Dopo un
altro periodo di traversie e fatti bellici, Matera trascorse anni di
discutibile serenità, in particolar modo quando il principe Giovannantonio
Orsino Del Balzo, primo signore del regno, fu mandato dalla regina Giovanna
contro i ribelli di casa Sanseverino che, avendo perduto gran parte dei loro
possedimenti in Basilicata ed in Puglia, cercavano di rialzarsi e tornare
all’antico splendore. A Giovannantonio toccò il principato di Taranto
tornato in possesso della Contea di Matera, che elesse a sua principale
residenza, subito prese due iniziative. Si disfece delle strutture di
Castelvecchio, perché non più idoneo ai nuovi mezzi di offesa per la
scoperta della polvere pirica ed inoltre perché il vecchio maniero
accerchiato da abitazioni non aveva più la libertà di azione del passato.
Inoltre avendo in programma la costruzione di nuove difese nella parte
centrale della città, aveva necessità di disporre subito di ingenti somme.
Cedette così gran parte delle pertinenze di Castelvecchio e le otto torri
della cortina esterna. Questo
programma coincideva con alcune esigenze della cittadinanza. Si era
riscontrata nel ceto medio ed artigiano un particolare bisogno di nuovi
alloggi, mentre la classe nobile, “saliva in ricchezza e potenza e
s’ingentiliva”, per conseguenza, si avvertiva una certa evoluzione, con la
richiesta di nuove case: furono questi i motivi che intorno al 1440
indussero alcuni cittadini a rivolgersi al principe Ursino
per ottenere pertinenze di Castelvecchio, ormai abbandonato, unico suolo
edificatorio esistente nell’ambito della cerchia muraria. Il Principe
accolse la petizione di buon grado, non con decisione scritta ma verbale. Fu
un immediato accorrere di materni e forestieri, che occuparono ambienti,
atri e giardini e nel contempo si diedero a costruire con grande ingegno.Ma
c’era di poco da fidarsi, continua il Morelli, “di una concessione puramente
verbale. Occorreva un documento tale che, a evitare eventuali contestazioni, valesse in
avvenire a tutti gli effetti di legge”. Fu richiesto al Principe il quale
con decreto del 1448 confermava e ratificava la concessione orale, dicendosi
desideroso di provvedere alla “Bellezza e ampliamento della città e al
decoro e comodità dei cittadini”. Espressioni che confermano in pieno il
giudizio riferito dal Duca di Monteleone riferiti al Principe: “Signore
giusto e benigno…estremamente amato dai suoi vassalli”.Di certo si sa che
delle otto torri della cerchia muraria esterna che la tradizione orale
ricordava essere otto, furono vendute a famiglie benestanti della città che
fruirono anche del materiale edilizio risultato dalla demolizione delle
vecchie strutture murarie. Fra queste va inserita la famiglia Santoro di
Matera.Il documento più antico in cui la famiglia Santoro è citata , risale
all’8 ottobre del1198 che così recita :” Eustatius filius quondam Sanctori [
sposa]filiam quondam Roberti del Bartinico “ .Nel 1228, Rainaldo, fratello
del suddetto Eustachio, divenne barone di Cancellara, Castelnuovo e Casale
di S. Maria di Giambove.Lo storico materano Gattini cita poi altri atti nei
quali, dopo una lacuna di circa un secolo e mezzo, si leggono i nomi di
altri componenti della famiglia; nel 1402 in un atto del notaio Tuccio de
Rahone è citato Stefano di Giovanni de Santoro;nel 1432 in un atto del
notaio Giovannuzzo de Berardo si legge il nome di Nicola Giovanni di Santoro.Nel
1476 risulta sindaco di Matera Toto Santoro, dal quale nacquero Pietro e
Lorenzo, dei quali quest’ultimo sposò Caterina de Angelis, da cui ebbe
quattro figli: Vincenza che sposò un Del Duce; Laura che sposò Alfonso
Mantoia; Giustina coniugata con Leonardo d’Aurilia ed infine Agostino che
divenne sacerdote. Dell’altro figlio di Toto Santoro, ovvero di Pietro
Santoro si è a conoscenza solo di un atto notarile datato 6 novembre 1519 e
redatto dal notaio Paolicelli, nel quale compaiono come contraenti, la
moglie di Pietro Santoro, la nobil donna Donatella, ed il “maestro
fabbricatore” Rainaldo Spata da Francavilla, i quali pattuirono la
costruzione di una cappella sepolcrale, nella chiesa maggiore, in prossimità
del sepolcro di Antonio (probabilmente Toto) Santoro, strutturata con archi
e decorata con cherubini e stemmi. Sempre di Pietro Santoro, si sa che ebbe
un unico figlio, Bernardino, regio avvocato fiscale, sepolto nella suddetta
cappella, ed a sua volta ricordato in un epitaffio sito nella cappella del
sacramento ubicata anch’essa nella Cattedrale di Matera. Secondo notizie
rinvenute dagli archivi privati della nobile famiglia Gattini, delle
decorazioni del sopracitato sepolcro, nulla rimane e l’epitaffio, dedicato
all’illustre avvocato Bernardino, risulta oggi murato dietro l’altare della
cappella del sacramento, sul quale si leggeva: “Berardinus Santoro viro
claro / divini umanique Iuris consultissimo / ac regi Fisci patrono
fidelissimo / liberi perpetuo eius desiderio superstites / ex testamento
posuere ,1524”.Bernardino Santoro, a sua volta ebbe un figlio che chiamò
Pietrantonio e da cui nacque Fabrizio. Da Fabrizio discesero Giovanni
Battista, che morì senza eredi, e Silvio che invece ebbe due figlie, evento
che segnò l’estinzione dell’originario ceppo nobile dei Santoro.Il ceppo
principale della famiglia nobile dei Santoro, quindi, sul finire del 1500,
si estinse ed a questa subentrò un ramo proveniente da Tricarico che però
viveva a Grassano (due paesi in provincia di Matera), dove i componenti
della famiglia svolgevano l’attività sanitaria.A questo secondo casato
apparteneva Giovan Antonio Santoro, che esercitava la professione di medico
a Grassano e che ebbe due figli, uno dei quali, lo storico Copeti chiama
“Mastro Santoro”, che trasferitosi da Grassano a Matera si insediò nel
vecchio casato. Uno dei figli di Mastro Santoro, Giovan Domenico, dopo
ventuno anni di residenza a Matera, nel 1570 fece costruire Palazzo Santoro,
ubicato in Via Duomo, sul perimetro dell’antico circuito difensivo.A questo
proposito, lo storico Morelli confermando che la costruzione in esame fosse
stata fatta edificare dalla famiglia Santoro, aggiunge che la stessa
costruzione era stata appoggiata “alla muraglia del torrione, spingendosi
all’interno e rivolta verso il Sasso Barisano. Consultando il Catasto
Ostiario del 1732, si evince che il palazzo era allora di proprietàdi Don
Luigi Santoroche lo abitava con la moglie Maria Rosa Sifoli e con cinque
fratelli, fra i quali Domenico Antonio e due sacerdoti.Domenico Antonio
Santoro nacque nel 1696, sposò donna Teresa Sifoli di Trani e a questa ebbe
solo due figlie femmine: Antonia e Geronima. Anche questo ramo nobiliare dei
Santoro si avviava ad estinguersi. Geronima Santoro sposò Don Domenico De
Lena di Laterza, ed ebbe un’unica figlia Maddalena, che poi sposò nel 1787
Don Claudio Appio; Antonia, invece, nata dopo la morte del padre, nel
1749,
sposò giovanissima l’avvocato Giuseppe Padula. |