TESTIMONIANZE E NOTE CRITICHE SULLA CRIPTA


La testimonianza più antica sul succorpo (e sulla sepoltura di san Canio) è contenuta nella Santa Visita nella diocesi compiuta dal novembre 1543 al settembre 1544 dal cardinale Giovanni Michele Saraceno, arcivescovo di Acerenza e Matera. La mattina del 27 novembre 1543 il prelato dette inizio alla visita delle cappelle e degli altari della chiesa superiore: "Et primo altare maius in quo reconditur sacrum corpus dicti sancti Canionis martiris prout fuit sibi relatum ab omnibus cum illud non potest videri ex quo est suptus altare fabricatum, postea accessit ad sub corpus constructum per illustrem quondam dominum Jacobum Alfonsum comitem Muri(...)". Se le affermazioni fatte dai canonici sono riferite esattamente dal Saraceno, dal passo citato si arguisce che:
1) le reliquie di san Canio erano conservate nell'altar maggiore, o meglio, come si precisa subito dopo, in una struttura fabbricata sotto l'altare maggiore;
2) che questa struttura, inaccessibile, doveva trovarsi ad un livello di calpestio più basso rispetto a quello dell'altar maggiore e che non vi era alcun collegamento tra essa e il coro;
3) che, inoltre, non vi era alcun rapporto tra il deposito suptus altare fabricatum e il succorpo Ferrillo, dato che a quest'ultimo l'arcivescovo Saraceno accede presumibilmente da una delle due scalinate corrispondenti ai due portali originari.
&Eagrave; interessante il fatto che nella Visita non si faccia alcuna allusione ad eventuali altari presenti nel succorpo né, tanto meno, alla presenza in esso del sarcofago. Il controverso passo del Saraceno potrebbe fornire una spiegazione alla strana incongruenza che si riscontra nella planimetria del succorpo: il fatto cioè che il Ferrillo, pur avendo a disposizione l'intero spazio sottostante il coro, ne abbia occupato in realtà solo una parte. Nello spazio retrostante la parete est del succorpo potrebbe aver trovato posto la struttura ipogeica, cui allude il Saraceno, nella quale erano state deposte le reliquie di san Canio rinvenute dal vescovo Arnaldo nel 1080. Un indizio potrebbe essere rappresentato dal fatto che, in occasione della risistemazione tardottocentesca dell'abside, la fronte di tabernacolo sulla parete di fondo venne rimontata in una posizione che, assolutamente priva di funzionalità, poté tener conto della presenza al di là del succorpo, forse tramandata da un'antica tradizione, delle reliquie del santo.

Nessun accenno alla presenza di altari o del sarcofago anche nella descrizione del succorpo contenuta nel Liber piorum legatorum del 1559, dove l'attenzione si concentra piuttosto sulla pretesa finezza dell'apparato decorativo della cripta. In una relazione datata 25 giugno 1590 la situazione non sembra granché modificata: l'altare maggiore nel coro della chiesa superiore è ancora intitolato a san Canio, ma per la prima volta si parla anche di un altare presente nel succorpo, del quale non si specifica il titolo . Ma probabilmente non si trattava dell'unico altare, dato che qualche decennio dopo, durante l'episcopato di Giovanni Battista Spinola (1648-1665), altri due altari del succorpo, collocati in corrispondenza delle pareti laterali, cambiano patronato e vengono ridedicati a san Martino e a san Nicola, essendo state contemporaneamente coperte le immagini a fresco già presenti, come riferisce una Santa Visita citata dalla Barbone Pugliese. Nel 1659, nella prima edizione della sua Italia Sacra, l'Ughelli descrive brevemente la cattedrale di Acerenza e, in particolare, il succorpo. Rispetto a quella descritta nel 1543 dal Saraceno, la situazione relativa alla sepoltura di san Canio appare alquanto mutata: le reliquie del corpo del santo si dicono infatti collocate nell'altare maggiore del succorpo (quindi in una posizione non più inaccessibile) e si afferma che esse vi erano state deposte dal vescovo Leone nel 799 (escludendo un loro spostamento a seguito della pur nota inventio da parte del vescovo Arnaldo, avvenuta nel 1080) . Interessante è anche la descrizione di un luogo della chiesa superiore, vicino al sacrario, corrispondente all'attuale cappella di san Canio. Non sappiamo se già all'epoca la cappella avesse assunto il titolo del santo titolare della chiesa, ma sicuramente vi erano conservati importanti oggetti legati al suo culto: una statua, con tutta probabilità da identificare con quella lignea sopravvissuta sino ad oggi. Quanto all'altare, presente nella cappella, esso è identificabile con l'altare in pietra racchiuso all'interno di quello settecentesco che vi figura attualmente, visibile attraverso un'apertura circolare di circa 15 cm praticata in una lastra di questo. Qualche decennio dopo, il Pacichelli ricalcava esattamente la descrizione ughelliana.È appena il caso poi di citare il Gatta, il quale si limita a ricordare che Acerenza "è celebre per lo deposito di detto Santo Martire, il quale rendesi illustre per li continui Miracoli", senza però specificarne l'ubicazione. Si deve giungere a poco prima del 1770 per imbattersi in una significativa, ma purtroppo enigmatica descrizione dello "stato delle cose" da parte del canonico acheruntino Carlo Lavinia, il quale ritiene, come l'Ughelli, che le spoglie di san Canio siano deposte nel succorpo. Arduo è, però, immaginare l'aspetto e la posizione dell'altare. Quello che pare certo è che difficilmente la sistemazione descritta dal dotto canonico può coincidere con quella attuale. Questa circostanza è indirettamente confermata nel 1848 dal Girardi, a detta del quale l'altare maggiore del succorpo suscitava l'ammirazione dei visitatori (affermazione assolutamente inverosimile se rapportata all'altare nella sua attuale forma).



Si è certi, comunque, che all'epoca, il sarcofago di marmo, vuoto, e distinto dall'altare, si trovava nel succorpo. Lo afferma lo stesso Girardi, pur avvolgendo la notizia di macroscopiche imprecisioni: "Il corpo di tal santo vescovo essendo stato scoperto fra le rovine della distrutta Atella da Leone arcivescovo di Acerenza , questi arricchì di tanto tesoro la città nostra, la quale, per cento prodigi sperimentati, elesse Canio a suo patrono. Vuolsi per tradizione che le reliquie di lui fossero dapprima collocate in una cassa di marmo lavorato, che sta nel soccorpo della cattedrale. Presentemente tale cassa è vuota, e con buone ragioni si crede che il corpo di S. Canio fosse stato chiuso nel muro dell'altare a lui dedicato nel soccorpo medesimo". Ciò che si sostiene oggi è che, almeno a partire dalla fine del XVII secolo, nel soccorpo viene ubicato un altare dedicato a san Canio, nel quale - e non più in un luogo inaccessibile, sotto l'altar maggiore - si dicono collocate le sue reliquie. Nella stessa epoca si comincia a parlare di un secondo altare dedicato al santo in una delle cappelle che si affacciano sul deambulatorio. Sebbene con tutte le cautele necessarie in una situazione che ha visto il succedersi di pesanti interventi, non sempre documentati, nonché la quasi totale mancanza di ricognizioni, si può ipotizzare che la sistemazione attuale dell'abside del succorpo risalga a circa la metà dell'Ottocento. In quest'occasione deve essere stato smembrato l'altare maggiore del succorpo, che è da distinguersi dal sarcofago, introdotto nel succorpo in epoca imprecisabile. Resta oscura, inoltre, la collocazione originaria dei pezzi che sono serviti a ricomporre il vano dell'abside, riadattati all'angusto spazio modulare in cui è tripartita la parete di fondo del succorpo col sacrificio, in questa nuova sistemazione, di alcuni di essi. In tal modo il cenotafio marmoreo venne ad assumere la funzione di una sorta di pala d'altare, collocato com'è su un davanzale- mensa e visibile solo dal basso.