Il Conte di Matera

 

Nel 1497 Giancarlo Tramontano viene creato conte di Matera. Egli era nato a Sant'Anastasia ed era figlio del banchiere napoletano Ottaviano Tramontano e di Fiola Penta. Banchiere egli stesso, aveva rifornito di denaro i re Aragonesi con i quali ebbe perciò sempre ottimi rapporti, soprattutto con Ferrante e Federico. Prima di diventare conte di Matera, era stato maestro della Zecca dell'Aquila e poi, dal 1494, di quella di Napoli. Nel 1495 fu tra gli eletti del popolo della capitale come rappresentante del quartiere di Sant'Agostino della Zecca. A Matera Giancarlo Tramontano mirò ad impossessarsi del maggior numero di rendite, entrando per questo in contrasto con gli imprenditori locali. Tra il 1498 e il 1500, ad esempio, si sviluppò una controversia tra lui e gli esponenti della famiglia materana Scalcione, per il possesso della rendita dello scannaggio, cioè della tassa sulle carni macellate.

Quando Federico d'Aragona salì sul trono di Napoli, Giancarlo Tramontano volle essere tra i primi a rendere omaggio al nuovo Re e alla nuova Regina, che era Isabella Del Balzo. Si recò, pertanto, a Barletta, dove la regina Isabella aveva fatto sosta quando da Lecce si era mossa per raggiungere il Re a Napoli. La presenza a Barletta del Conte di Matera non passò inosservata, data la notorietà del personaggio, e di essa è testimonianza nella narrazione poetica della vita della Regina Isabella, dal titolo Il Balzino, composta per l'oc­casione dal poeta Ruggero Pazienza di Nardò.

Ma nel 1501 Re Federico è costretto ad abbandonare Napoli e Giancarlo Tramontano lo aiuta anche in questa occasione, prelevando per lui dalla Zecca una grossa quantità di argento e prestandogli persino una sua nave, la "Ghila", per facilitargli la fuga.

Partiti gli Aragonesi, il regno di Napoli resta in balia degli eserciti francesi e spagnoli tra loro in lotta. Il conte di Matera si schiera con gli spagnoli e partecipa, al loro fianco, alle operazioni militari provvedendo pure a fortificare la sua città mediante la costruzione di un massiccio castello, poi non ultimato. Egli fu anche, per breve tempo, prigioniero delle truppe francesi, essendo stato da queste sorpreso nel 1502 sulla via per Taranto con sessanta uomini armati. Nel 1503 partecipò alla famosa battaglia di Cerignola, che servì consolidare definitivamente la presenza degli Spagnoli nell'Italia Meridionale.

Intanto a Matera, dopo aver iniziato la costruzione del Castello, Giancarlo Tramontano riprende i suoi affari ed i suoi traffici: oltre che commerciare in prodotti agricoli (cereali) e di allevamento (lana), egli trae profitto anche dalla concessione delle saline a Torre di Mare (Metaponto) e dal fondaco del ferro e dell'acciaio a Matera. Tale sua espansione economica ed imprenditoriale avviene a tutto danno dei produttori e dei commercianti locali, che per questo inaspriscono la loro ostilità nei suoi confronti.

Alcuni di essi vengono anche privati dei loro beni ed imprigionati. Tra costoro e tra i loro parenti (De Cataldo, Selvaggi, De Donato, De Angelis) bisognerà cercare i responsabili politici della congiura e del sentimento di ribellione che nel giro di pochi anni porterà alla uccisione del Conte.

Intanto, nel 1506 Re Ferdinando il Cattolico entra trionfalmente a Napoli, e Giancarlo Tramontano è tra i principali organizzatori della festosa accoglienza.

Divenuto Governatore delle Arti della seta e della lana nella Capitale, egli cerca di mantenere anche con gli Spagnoli una funzione politica e amministrativa di rilievo: nel 1507 partecipa munificamente alle spese per il Capitolo Generale degli Agostiniani, che si riunisce a Napoli e che dura per tutte le quattro settimane di maggio; e nel 1510, grazie al suo tempestivo e spregiudicato intervento, viene spento un tumulto appena iniziato contro l'introduzione del Tribunale dell'Inquisizione. Ma Ferdinando il Cattolico non ebbe per il Conte di Matera la stessa attenzione e protezione che avevano avuto gli Aragonesi; e quando alcuni materani si recarono in Spagna per lamentarsi con il Re per le ripetute ingiustizie subite dal Tramontano, il Re intervenne in loro favore e maledisse il Conte di Matera e con lui tutti i baroni napoletani.

Tra il1512 ed il 1514, del resto, erano riprese nell'Italia Meridionale le lotte antifeudali; che a Matera avrebbero portato all'uccisione del Conte, avvenuta alla fine del 1514. Uno “schiavone” cioè un immigrato, su istigazione dei maggiorenti della Città, aggredì il Conte all'uscita della cattedrale e lo colpì mortalmente alla testa con una roncola.

Poco prima il Conte aveva imposto un ennesimo tributo ai materani, essendosi indebitato con il mercante catalano Paolo Tolosa a proposito di alcune transazioni piuttosto onerose, ed anche per le somme necessarie all'acquisto del vicino feudo di Ginosa e della annessa masseria di Girifalco.

Questa uccisione scatenò vari disordini in città, soprattutto perché alcuni materani vollero fare scempio delle cose del Conte. Fu assalita la sua dimora e messa a soqquadro, mentre il cadavere del Tramontano restava per qualche tempo insepolto sul luogo in cui si era verificato il delitto. Ma i maggiorenti non permisero che si passasse dal delitto politico alla criminalità comune ed odiosa, e mentre occultarono il vero responsabile dell'omicidio e soprattutto coloro che ne erano stati gli ispiratori ed i mandanti, impedirono il saccheggio a danno dell'abitazione e della famiglia del Conte.

Alcune settimane dopo l'uccisione del Tramontano, giunse a Matera il Regio Commis­sario Giovanni Villano che chiese ragione alla Città di quel triste fatto di sangue. Il Comune di Matera non respinse l'accusa, né negò la responsabilità collettiva, cioè di tutta la comunità locale, a quella sollevazione antifeudale ed i suoi amministratori firmarono una transazione con le autorità vicereali, poi ratificata in un'Assemblea cittadina che si tenne il 6 maggio 1515 con grande concorso di popolo. In tal modo, la città intera si faceva carico dell'uccisione del conte Giancarlo Tramontano e si impegnava a versare alle Casse dello Stato il prezzo per ottenere un Indulto, cioè il perdono per quel che era accaduto.

L'Indulto giunse il 28 maggio, emesso a favore della città dal conte di Capaccio Bernardo Villamarino, luogotenente del vicerè di Napoli Raimondo di Cardona.

Tre anni dopo anche i parenti dell'ucciso, e cioè la moglie Antonia Restigliano e il fratello Silvestro Tramontano, sottoscrissero formale rinuncia a perseguire penalmente, un notabile materano, Pietro Angelo De Angelis, che era stato indicato come uno degli ispiratori del delitto ed uno dei capi della congiura.

Si chiudeva così questo episodio assai importante delle prime lotte antifeudali del Mezzogiorno d'Italia, in cui semplici cittadini si erano esposti con grande determinazione al potere baronale. Il Re, su richiesta di una delegazione materana nuovamente recatasi in Spagna tra il1518 ed i1 1519, diede il proprio assenso alla distruzione del Castello, lasciando però la decisione finale al vicerè, e ribadì il proprio impegno a favore della città di Matera, che sarèbbe dovuta, tra l'altro, tornare al Regio Demanio ed essere liberata per sempre dal peso feudale. Ma il Castello non fu mai distrutto anche se restò incompiuto.

La città, che alla fine del 1515 era stata venduta anche a Paolo Tolosa per 2000 ducati, conquistò stabilmente per sé la piena demanialità solo nel 1576, essendosi allora liberata, con grande sacrificio finanziario, dal peso feudale degli Orsini del Balzo, ai quali, dopo varie vicende, era stata nuovamente infeudata.

 

 



Veduta della residenza di citta del conte



Veduta del punto in cui fu assassinato il conte



Vista della chiesa del paese natale del conte



Lo stemma della casata