I. ETA' PRECLASSICA

   

 

Non è noto se l'insediamento su cui sarebbe sorta Matera abbia vissuto un passaggio coerente col modello insediativo rurale disperso, proprio delle comunità di villaggio, alla concentrazione dei gruppi umani in sito centrale. La mancanza di sicure seriazioni stratigrafiche e la perdita dei dati di scavo limitano notevolmente, per le fasi preistoriche, la conoscenza di Matera e del suo territorio i cui terrazzi hanno restituito reperti databili fino al Paleolitico inferiore-medio. Il territorio materano è solcato da tre sistemi di gravine che, orientamento est-ovest sono: la gravina di Matera, la gravina di Picciano e quella del fiume Bradano.

Il Neolitico ha un momento di significativa affermazione nel territorio della Murgia materana a partire dal V millennio; l'insediamento umano dell'Età del Bronzo si definì abbastanza estesa che interessò i piani e le grotte dei tre sistemi di gravine del territorio materano; materiale preistorico relativo alla fase di passaggio dal Neolitico all'Età del Bronzo riviene, infatti, dall'area della Civita, dal pertinente Castelvecchio, da Piazza S. Francesco, ai bordi estremi della Civita, e dalla collina di La Nera (Bronzo finale).

Anche per l'Età del Ferro le evidenze archeologiche, se pur scarse, consentono di ipotizzare un popolamento dell'area di Matera in siti di altura; S. Giovanni Battista, la Civita, piazza S. Francesco d'Assisi, Porta Pistola, Madonna de Idris e S. Lucia alle Malve testimoniano infatti l'ubicazione di nuclei abitati sparsi della prima Età del Ferro. Riconsiderando l'area urbana di Matera per i secoli VII e VI, si può rilevare la continuità della presenza umana nelle zone già frequentate nel periodo precedente, cioè ai centri abitativi della Città-Cattedrale, di S. Nicola dei Greci e di S. Pietro Caveoso.

 

II. ETA' GRECO - ROMANA

 

In assenza di fonti letterarie riferibili al sito la storiografia locale soprattutto ottocentesca ha generalmente offerto della città immagine di una polis e di una urbis individuabili nelle componenti demiche e amministrative. Come si è visto risale almeno all'Età del Bronzo l'abitato della Civita e dalla fine del VII secolo insistevano nella stessa area, utilizzando precedenti strutture, più nuclei d'abitato indigeni con necropoli nelle pertinenze, successivamente ellenizzati. Tutta l'area mostra le caratteristiche di una sostanziale omogeneità diversamente dal Sasso Caveoso, dove la episodicità dei rinvenimenti induce a supporre la presenza di nuclei ubicati a qualche distanza.

Si può ritenere che Matera in età greca e romana non dovette essere luogo territorialmente rilevante, ma neppure periferico, prima rispetto al sistema urbano articolatosi sulla costa ionica con la colonizzazione magno-greca, poi rispetto a quello imposto dalla strategia di controllo territoriale romana.

La via Appia, passando per Venosa, proseguiva per Brindisi escludendo le zone più interne; confiscate le terre a vantaggio dell'ager publicus, soltanto in poche zone le colture mantennero carattere intensivo, mentre grandi estensioni territoriali versavano in stato di grave degrado, inelvatichite e desertificate dall'incuria.

Non così drammatica appare la situazione di Matera, che vari tratturi collegavano il tracciato dell'Appia, consentendole di comunicare con i centri pugliesi. Le conseguenze dell'organizzazione economica latifondistica debilitarono dunque il centro, che si contrasse nella parte sommitale della Civita. Il Sasso Caveoso e l'altro, il Barisano, rivestiti a tratti da un folto strato di vegetazione e da spuntoni di roccia, non erano ancora abitati se non in forma dispersa e dovevano costituire una difesa per quanti erano arroccati sull'acropoli naturale della Civita. Bisognerà attendere le testimonianze di età medioevale per valutarne le fasi del popolamento, conseguente alla crescita demografica che avrebbe portato la Civita a debordare extra moenia.

La brevità della trattazione è dovuta al fatto che la città di Matera va considerata non come un unico centro urbano ma come un insieme di piccoli centri rupestri.

 

III. LA CITTA' MEDIEVALE

 

La città di Matera  ha iniziato a vivere la sua fase medievale della sua storia non prima dell'VIII-IX secolo. E' con l'occupazione longobarda del Mezzogiorno che Matera comincia ad affacciarsi con più precisi contorni all'interno delle vicende che videro questo ceppo etnico contrapporsi ai dominatori di Bisanzio.

Comunque a metà dell'VIII secolo Matera molto verosimilmente risulta inserita già nella rete gastaldale del ducato; nella divisione del ducato stesso tra Benevento e Salerno (849) e tra Salerno e Capua (860) la città appulo-lucana entrò nell'orbita di Salerno insieme con Taranto, Acerenza e il Latiniano. Ma la fedeltà di Matera al fronte longobardo non durò a lungo, se poco più di vent'anni più tardi, nell'888, troviamo i bizantini materani schierati con Ladone contro il nuovo signore di Capua, Atenolfo, che si era impadronito del potere con la violenza.

L'assorbimento nell'orbita normanna fece riacquisire a Matera un rilevante protagonismo politico-amministrativo. Nel 1064 Matera risulta saldamente in mano di Roberto dei Loffredi, una famiglia che per circa un settantennio giocherà un ruolo non solo a Matera, ma anche nel regno. Il XIII secolo segna alcune tappe importanti nella vita della città: innanzitutto la definizione della capacità contributiva per quanto riguarda la manutenzione del castello emanato da Federico II; inoltre l'elevazione nel 1203 dell'episcopato materano a sede arcivescovile con la costruzione della nuova Cattedrale. Il governo angioino del Regno basato sul contributo dei signori feudali e sul controllo del sovrano attraverso l'apparato della burocrazia portò a una fase di sostanziale stabilizzazione della città tra XIII e XIV secolo, anche perché preminente interesse degli angioini sia il mantenimento sia l'aumento della pressione fiscale. A cavallo tra la prima e la seconda metà del secolo fecero il loro ingresso nella città gli Ordini mendicanti: i Francescani dopo il 1343, i Domenicani intorno al 1360.

 

Gli esiti urbanistici

 

All'interno del contesto storico delineato si colloca lo sviluppo urbanistico al quale fu interessato il microcosmo materano fortemente condizionato dalle caratteristiche del territorio e dalle peculiarità geomorfologiche dell'habitat.

La Matera longobarda nelle sue componenti e nel suo ordito urbano sino al IX secolo sembra una realtà evanescente, inafferrabile, più intuita che verificabile nei suoi spazi strategici, abitativi e sociali. Con il IX-X secolo il nucleo urbano conosce forme meglio definite riportando von più nitidi contorni alla ribalta quel sito della Civita sul quale si attesterà la parte più consistente dell'abitato prima dell'espansione del Sasso Barisano e poi verso il Caveoso.

Ma è con l'XI secolo che la realtà urbana di Matera può considerarsi a tutti gli effetti ampiamente definita nelle sue linee di tendenza in una interazione sempre più stretta tra la Civita e i Sassi. Il XII secolo vedeva ormai Matera attestata sui due poli urbanisticamente complessi e vicendevolmente integrati della Civita con la Cattedrale, il castello, il monastero di S. Eustachio, e i Sassi con gli spazi vicinali che ne scandivano i complessi abitativi muniti di pozzo, scale, canalizzazioni, con le chiese rupestri e con il monastero delle SS. Lucia e Agata alle Malve.

 

Le grotte dei Sassi acquistarono tra la prima e seconda metà del XIII secolo un valore sociale ed economico sconosciuto ai secoli precedenti; la facies urbana al tramonto del XIV secolo era ormai definita in tutti i suoi aspetti. La Civita con gli edifici di maggiore spicco istituzionale e architettonico, protetta da una cinta muraria munita di porte; i Sassi divisi in pittagi, cioè aggregazioni rionali, scanditi dalle unità abitative delle vicinie facenti capo a un luogo di culto, il quartiere di nuova espansione che si svilupperà, ancorché fuori delle mura, in una marcata conurbazione con la città medievale.

 

IV. LO SVILUPPO URBANO IN ETA' ARAGONESE

 

L'espansione della Civita

 

L'evoluzione urbana di Matera nel periodo compreso tra la seconda metà del XIV secolo e i primi decenni del XV non presenta significative trasformazioni del tessuto insediativo medievale, come negli altri centri italiani ed europei.

Nel 1419 la regina Giovanna II reintegrava Matera al Regio Demanio, affidando il governo della città ai Sanseverino. Tornata ancora al Demanio, però, essa fu temporaneamente feudo di Giovanni Antonio Orsini Del Balzo, principe di Taranto; nonostante l'impegno assunto da Carlo VIII di mantenerla nel Regio Demanio, la contea veniva posta in possesso di Gilberto di Brunswich, nominato anche duca di Lecce. Alla morte di questi, nel 1496, l'investitura della contea vacante toccò al napoletano Giovan Carlo Tramontano.

Fulcro dell'assetto urbano in questa fase è ancora la Civita, qualificata dalla presenza della Cattedrale duecentesca e del castrum normanno abbattuto nel 1448, non assolvendo più alcuna funzione difensiva e presto sostituito da abitazioni private, non solo gentilizie. Alcune tra le più facoltose famiglie dell'aristocrazia locale, essendo ormai la Civita quasi del tutto urbanizzata, scelsero quest'area edificatoria per erigere o ristrutturare le proprie residenze, accanto alle quali altre sarebbero sorte più tardi, in quel clima di fervore edilizio che caratterizzo nella città il XVI secolo. Si tratta dei Firrau, dei Malvezzi, dei Santoro.

 

Lo sviluppo extrameniale

 

E' a partire dal XV secolo che Matera, conseguentemente a una serie di congiunture, come la maggiore facilità di accesso ai mercati o l'incremento dell'industria della seta e del ferro lavorato, attraverso una fase di più intenso dinamismo economico e di crescita demografica, che la porto a contare da 7000 a 12000 abitanti.

Questi due fenomeni, congiunti, agirono nel senso di una risistemazione urbana dei Sassi, dove aumentò notevolmente il numero delle abitazioni di cui si infittirono le schiere, seguendone le curve di livello e gli abbozzi di strade. E' la fase storica in cui i vicinati cominciarono ad acquisire il ruolo di nodi connettivi del tessuto urbano dei Sassi e specularmente una funzione baricentrica nell'organizzazione della vita domestica e sociale degli abitanti.

L'articolazione urbana nell'orizzonte cronologico del XV secolo, pertanto, confermava e arricchiva il tessuto medievale della città organica, con ambiti pubblici altamente qualificati nell'esercizio delle funzioni sociali, commerciali e religiose. Quanto alle tipologie edilizie dei Sassi, esse sono assai elementari, presentando un vano unico oppure sommato ad altri in senso orizzontale o verticale, scavato nel tufo o costruito all'esterno seguendo una regola di tipizzazione degli elementi strutturali. Due muri sostenevano la volta a botte, mentre il fondo dell'abitazione era costituito dalla roccia stessa, compatibilmente con la struttura orografica del sito. Sullo sfondo di queste architetture essenziali dei Sassi, risaltano le residenze gentilizie, evidenti per la più complessa volumetria degli edifici.

Le cause storiche che indussero sia l'espansione edilizia sia l'ampliamento della cinta daziaria vanno individuate sia nel crescente dinamismo economico sia nella crescita demografica che investì la Terra d'Otranto. Su tale processo incise senza dubbio il movimento migratorio che portò nell'area materana gruppi etnici serbo-croati ed ebrei.

V. LA RIQUALIFICAZIOE URBANA CINQUECENTESCA

 

Un nuovo polo dello sviluppo urbano: piazza del Sedile

 

Punto nodale della riqualificazione urbana cinquecentesca si può ritenere senz'altro la piazza Maggiore, detta del Sedile. Già espressione di consolidate funzioni economico-produttive e religiose, a partire dal XVi secolo la piazza assunse anche quello di centro politico-amministrativo e giudiziario, avendo accolto l'edificio delle carceri con la sede del governatore e, dal 1575, il Sedile, cioè il nuovo palazzo municipale dell'Università. Di particolare interesse è l'attività svolta negli anni 1573-1575 e in particolare la documentazione relativa alla vendita con cui l'università cedeva al nobile Jacomo Venusio alcuni locali che aveva in burgensatico nella Civita, e in cui edificò il proprio palazzo, costruito tra il XVII e il XVIII secolo alle spalle della Cattedrale. Si tratta di uno dei più interessanti esempi di architettura residenziale, espressi dalla committanza aristocratica tra il Sei e il Settecento, nella Civita e nelle sue pertinenze, richiamandosi agli stilemi architettonici e culturali contemporanei d'ascendenza napoletana.

Contiguo all'area di Piazza Sedile, anzi tracciato in posizione baricentrica rispetto ad essa, è l'asse urbano principale che, da un lato, si andava irradiando in direzione della fontana posta all'ingresso della città del Piano e, dall'altro, si congiungeva alla salita della Cattedrale. Lungo l'asse viario che si andò definendo si apriva infatti la porta Pepice e ciò farebbe supporre che l'attuale via delle Beccherie ripercorra il precedente tracciato della strada d'accesso alla città attraverso questa porta. Via delle Beccherie rappresenta uno dei primi punti di innesto con il Piano che inizia a definirsi oltre la Civita, mentre i Sassi non appaiono più borghi esterna ad essa.

VI. LA CRISI DEL SEICENTO

 

Gli esiti urbanistici della Controriforma

 

Il passaggio dalla seconda metà del Cinquecento alla prima metà del Seicento è segnato da una sostanziale continuità e omogeneità dei processi economici, politici e sociali, che denunciano una lunga fase di  recessione e di crisi. Anche la dimensione urbanistica non registra nuove impostazioni progettuali, ripiegando sulla riproposizione dello schema urbano trasmesso dall'epoca precedente, variato solo in parte per rispondere al naturale movimento di crescita della città, ma privo di alcun elemento realmente innovativo.

Fino al XVII secolo si può ritenere che Matera conservasse identità di città dell'immagine speculare offerta dai Sassi e dal Piano, non ancora esteso significativamente oltre la Civita; tuttavia proprio al Seicento risalgono i primi segni della successiva evoluzione urbana, proiettata decisamente oltre i Sassi. Un momento significativo di questa svolta fu la costruzione del seminario (1668-1672) voluto da monsignor Vincenzo Lanfranchi, arcivescovo di Matera, cui è intitolato. Da questo primo coagulo di giustapposizione Piano-Sassi presero l'avvio altri episodi di architettura religiosa e di architettura civile borghese, ma anche popolare.

Così, mentre l'assetto urbano della città alta si arricchiva di episodi edilizi e urbanistici significativi del clima e dello stile del tempo, veniva parallelamente a crearsi una quinta muraria occultante i Sassi, che, a partire da allora, si sarebbero configurati per la società aristocratica e borghese come un mondo a parte.

Il trasferimento di Matera in Basilicata ebbe come conseguenza l'evoluzione della città a sede della Regia Udienza; la ripresa demografica fu proprio conseguente all'evento istituzionale del 1663, ma la dinamica più significativa in atto nella vita urbana fu quella economica, perché la città mutuò dalla provincia di nuova appartenenza la tradizionale vocazione agricolo-pastorale, piuttosto che imprimervi il tratto imprenditoriale che i pregressi contatti con la Puglia levantina e mercantile le avevano fino a quel momento conferito.

 

VII. L'ESPANSIONE EDILIZIA DEL SETTECENTO

 

Il Piano e i Sassi: i due volti della città

 

Se nel XVI secolo una parte della città era complementare all'altra, nel XVIII l'identità urbana si era ormai inesorabilmente perduta, poiché i Sassi avevano cessato di vivere in unità dialettica con il Piano.

Sulla base del Catasto onciario del 1732 la città appare suddivisa in 62 contrade; nel Caveoso, dove queste si svilupparono secondo moduli circolari, si evidenzia una maglia più fitta di abitazioni, sia edificate che in grotta. Si rileva invece una più bassa densità edilizia nel Barisano, dove le contrade si svilupparono a terrazze allungate e le abitazioni risultarono più distanziate tra loro, meno che in quella dei Lombardi, nucleo d'antica espansione. Le residenze aristocratiche e borghesi dei Gattini, dei Malvezzi, dei Venusio, dei Ferraù-Giudicepietro, oltre sulla Civita e lungo via Duomo si snodarono intorno a piazza del Sedile e in contrada Orto del Duca, che è l'attuale via Ridola.

Le zone in cui si rileva una maggiore densità abitativa non sempre si identificano con quelle più estesamente edificate, come lascia intuire l'elevata media di abitanti per fuoco. In molti casi, infatti, due o tre nuclei familiari convivevano con grave disagio per quanti subivano tale condizione.

 

 

 

La definizione di un nuovo perimetro urbano

 

A definire i margini superiori dei due Sassi, contenendone definitivamente l'espansione edilizia verso l'esterno, furono ristrutturati e in parte riedificati la chiesa e il complesso conventuale agostiniano e la chiesa di S. Rocco con il convento annesso dei Riformati, ai margini del Barisano. Determinante per la proiezione urbana ottocentesca, in quanto avrebbe posto le premesse del successivo sviluppo e dello spostamento degli interessi economici verso nord, è la possente costruzione del convento della SS. Annunziata (1748), che avvia il prolungamento dell'asse urbano lungo il quale, poco più tardi, sarebbe stata edificata la chiesa di S. Francesco da Paola (1774). Sorto immediatamente al di fuori della porta principale, nella contrada della Fontana alla torre l'edificio veniva a qualificare sul piano urbanistico un luogo d'antico insediamento da parte delle comunità religiose.

Ultima, ma non ultima fase, nel processo d'espansione settecentesca è l'urbanizzazione della piazza della Fontana che trova i referenti architettonici più imponenti nel convento e nella chiesa di S. Lucia.

Come già piazza del Sedile piazza della Fontana, nuova agorà di Matera, aveva esordito come sede commerciale, ospitando per sei giorni l'importante fiera di S. Lorenzo. Tra il XIX e il XX secolo, accogliendo il palazzo municipale e, poco più avanti, la sede del Palazzo di Giustizia, piazza della Fontana sarebbe diventata eminente luogo urbano delle funzioni politiche e istituzionali.

 

VIII. L'ASSETTO URBANISTICO DELLA CITTA' DAI BORBONI ALLA FINE DEL SECOLO

 

Dalla rivoluzione partenopea del 1799 all'Unità d'Italia

 

I primi anni del secolo si aprono per Matera sull'onda degli avvenimenti seguiti dalla rivoluzione partenopea del 1799. La città ebbe anch'essa i suoi disordini: vi si abbatté e distrusse tutto ciò che simbolicamente rinviava al potere reale, si demolì la statua di Carlo III e si eresse l'albero della libertà nella piazza Maggiore. La massa di contadini, impreparata politicamente, si rivelò incapace di intendere il significato di quegli avvenimenti, presa com'era dal problema della materiale e quotidiana sopravvivenza, gravata dal peso di una miseria più che secolare che si rispecchiava nelle abitazioni-grotta dei Sassi.

Nel decennio francese di Giuseppe Bonaparte prima, di Gioacchino Murat poi, con la promulgazione delle leggi eversive della feudalità, che ripartiva le terre demaniali e le terre confiscate alle chiese, ai conventi e ai baroni tra i proprietari, l'Università e i singoli cittadini, chi riuscì a virare il nuovo a proprio vantaggio fu ancora la borghesia rurale che consolidò la propria ascesa sociale potendo disporre di strumenti legislativi e del potere politico necessari per accedere alla proprietà della terra.

Nonostante l'accoglienza riservata dal popolo materano a Giuseppe Bonaparte (30 maggio 1806), il successivo 8 agosto veniva emanato il decreto che ratificava la spartizione del Regno in tredici province e attribuiva la sede della Regia Udienza a Potenza. Cessato, con l'avvento dei francesi, il primato di Matera sulla regione Basilicata, cessa anche per la piazza Maggiore, o del Sedile, il ruolo cardine di centro urbano: la nuova agorà si sposta verso la fontana ferdinandea. Il trasferimento, poi, di un certo numero di famiglie appartenenti a funzionari, impiegati e gendarmi della Regia Udienza, i cui redditi certamente concorrevano a favorire la circolazione monetaria, diede un duro colpo all'economia locale, già seriamente provata nelle sue risorse.

La vendita all'asta dei beni di proprietà del clero lasciò comunque irrisolti i numerosi problemi economici e sociali del Mezzogiorno. Aumentando il carico dei tributi da versare al pubblico erario, peggiorarono le condizioni economiche generali, provocando il fallimento dei ricchi acquirenti, il deprezzamento dei fondi, la perseverante miseria dei coltivatori affittuari o braccianti. In tale contesto si accentuò il problema dei Sassi, dove l'urgente bisogno di case aveva calamitato un numero sempre più cospicuo di abitanti. La laicizzazione della manomorta se per un verso aveva favorito l'arricchimento della vecchia e nuova borghesia materana, per l'altro aveva provocato l'inevitabile decadimento delle condizioni di vita del popolo contadino. Quest'ultimo, privo di mezzi autonomi di sussistenza, dovette convertire a uso abitativo anche quegli ambienti di servizio scavati nel tufo, sedi in origine di stalle, magazzini, cantine, e pertanto del tutto inadeguati ad accogliere le funzioni di dimora per l'uomo.

Le adduzioni dell'ottocento e la fisionomia laica della città

 

Intanto, il progressivo processo di laicizzazione, rafforzando la connotazione liberale della città, aveva inoltre portato nelle mani della borghesia quelle istituzioni educative ed economiche che fino ad allora erano state prerogativa esclusiva del clero. Maggiori ripercussioni avrebbe creato, nel 1881, la nascita a Matera del primo modello di credito istituzionalizzato, tra i più antichi del Mezzogiorno: la Banca Popolare, fondata con capitali laici.

Senza importanti episodi architettonici e senza ancora prolungarsi e proiettarsi verso altre direzioni la città ottocentesca si adagia e quasi si spalma sull'immagine urbana del Settecento. Intanto il succedersi e l'evolversi degli avvenimenti avevano impresso un'accelerazione al processo di sovrappopolamento dei Sassi. Il Piano immediatamente a ridosso dei Sassi, nato e perpetuatosi come insediamento borghese, si arricchisce, ma di una edilizia residenziale priva di elementi di particolare rilievo. Fino ad allora l'espansione urbanistica della città aveva seguito le sorti di gloria e di potere o di crisi e di declino del potere ecclesiastico. Il decreto napoleonico di soppressione degli ordini religiosi (1807), come il trasferimento della Regia Udienza a Potenza (1806), non poterono non provocare delle ripercussioni anche nello sviluppo urbanistico della città che, condizionata dagli eventi, vide ridimensionarsi il proprio processo di crescita ed espansione.

Con la restaurazione, il reintegro delle comunità ecclesiastiche soppresse, il ritorno dei Borboni e i nuovi rapporti di intesa tra la monarchia e la Chiesa, si assistette a un lieve risveglio e a una accennata vitalità che permisero la realizzazione di importanti infrastrutture per la città. In definitiva si riconducono solo a due gli interventi più apprezzabili e significativi per la migliore definizione che conferiscono agli spazi già progettati nel secolo precedente: il palazzo Sorrentino-Zagarella e il palazzo Malvezzi che, affiancandosi a S. Domenico, viene a precisare quegli allineamenti che con il convento dell'Annunziata e con la chiesa di S. Francesco da Paola contribuirono meglio a disegnare il prolungamento del nuovo asse urbano: corso Umberto I. Oltrepassata l'oramai demolita porta Maggiore, si veniva a costituire la principale direttrice di espansione della città verso nord e con il nome di Appulo-Lucana, strada nazionale dello Stato unitario.

 

IX. LA DEFINIZIONE DELLA CITTA' CONTEMPORANEA

 

La tragicità e la gravità di un'aberrante condizione socio-economica aprono a Matera il XX secolo. Muovendo verso il Novecento i Sassi, congestionati e degenerati nel tessuto abitativo, vedono progressivamente aggravarsi il proprio stato di degrado. Grotte e semigrotte con appendici in tufo, abitazioni allineate a schiera lungo le strade, prospicienti cortili a pozzo o recinti, sopraelevate di un piano oppure seminterrate, ospitavano ciascuna famiglie di otto-dieci persone che, condividendo spazi quasi improvvisati, affrontavano quotidianamente un'autentica lotta per la sopravvivenza. La visita a Matera nel settembre 1902 del presidente del Consiglio, Giuseppe Zanardelli, sembrò allora ispirare nuove attese; esito immediato fu la prima legge speciale n. 140 del 31 marzo 1904. Ma il provvedimento di fatto interpretò un imprecisato risanamento della regione, che indifferentemente interessò diversi comuni lucani, senza fissare priorità in ordine alla molteplicità delle urgenze immediate.

Il paese non disponeva ancora di un acquedotto e l'elementare sistema di approvvigionamento idrico era assai arretrato e insufficiente: posta al centro della città, forniva acqua potabile una sola fontana. Nel 1908 l'illuminazione delle strade fu affidata alla prima applicazione dell'energia elettrica che sostituì le luci a petrolio. Nessun sistema di comunicazione, nessun segno visibile di ferrovia, anche le condizioni dell'istruzione scolastica erano congelate al periodo borbonico.

Nel 1912 Matera venne finalmente collegata ad Altamura da un tronco a scartamento ridotto delle Ferrovie Calabro-Lucane e la città prese a darsi nuova forma, sviluppandosi ed espandendosi a raggiera da via Lucana verso la stazione. Nei Sassi vennero coperti i grabiglioni che solcavano i fondovalle degli antichi rioni tracciando così le strade di attraversamento. Con il R.D.L. dell'8 maggio 1924 il governo stanziò solo due milioni e mezzo, tra l'altro destinati a completare le opere di risanamento a Matera e a Potenza e nel 1927  Venusio, a 9 Km da Matera, fu realizzato un villaggio rurale di diciotto case da assegnarsi ai contadini.

 Anche la realizzazione, in periferia, del rione popolare di via gattini si prefiggeva l'obiettivo di destinare ai contadini dei Sassi abitazioni dotate di stalle e fienili: ma il problema della residenza per la gente più umile e più provata non trovò soluzione.

 

Matera, capoluogo di provincia

 

Intanto, episodicamente ma coerentemente con lo stile del tempo, la città, capoluogo di provincia, provava a esprimersi trovando la propria qualificazione nel Piano, dove si arricchì di ragguardevoli edifici come la sede dell'amministrazione provinciale in via Duni, della scuola elementare, del palazzo per abitazioni di impiegati statali e dell'adiacente Palazzo dell'Economia Corporativa, percorsi lungo i quali si sarebbe sviluppata la prima edilizia residenziale novecentesca. La realizzazione e la sistemazione dei nuovi edifici burocratici e amministrativi imponeva un programma di trasformazioni urbanistiche che offrisse, seguendo un disegno e un progetto di città, suggerimenti alternativi alle prime e approssimative soluzioni che avevano affidato agli antichi conventi, divenuti proprietà del comune, funzioni statali e provinciali.

Nel quadro di un progetto di trasformazione urbanistica e di modernizzazione della città antica, rispettoso dei canoni, allora imperanti, dell'architettura fascista, il risanamento di quella frangia urbana, caratterizzata da un tessuto edilizio povero, minuto e in fase di progressivo degrado, ne avrebbe significato l'arricchimento e la valorizzazione. Il Piano di risanamento (1936) a eccezione dei palazzi Pescarelli e Volpe, abbattuti negli anni Settanta in seguito a interventi urbanistici, prevedeva la demolizione dell'intero isolato che si estendeva tra piazza S. Francesco d'Assisi e largo Plebiscito, allora piazza della Fontana.

Iniziano le prime manomissioni che avrebbero alterato e sfigurato la fisionomia della città sette-ottocentesca. La demolizione implicava la colmata del fossato di protezione della città medievale e la perdita dell'antico rione delle ferrerie, fondaco del ferro e delle fucine della città rinascimentale. Tra il 1935 e il 1936, alla demolizione di una parte del convento di S. Francesco d'Assisi e allo sventramento del sagrato dell'omonima chiesa, segue il progressivo abbattimento della cortina di case sette-ottocentesche: viene dunque tracciata la cosiddetta via dell'Impero, che direttamente si ricongiunge con piazza del Sedile.

Erano gli anni Trenta e Mussolini, giunto a Matera nell'agosto 1936 per inaugurare la strada di circonvallazione che raccordava i due Sassi, impressionato dalle condizioni di vita delle famiglie materane, assicurò che in due anni i Sassi sarebbero scomparsi.

Il vero e reale problema di Matera consisteva, essenzialmente, nel non equilibrio rapporto tra centro urbano e campagna: l'uno gravato dalla preoccupante condizione socio-sanitaria e residenziale, dalla mortalità infantile, dall'elevato tasso della concentrazione umana, l'altra, ampiamente estesa, ma limitata dalla carente utilizzazione delle sue potenziali risorse. Dopo aver attirato l'attenzione dei vari governi che si erano successi, nel 1950, a Matera, Adriano Olivetti affiancava il sociologo tedesco Friedman: i due intellettuali operarono con perfetta sintonia di obiettivi e intenti. La comunità costituiva il nuovo spazio della vita sociale che, progettato a misura d'uomo, avrebbe dovuto dare vita a un modello democratico autogestito con consigli e comitati elettivi, risultato di uno stretto rapporto tra rinnovata gestione politica e nuova pianificazione urbanistica. Il progetto urbanistico di Olivetti concepiva un più equilibrato rapporto tra città e campagna; la creazione di borghi rurali residenziali, dotati di tutti i servizi sociali funzionali alla città, inseguiva l'intento di raggiungere anche sul piano economico e produttivo una maggiore compensazione e stabilità.

Per consentire agli studi su Matera un ulteriore approfondimento si era costituita una commissione di studio con l'obiettivo prioritario della ricerca di aree suburbane alternative all'ipertrofico tessuto abitativo dei Sassi, idonee a favorire il trasferimento degli abitanti ivi residenti. La località identificata, perché rispondente ai requisiti richiesti, fu La Martella. La qualità urbanistica del borgo, dotato anche di diverse strutture di servizio, fecero della Martella un esempio paradigmatico per l'urbanistica più avanzata degli anni Cinquanta.

La riqualificazione del tessuto urbano dagli anni Cinquanta agli anni Sessanta

Immediata conseguenza della legge 619 fu la redazione del Piano regolatore generale a opera di Luigi Piccinato che, negando ai Sassi un ruolo urbanistico e funzionale, fissava le direttrici di sviluppo per l'espansione della nuova città, decretando per gli antichi rioni lo svuotamento e il trasferimento dei suoi abitanti nei nuovi quartieri e nelle borgate rurali.

La progettazione del rione Serra Venerdì e del borgo Venusio fu affidata a Luigi Piccinato, quella del completamento del rione Serra Venerdì, del rione Spine Bianche e del borgo Torre Spagnola sarebbe stata affidata agli esiti di un concorso nazionale. Intorno al centro direzionale della collina di Macamarda i nuovi quartieri dislocati lungo le tradizionali direttrici di espansione della città disegnavano il volto della Matera moderna, quale estensione della città sette-ottocentesca contraddistinta dalla qualità del disegno urbano, se confrontata con il disordinato sviluppo urbanistico di molte altre città italiane.

Con la legge del '67 i Sassi cominciano a proiettarsi nella dimensione di bene culturale, di patrimonio nazionale da conservare e tutelare.


Quadro di Matera
Rappresentazione della Matera


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Ut wisi enim ad minim veniam, quis nostrud exerci taion


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