ENIGMI E MISTERI NELLA CRIPTA DELLA CATTEDRALE


La cripta non è altro che un succorpo esteso al di sotto del coro, la cui realizzazione fu promossa dal conte Giacomo Alfonso Ferrillo, di origine napoletana. Occupa poco più dei due terzi dello spazio disponibile e consiste in un vano perfettamente quadrangolare, suddiviso in tre navate da quattro colonne poggianti su piedistalli e coperto da una serie di nove voltine ribassate. Le pareti perimetrali sono scompartite verticalmente in tre moduli di ugual misura tramite paraste scanalate: in corrispondenza delle pareti laterali, i primi due scomparti verso l'ingresso sono occupati da affreschi, il terzo da una finestra profondamente strombata che s'affaccia sul deambulatorio della chiesa superiore, da cui prende luce. La parete di fondo risulta invece tompagnata in corrispondenza dei due scomparti laterali, che sino agli inizi di questo secolo ospitavano armadi-reliquiari, ancora visibili in vecchie fotografie, mentre in corrispondenza dello scomparto centrale si apre una piccola abside rettangolare entro cui, su un ripiano sollevato rispetto al pavimento di circa m 1.30, è collocato un grande sarcofago marmoreo. Tale succorpo viene posto in relazione dal Bertaux sin dal 1897 col celebre succorpo del duomo di Napoli . Le innegabili affinità d'impostazione tra i due succorpi fanno supporre che il disegno per quello di Acerenza sia stato fornito al Ferrillo da un ignoto architetto napoletano che, quasi certamente su sua indicazione, tenne ben presente il modello partenopeo, pur dovendo rapportarsi ad una situazione dei luoghi molto diversa e fare i conti con la disponibilità finanziaria del conte che, per quanto notevole, non poteva certamente competere con gli enormi proventi del Carafa. La questione sulla quale intendo soffermarmi più estesamente è quella relativa all'abside che si apre nella parete di fondo, all'interno della quale è collocato il sarcofago popolarmente noto come "cassone di san Canio". L'ingresso alla piccola abside appare visibilmente frutto di una risistemazione: mentre infatti lo stipite di sinistra è realizzato interamente in marmo di Carrara, quello di destra è formato da tre spezzoni in materiale diverso, di cui l'inferiore in marmo di Carrara, il mediano in marmo cipollino dalle venature verdastre che, pur presentando decorazioni analoghe allo spezzone sottostante, manca di continuità rispetto a questo, e un terzo pezzo in pietra calcarea.


Entrambi gli stipiti, e i semicapitelli che li coronano, risultano poi rimontati, analogamente a tutto il vano dell'abside in cui è inserito il grande sarcofago, vano che denuncia anch'esso vistosi rimaneggiamenti. Inoltre il piano di posa degli stipiti che delimitano l'ingresso dell'abside non è allineato, come ci si aspetterebbe, al bordo superiore dei piedistalli che pausano le pareti perimetrali e che tripartiscono anche la parete di fondo, ma è curiosamente più alto di circa 20 centimetri. Gli stipiti poggiano infatti su una sorta di davanzale - evidentemente riutilizzato a causa dell'altrimenti inspiegabile presenza di un piccolo rincasso di forma rettangolare - sostenuto da due mensoloni scanalati e, al centro, da una tozza colonnina, scanalata nel rocchio inferiore e rastremata nel tratto superiore, sormontata da un capitello a larghe foglie lisce: elementi, questi ultimi, che si direbbero realizzati in epoca piuttosto recente, presumibilmente nel secolo scorso. Quanto al vano rettangolare dell'abside, voltato a botte, anch'esso è caratterizzato da non poche incongruenze. Nella lunetta superiore della parete di fondo sono infatti incastrate due lastre rettangolari in marmo scolpite a bassorilievo, raffiguranti altrettanti Angeli, le quali fiancheggiano un'apertura strombata, decorata con un simbolo eucaristico in corrispondenza della faccia inferiore del trave. Sicuramente l'ubicazione delle lastre non è quella originaria, dato che il bordo superiore, modanato, risulta tagliato, in corrispondenza degli spigoli rispettivamente di sinistra e di destra, dalla volta a botte che copre il piccolo vano, decorata da una regolare tessitura di quarantotto cassettoni (6 x 8), ognuno occupato da elementi isolati degli stemmi Ferrillo e Balsa ritmicamente disposti, due dei quali integrati a seguito di un restauro. A ciò si aggiunga l'assoluta incongruità di un tabernacolo collocato a tale altezza, apparentemente senza alcuna funzione liturgica.


Quanto alle pareti laterali del vano, esse sono articolate nella parte inferiore da due profonde arcate cieche - chiuse da una muratura piuttosto rozza, certamente non originaria - impostate su mensole poste a differente livello, di cui le posteriori visibili solo parzialmente perché affondate per oltre metà nella parete di fondo. Lungo l'interno dell'abside, a media altezza, corre un fregio continuo con figure di cherubini a mezzo busto. Alcune vistose rotture presenti nelle lastre che compongono il fregio, l'elementare constatazione che gli sguardi dei cherubini non convergono, come sarebbe naturale, verso lo stesso punto prospettico e, soprattutto, l'esistenza di almeno un'altra lastra erratica della stessa serie, dimostrano che anche il fregio è stato smembrato e rimontato in questa posizione. In conclusione, l'intero assetto del vano dell'abside sembra non corrispondere a quello originario. Una conferma viene da una rara fotografia scattata calandosi, dalla finestrella quadrangolare aperta nella parete di fondo dell'abside, nello spazio retrostante. Essa mostra, in corrispondenza del retrospetto della parete, una sorta di alzata d'altare in pietra, lievemente concava, conclusa da un massiccio cornicione modanato. Ai lati dell'apertura quadrangolare sono chiaramente visibili i cardini della porticina che doveva chiuderla. L'alzata poggia a sua volta su una pesante lastra in pietra, con i bordi scolpiti a sguscio e modanati, affondata per buona parte nel muro. Questa struttura, peraltro ben conservata, dimostra come almeno una parte dello spazio retrostante l'abside doveva essere percorribile, anche se è difficile ipotizzare come vi si accedesse. Riuscire a ricostruire con plausibilità le trasformazioni avvenute in questa zona del succorpo è problema di assai ardua soluzione, soprattutto a causa della scarsità delle fonti disponibili e della loro controversa interpretazione. A ciò si lega la questione, non meno controversa, riguardante il luogo della deposizione delle reliquie di san Canio, dato che il sarcofago nel succorpo risulta vuoto. Un'ulteriore difficoltà, infine, è rappresentata dal fatto che quasi tutte le fonti parlano di un "altare" di san Canio esistente nel succorpo, mentre oggi, a rigor di termini, non potremmo applicare questa definizione a quella sorta di strano davanzale che costituisce il piano di posa del sarcofago n´, tanto meno, quest'ultimo potrebbe essere identificato come tale.