Fabrizio Carafa, ultimo dei figli di Francesco, conte di Ruvo, così il feudo passò nelle mani dei Carafa nell’anno 1468.
Sempre come utili possessori si susseguirono poi Giacomo Carafa, figlio di Fabrizio, nel 1479 ; e nel 1546 Gian Tommaso Carafa, nipote di Giacomo, che ottenne il titolo di marchese. A questi successe il figlio Ottavio Carafa nel 1556. Alla sua morte avvenuta nel 1583, il feudo fu goduto dalla figlia postuma Isabella Carafa, avuta da Camilla Carafa dei duchi di Nocera, ma quando questa morì nel marzo 1585 il feudo passò nelle mani della sorella di Ottavio, Porzia Carafa, già sposata con Giambattista Caracciolo. Così il feudo prima appartenuto ai Tolomei, passò ai conti Carafa, divenuti poi marchesi ed infine ai Caracciolo.
Quando nel 1618 morì Porzia Carafa Caracciolo il feudo passò al figlio di le, Marino Caracciolo, questi sposò Andreana Pignatelli da cui ebbe una figlia Porzia che sposò Francesco Caracciolo ed a loro volta ebbero un figlio Giambattista. Per cui quando Marino morì nel 1639 gli successe come utile possessore Giambattista Caracciolo mentre governatrice ed amministratrice del feudo fu nominatala stessa Andreana Pignatelli. Giambattista Caracciolo fu quindi figlio di due Caracciolo, Francesco e Porzia ; egli sposò Vittoria Cavaniglia e nel 1663 nacque Marino Caracciolo. Quest’ultimo sposò Sancia di Aragona di Cassano ed ebbe il figlio Pasquale Diodato Caracciolo che a sua volta si coniugò nel 1725 con Giustiniana Pignatelli ed ebbero Anton Francesco Caracciolo. Questi, succeduto al padre nel 1784, fu l’ultimo feudatario di Santeramo, infatti nel 1806 Giuseppe Bonaparte dispose la cessazione della feudalità nel Regno di Napoli.
SOMMARIA STORIA DELL’URBANISTICA DI SANTERAMO
Fu Ottavio Carafa, marchese di S. Erasmo , a dare l’avvio all’ampliamento del paese.
Il borgo era contenuto nella piccola zona che oggi può essere circoscritta fra via Chiancone, via S. Eligio, via Iapigia, giardino Giandomenico, via S. Antonio, via S. Tommaso d’Aquino. Era munito di fossato (che doveva essere la zona antistante il palazzo marchesale ed innanzi la porta centrale), di porte (una era quasi al lato del palazzo marchesale ed un’altra era vicino al lago - attuale villa comunale ), di mura ( queste circondavano il paese ) e di torri.
L’ultimo pezzo di muro che divideva via Carmine da via Palombaio e via Estramurale fu abbattuto nel 1886. L’ultima torre si trova ancora nel palazzo Colonna.
Tra le mura si svolgeva la vita del paese, con la macelleria, nell’attuale Largo Piazzolla, la casa con l’orologio, nella stessa piazza, il forno, i molini della Casa marchesale, le carceri, le chiese di S. Erasmo e di S. Eligio e le cappelle di S. Maria e di S. Caterina.
Ottavio Carafa costruì anche i castello, l’attuale palazzo marchesale nel 1576, come si può leggere sulla fascia marcapiano della facciata principale. Il castello conservò il suo aspetto imponente di autentica abitazione marchesale fino al 1826, quando furono aperte le cinque porte che ora si affacciano su piazza Garibaldi.
La costruzione del castello richiamò altra gente oltre a quella giunta al seguito dei Carafa e fu necessario costruire altre case ed altre chiese e così il paese si espanse sempre più.
Un’analisi del processo di urbanizzazione di Santeramo richiederebbe delle ricerche, molto approfondite, in quegli archivi storici di cui si è già parlato, ma ciò, anche essendo molto attinente al tema, non è possibile per dare dei limiti di tempo e di temi trattati alla ricerca.
Continuiamo ad esaminare quel poco che ci dicono alcuni autori locali.
All’iniziale borgo cintato di mura localizzato attorno all’attuale chiesa del Carmine (ex chiesa di S. Erasmo) di cui si hanno le prime notizie nel 1200 circa, si aggiunsero nel corso dei secoli le costruzioni verso la chiesa del Purgatorio e verso via S. Antonio e più tardi ancora verso la chiesa di S. Giuseppe.
Con la costruzione del monastero dei Padri Riformati a sud-ovest e della nuova chiesa Matrice verso sud-est il paese si sviluppò entro queste due direzioni.
Solo nell’ottocento furono iniziate le costruzioni verso corso Tripoli, mentre quelle su corso Italia, parallela a nord di corso Tripoli, si svilupparono nel ‘900.
La costruzione del borgo risale al 1500, come risulta da numerosissimi atti notarili, e comprendeva tutta la zona a sud di via S. Antonio.
L’urbanizzazione continuò a svilupparsi a macchia d’olio anche verso sud-est attorno alla chiesa di S. Maria della Lama (su cui fu poi costruita la chiese Matrice 1711-29) dove si estese notevolmente il paese, ma ancora più si espanse vicino alla cappella di S. Rocco del 1675 (poi chiesa del Crocifisso) ; la zona si arricchì di abitazioni perché Ottavio Carafa donò alle donzelle povere, a titolo di maritaggio, parte dei suoli, altri li destinò a suolo edificatorio.
Nel 1600 l’edilizia si dimostrò tanto redditizia che la marchesa Andreana Pignatelli, vedova di Marino Caracciolo e governatrice di Santeramo, si dette alla speculazione vendendo case già costruite nel vecchio borgo per comprare altri suoli su cui edificare, vicino alla chiesa di S Rocco.
Santeramo quindi fino alla fine del ‘500 era ben rinsaldata entro le mura dell’antico borgo, ciò in linea di massima continuò anche nel ‘600, momento in cui già si incominciava a pensare d’edificare fuori dalle mura. Il vero boom edilizio storico si ebbe a fine del ‘600 inizio ‘700, quando con la costruzione dei due importanti edifici religiosi di cui sopra (la chiesa matrice e il convento), si delineo in maniera univoca il tracciato di corso Roma ed il paese si espanse lungo detta strada fino al convento, soprattutto dalla parte sinistra, quella verso corso Tripoli, che si può definire una vera e propria estramurale ottocentesca del paese. Infatti, nell’800 a Santeramo si continua a riempire le zone tra il centro storico e detta strada perimetrale.
C’è da dire, a proposito dell’edilizia per abitazione presente nel paese, che solo quella di corso Roma si può dire totalmente ottocentesca o addirittura precedente, poiché corso Tripoli non fu definito completamente da abitazioni nell’ottocento, e solo nella prima metà del novecento si ebbe una esauriente chirezza del tracciato stradale mediante due ali di costruzioni. Nel ‘900 si continuò l’espansione del paese, nei vuoti rimasti su corso Tripoli ma anche verso corso Italia, che risulta la naturale chiusura della prima e ancora unica circonvallazione ; quindi quasi si volle circondare (più che naturalmente) il vecchio borgo di tutte le epoche e stili architettonici.
A questo punto è quasi scontato un cenno alla via storica.
Corso Roma è il corso principale di Santeramo, infatti è quello delimitato dagli edifici più antichi e prestigiosi, soprattutto ottocenteschi (in una ipotetica delimitazione temporale degli edifici che si affacciano sulle tre vie più importanti dell’abitato santermano, corso Roma è dell’ottocento, corso Tripoli è della prima metà del novecento e corso Italia della seconda metà).
Questa importante strada, appunto per la sua vetustà, è abbastanza stretta con larghezze che vanno dai 5 agli 8 metri in alcuni punti e con edifici che in alcuni casi arrivano a lasciare uno strettissimo marciapiede.
Il “Corso”, così è solito chiamarlo un santermano, planimetricamente presenta una sola curva, in corrispondenza di piazza Garibaldi, per i restanti tratti si presenta rettilineo, con un primo spezzone di circa 160m che congiunge la villa comunale a piazza Garibaldi, ed un secondo di circa 480m unente la stesa piazza con la chiesa del Crocifisso, passando per piazza municipio. Quindi corso Roma, con un percorso di circa 650m interamente in salita, congiunge la villa comunale con piazza Garibaldi, ancora con Piazza municipio fino a portarsi in largo convento in corrispondenza della scalinata del sacrato della chiesa del Crocifisso.
Nel suo primo tratto, dalla villa comunale a piazza Garibaldi, tale via ha assunto il nome di via Francesco Netti ; comunque considereremo, per facilità, tutto il percorso con un unico nome, trascurando il primo tratto.
Come già visto detta via collega tre piazze, la villa comunale, piazza Garibaldi e piazza municipio, molto importanti per la vita sociale della cittadinanza ; inoltre corso Roma termina in largo Convento, slargo utile più al traffico automobilistico che ad altri, ma che ha annessa una piccola villetta.
Descriviamo ora per, quanto possibile dalle poche notizie storiche, le tre principali piazze.
La prima è la villa comunale che solo nel 1926 è stata adibita a tale funzione ricreativa, prima di ciò era il compluvio delle acque di scolo di tutto il paese, infatti proprio dove ora è allocata la villa, prima del 1856 quando fu prosciugato, vi era un lago di acqua stagnante, attorno al quale si radunò la prima comunità santermana, qualche autore dice addirittura ai tempi dei romani.
Attualmente quindi c’è una villa di forma rettangolare che misura approssimativamente 90x60m circa, è aperta su tutti i lati senza alcuna recinzione, all’interno nella migliore tradizione italiana sono ricavati dei percorsi mediante delle aiuole, dove poi sono stati piantati vari tipi di alberi.
La seconda è piazza Garibaldi la piazza storica di Santeramo, quella del ritrovo sociale. In essa vi sono contrapposti il potere religioso e quello politico, rappresentati dalla chiesa matrice e dal palazzo marchesale, anche se in quest’ultimo non si svolgono attività di potere da ormai due secoli, ultimamente si è aggiunto il potere economico, quasi a voler completare il trittico dei poteri, da quando la CRAS ha acquistato palazzo Disanto e ne ha fatto la sua sede.
Ritornando all’architettura della piazza è difficile dare una datazione precisa della sua costruzione, in quanto non mi è stato possibile trovare documentazione storica, ma in alcune foto di inizio secolo la sistemazione è già presente e comunque non può essere anteriore al 1730, anno in cui fu completato il secondo lato della piazza ovvero la chiesa matrice (il palazzo marchesale è del 1576, quindi antecedente la costruzione della chiesa).
La terza è piazza municipio, la piazza del ritrovo politico, forse proprio per questo è stata oggetto, dalla sua nascita a fine ottocento , di tante attenzioni e trasformazioni, testimoniate da foto e dipinti storici.
Per meglio capire le sue trasformazioni di questo secolo riproponiamo la relazione tecnica dell’architetto Giovanni Paradiso, progettista dell’ultima delle trasformazioni che piazza municipio ha subito nel tempo, questa si trova pubblicata sul periodico santermano “partecipare” n°221 del dicembre 1994.
La piazza municipio, non a caso, è il luogo di massima preferenza di una città. Il popolo sovrano è il suo padrone.
Nel caso specifico, la presenza della fontana ornamentale testimonia quanto il problema fosse sentito all’atto della creazione di questo spazio urbano. Da documenti attendibili, purtroppo non fotografici, risulta che tale spazio sia stato in passato, per un certo tempo dotato di marciapiedi e racchiuso da recinzione metallica, a precludere la presenza di mezzi ed attività poco consone alla dignità del sito. Scomparsi la recinzione e gli zampilli della fontana, per scarsa manutenzione dell’impianto, il bordo della vasca servì da sedile nei giorni di calura ed il suo interno, nell’acqua residua, porto le tracce dell’uomo poco attento alle cose di tutti, e certi eventi politici, è noto, hanno lasciato in qualche dissidente ricordi bagnati di sapore goliardico.
Anni addietro ad evitare l’uso improprio della vasca della fontana, ripristinata nella sua funzione ed efficacia, l’Amministrazione dell’epoca, provvide ad installare al suo intorno una discutibile se pur efficace corona di verde protettivo. Attualmente scomparso il marciapiedi originario, la sosta delle automobili ed il permanere di attività commerciali varie, danno della piazza un quadro diverso da quello dipinto, all’inizio del secolo, da un pittore locale.
Nell’intento dell’attuale Amministrazione comunale, di dar corso alla sistemazione ed all’arredo urbano della piazza, si intravede un desiderio di civiltà e decoro da condividere ed assecondare con impegno responsabile.
Primaria la valutazione del traffico e della sosta degli autoveicoli che, se pur necessari, non devono condizionare la vivibilità dell’ambiente : essi vanno ricondotti nel giusto ambito.
Non da meno è il diritto del cittadino pedone, di usare al massimo uno spazio pubblico ch3 lo gratifichi e gli dia conoscenza della nobiltà del “locus”. Da ultimo la presa d’atto della situazione orografica del posto è stata assunta come nota guida all’intervento urbanistico.
Alla luce di quanto detto, il progetto prevede un intervento che, salvaguardando l’esistente conserva l’andamento attuale della viabilità e non crea turbativa alla sosta dei veicoli sistemati marginalmente alla piazza pedonalizzata e ridotata dell’originale marciapiedi.
Allo scopo di valorizzare lo spazio intorno alla fontana, al centro della piazza, è stato previsto un piano rilevato con scalinata monumentale di raccordo e cornice al contesto: tale spazio accoglie la sosta con l’adozione di muri-seduta al margine di aiuole verdi.
La larghezza dell’attuale marciapiedi adiacente allo spazio antistante al palazzo municipale dà la possibilità di insediare un filare di alberi sempreverdi con sottostanti panchine.
Particolare cura si è rivolta nella scelta del tipo di pavimentazione e del suo disegno di posa adottando, in mancanza di pietra locale adatta, quella di Minervino Murge, dura, compatta e non geliva.
Inoltre al fine di ottenere un aspetto di continuità fra le parti adiacenti, si è ritenuto di intervenire parzialmente su alcuni marciapiedi ripavimentandoli e bocciardandone i cordoli esistenti integri con la sola sostituzione delle parti deteriorate.
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