Castello Tramontano e le fortificazioni materane

 

Nel 1497 re Federico II d'Aragona, per sue necessità di governo, vendè quale feudo la città di Matera al napoletano Giancarlo Tramontano, eletto del popolo e maestro della zecca, per il prezzo di 25.000 ducati (Faraglia, 1880, p. 104).

E tanto per il Tramontano significò l'acquisizione del titolo di conte di Matera, ma per la città significò la perdita della demanialità, cioè perdita di autonomia e di privilegi. La città di Matera infatti, così affermano i cronisti locali, per una tradizione che risaliva ai primi dominatori normanni, era sempre stata o feudo di principi del sangue e di benemeriti della corona, ovvero era stata nel regio demanio.

L'operato del nuovo feudatario poi non fece che inasprire lo stato di soggezione in cui la città era caduta. Infatti egli "si sforzò" di recingere di mura l'intera città, comprendendo in queste nuove mura anche i due Sassi ed una parte delle colline che circondavano la città, e "già cominciò a fare il Castello" (Verricelli, 1595, carta 2 r).

Né l'una né l'altra sua opera riuscì gradita alla città.

     Per quanto riguarda le mura della città, va detto che lo "sforzo" del Tramontano può essere inteso sia nel senso di costruzione ex novo, sia nel senso di potenziamento di una struttura già esistente. Comunque questo sforzo non deve aver prodotto una opera grandiosa dal momento che queste mura non vennero poi tenute in molta considerazione, quando non vennero del tutto ignorate.

Infatti lo stesso Verricelli, nel descrivere l'aspetto che la città di Matera aveva nel 1595, dice che mentre la Civita era dotata di mura, mentre la piazza ed i magazzini erano "mezi murato", i due Sassi ne erano del tutto sprovvisti. Si noti che il Verricelli, talvolta, usa il termine città per indicare la sola Civita, mentre i due Sassi vengono qualificati come "borghi", cioè, nel significato originario del termine, come quartieri urbani cresciuti fuori le mura.

Sostanzialmente identica la descrizione della città fatta quarant'anni dopo, nel 1635, da Francesco De Blasiis:         .

"Questa città, in quanto alla parte murata ch'è il corpo della città, chiamata La Civita, ha cinque porte, anchor che non si serrino per habitare più nelli borghi aperti, che dentro il murato. La prima è nel capo della piazza che per una strada stretta e murata da tutte due le bande, mena alla chiesa matrice della Città, ed in quel stretto sono due porte, chiamate quella di basso la porta di giù o di giuso, e l'altra di sopra la porta di suso. La 2a è pur correspondente alla piazza dell'Arcivescovado, ed è chiamata la porticella, che per una lunga e commoda scala, si cala al Borgo Barisano. La 3a era chiamata Porta di Torre Metellana, o Montegliana, però hoggi si chiama porta della Civita. La 4a si chiama porta Postergola, quasi post tergum, perchè è all'ultimo della città, e di là si cala per li dirupi della gravina per strade molto scoscese [...].

Quale porta posterula al 1632 fu mutata dal luogo di prima, e tirata per l'istessa riviera da cento passi in là, per ampliare il Monasterio di Santa Lucia di donne monache dell'Ordine di S. Benedetto, dentro del quale per ordine dell'Eminentissimo Cardinale Giovanni Domenico Spinola del titolo di Santa Cecilia, a quel tempo Arcivescovo di Matera, col consenso e volontà della città, fu rinchiuso il luogo, e la porta antica della Postergola, e mutata la porta in luogo meno scosceso. La quinta hoggi si chiama la porta delli santi, però anticamente era chiamata la porta o porticella di giudice Perrotto come per istrumento pubblico per mano di Tuccio di Rahone nell'anno 1365, e così la trovo chiamata in altri istrumenti publici, sin all'anno 1452; però dall'anno 1456 per istrumenti publici trovo d'haver mutato il nome, in porta Impia per esserci ivi successa certa briga, ove vi furono ammazzato molte persone, conforme alla tradizione, ed il qual nome lo trovo sin all'anno 511, ma che poi pertoglierli tal nome, vi pinsero molte figure di santi, e perciò fu chiamata porta delli santi, qual nome ancor si dura.

Vi sono ancho altre porte, che menano alla Piazza maggiore della città, delle quali la prima è la porta di Santa Croce, così sempre chiamata, per una chiesa antica ivi vicina, e l'altra hoggi è chiamata porta di Pepice, però anticamente come per l'istesso istrumento del 1456, era chiamata porta del Sambuco. Trovo anco in uno istrumento dell'anno 1386 per mano del sudetto Tuccio di Rahone, che nel Sasso Barisano era un'altra porta, chiamata porta di Teofilo, quale non si può sapere dove fusse, per la mutazione grande della Città nelle fabriche che si sono fatte, come l'istesso dice il Tarcagnota (lib. primo, f. 10 et 11) di molte porte di Napoli" (carta 5 r e 5 v; il manoscritto del De Blasiis reca fitte annotazioni ed aggiunte qui non riportate).

Dunque nel 1635 erano tenute in efficienza le 5 porte della Civita e le due porte della fortezza esteriore, di cui di dirà in seguito, ma non anche le porte delle mura della città. Eppure qualcosa di esse certamente esisteva. Infatti tracce di queste mura si scorgono sia nella veduta di Matera pubblicata nel 1703 nell'opera del Pacichelli sia nella veduta pubblicata nell'opera del Salmon, sia nella veduta di Matera affrescata nel salone dell'arci­vescovado nel 1709, ed anche su vari documenti cartografici. Queste mura, come già le mura della Civita, abbracciavano da un solo Iato la città attestandosi sia a nord che a sud sui dirupi della Gravina o dei suoi graviglioni. Il Volpe così le ricostruisce: queste mura "si recarono in molta distanza dalle antiche. Si lasciarono in esse più porte, a seconda delle diversità delle contrade. Una fu situata al nord, tra il convento degli ex padri domenicani e quello delle claustrali dell'Annunziata, che formava, come tuttodì, la Porta principale. Due al nord-est, una nella piccola piazza di S. Biagio, e l'altra nella strada detta le Croci, dalle stazioni ivi un tempo situate della via crucis. Un'altra all'ovest, ed apriva il cammino alla strada denominata delle Pigne dalla copiosa piantagione di cipressi ivi anticamente esistenti. L'ultima finalmente al sud conduceva alla strada detta Felice, o de' Cappuccini" (Volpe, 1818, pag. 29) (1).

Il castello Tramontano invece, a differenza delle mura, è un monumento grandioso ed incombe sulla città con forte effetto scenografico, Esso fu costruito su un terreno che apparteneva all'Università a spese dell'Università e degli uomini di Matera, Per la sua costruzione si spesero 25,000 ducati. E poiché all'epoca sia la giornata di un uomo che quella di un cavallo era pari a grana 6, si può stimare che per la costruzione del castello occorsero complessivamente, tra uomini ed animali, tra maestranze impiegate nella preparazione e trasporto dei materiali e maestranze impiegate nella costruzione vera e propria, circa 300,000 giornate lavorative, Come dire, a titolo esemplificativo, che 300 uomini e 100 cavalli vi lavorarono per tre anni di seguito.

All'epoca in cui fu costruito il castello Tramontano già vi era in Matera una complessa struttura fortificata nell'ambito della quale, sulla scorta dei documenti di cui disponiamo, bisogna distinguere due "castelli".

Il primo era il cosidetto Castelvecchio, Si trattava in pratica della parte maggiormente fortificata delle mura della Civita e si trovava a cavallo della porta di "suso", dagli attuali gradoni Duomo sino, all'incirca, alla torre Capone.

Il secondo invece si trovava fuori dalla Civita, ed era la parte maggiormente fortificata della fortezza esteriore.

Una ricostruzione abbastanza dettagliata, ma purtroppo non corredata di documenta­zione, dell'aspetto e della funzione che in passato aveva avuto questa fortezza esteriore può ricavarsi dalle cronache deqli autori locali. Si trattava in sostanza di una fortezza esterna alla cinta delle mura della Civita, ma integrata nel sistema difensivo della città Detta fortezza era munita di torri, di due ponti levatoi e di un largo e profondo fossato che la recingeva dal Sasso Barisano al Sasso Caveoso.

Pertanto non era possibile accedere alla Civita, né era possibile passare, se non attraverso i ponti levatoi di questa fortezza esteriore. L'uno di detti ponti levatoi era chiamato della Giombella (o della Giumella), e su di esso vi era la porta di Santa Croce. Si trovava "avanti il largo dove adesso sta la chiesa dei Padri Francescani, a lato del palazzo dei signori Volpe" (Nelli, 1751, carta 5 v). L'altro, detto il ponte di S. Marco, dava alla porta di Pepice e si trovava "vicino le beccarie". Detta fortezza esteriore era collegata mediante una strada sotterranea che correva sotto la Piazza Maggiore, o Piazza Pubblica, oggi Piazza Sedile, al "Castello grande". Cioè, deve intendersi, al Castelvecchio. Tutto lo spazio racchiuso tra il fossato e le mura della Civita, cioè in pratica il castello esteriore e la piazza della città, costituiva nel suo complesso una unica struttura fortificata, e con questa struttura fortificata unitaria era antemurale rispetto alla Civita ed era accessibile solo dalle due porte di Santa Croce e di Pepice. Di contro era del tutto inacessibile dai due Sassi (2).

Questa fortezza esteriore occupava il sito denominato, in vari documenti, "lo Spartivento", cioè il sito che fungeva da altura spartiacque tra il Sasso Barisano ed il Sasso Caveoso, e che si raccordava alle aree in forte pendio del Sasso Barisano da una parte e dal Sasso Caveoso dall'altra.

In tal modo si impediva che qualunque macchina bellica o qualunque tipo di carriaggio potesse accostarsi alle mura della Civita. La fortezza esteriore serviva anche per il controllo dell'unica via di transito di importanza regionale che all'epoca interessava il territorio materano. Cioè dell'unica via di attraversamento del territorio materano che in epoca medioevale era possibile percorrere in ogni stagione dell'anno. Infatti l'unico percorso stradale che si possa tracciare nel territorio di Matera su terreni rocciosi ed asciutti da sud a nord, parallelamente al percorso della Gravina, e si snoda sul ciglio dei suoi più scoscesi pendii.           

Un'altra descrizione del castello esteriore si trova in un protocollo del notaio C. Spinelli relativo ad un atto rogato in data 2 ottobre 1576 appunto nel castello della città di Matera e conservato presso l'Archivio di Stato di Matera. Con tale atto il neo castellano Santos Burgos riceve in consegna dal precedente castellano Ascanio Clemente "detto castello di detta città, numero 21 chiavi delle porte dello stesso castello, una trave e le zeppe sistemate nella torre, con la dotazione di tutte le feriate, del ponte con la catena, il sarto e la carrucola e tutte le altre sue parti e congegni".

Tutta questa complessa struttura fortificata risaliva con certezza ad epoca anteriore al 1268, cioè all'avvento della casa angioina sul trono di Napoli(3). I cronisti locali la attribuiscono al console romano Quinto Metello, ma il Pratilli, attento ricercatore di reperti romani, attribuì il castello esteriore ai lonqobardi (4).

      Il che significa che ogni probabilità detto castello era coevo alle mura della Civita e che     all'epoca in cui la intera struttura fortificata fu edificata i due Sassi erano aree non ancora urbanizzate e sostanzialmente disabitate.

Comunque questa complessa struttura fortificata all'epoca del Tramontano aveva perso la sua originaria funzione ed era solo in parte, ed a mala pena, tenuta in efficienza.

Il Castelvecchio era stato dismesso da tempo. Infatti sappiamo che con privilegio del principe di Taranto Giovanni Antonio Orsini del Balzo in data 3 novembre 1448 "quel tal luogo della città di Matera, che ivi viene chiamato castello" fu concesso ad alcuni cittadini materani perché venisse utilizzato come area edificabile (Gattini, 1882, p. 68). Ovvero, forse sarebbe più esatto dire, per ristrutturazioni e trasformazioni edilizie. D'altro canto la denominazione Castelvecchio, che indica chiaramente una struttura militare ormai cessata, è molto antica e si ritrova già in protocolli notarili che risalqono al 1519 (5). La fortezza esteriore durò di più. Risulta però che nel 1597 la castellania di Matera era già stata del tutto soppressa (6). Il castello esterno fu poi, in buona parte, inglobato nel convento di S. Francesco, nel sito attualmente occupato dalla Banca d'Italia. Apprendiamo anche da Domenico Appio che gli accessi pedonali dai due Sassi a quella che allora si chiamava la Piazza Maggiore, e cioè Via Pennino e l'arco dei Gradoni Municipio dal sasso barisano, erano stati costruiti pochi anni prima il 1701, epoca in cui l'autore scriveva o, comunque, non molti decenni prima (Carta 59). Avanzi del complesso delle antiche strutture fortificate materane sono chiara­mente visibili nella veduta di Matera affrescata nel 1709 nel salone del palazzo arcivescovile. Miccolis, nel sito attualmente occupato dal palazzo Upim.

Ma torniamo al Tramontano ed al suo castello. Ebbene il castello che egli fece costruire è avulso dalla realtà territoriale che lo circonda. Fu costruito fuori e lontano dalla città, su una delle colline che circondano quello che allora ne era l'abitato; contro più che a guardia della città stessa.

L'area prescelta però era elevata si, ma anche isolata rispetto alla viabilità regionale di allora. Per l'accesso al castello fu tracciata una strada che doveva collegare la Piazza Maggiore della città al ponte levatoio del castello stesso. Poiché la quota di arrivo é fissata dal coronamento del muro esterno del fossato, ne scaturisce che detta strada doveva essere in forte pendio. Di conseguenza l'accesso dei cariaggi al castello doveva essere difficile e precario.

D'altro canto la difficile accessibilità del castello Tramontano è anche documen­tata dal fatto che quando si andò a costruire la strada per l'accesso carrabile al pianoro sovrastante la collina del Belvedere, si stravolse il rapporto tra il Castello e l'ambiente circostante. Infatti in quella occasione fu messo allo scoperto il paramento di monte del muro di sostegno del fossato del castello stesso, asportando il terrapieno che quel muro doveva originariamente sostenere. Né appare possibile raggiungere il pianoro del Belvedere con una strada carrabile di pendenza moderata diversamen­te da come si fece in quella occasione.

Ai tempi del Tramontano era dunque estrememente difficile movimentare da o per il castello carriaggi pesanti, e questo, in un'epoca in cui ormai la tecnica bellica era caratterizzata dall'impiego delle artiglierie campali, utilizzate per la prima volta dal re francese Carlo VIII in occasione della sua discesa in Italia nel 1494 e subito divenute efficacissime, indica chiaramente che l'enorme mole del castello costruito dal Tramontano era sproporzionata, se non del tutto inutile, dal punto di vista militare.

Il castello vero e proprio presenta poi elementi progettuali vecchi e nuovi. Il fossato e la notevole altezza del torrione centrale, servono per impedire l'accostarsi delle macchine ossidionali e per rendere inefficace il tiro delle catapulte. Trattasi di elementi mutuati dalla tecnica bellica antecedente l'avvento delle armi da fuoco.

L'enorme spessore delle murature e la ridotta altezza dei due torrioni laterali derivano invece dalle nuove tecniche costruttive. Infatti si era sperimentato che le alte torri erano facile bersaglio delle bombarde, e che il crollo degli elementi murari più alti produceva effetti disastrosi sui difensori. lnoltre si era constatata l'indispensabilità di aumentare notevolmente gli spessori murari. Infatti, a parte l'aumentata potenza delle bombarde rispetto alle macchine neurobalistiche precedenti, i ridotti spessori murari adottati sino all'avvento delle armi da fuoco non erano sufficienti per resistere alle sollecitazioni dinamiche indotte dal rinculo dei cannoni (7).

Inoltre apprendiamo dal Verricelli che il castello fu costruito "al modo del Castel novo di Napoli anzi più superbo". Cioè il Tramontano prese a modello l'antica reggia­fortezza angioina, poi ricostruita dagli aragonesi. Il che significa che il Tramontano intendeva costruire una casa-fortezza e questo, a quei tempi, era già un anacronismo. Infatti a seguito dell'avvernto delle armi da fuoco, come ha osservato il Cassi Ramelli, il palazzo ed il fortilizio, che sino ad allora avevano potuto coesistere armoniosamen­te, si staccarono e quasi si orientarono verso direzioni opposte.

Però il Tramontano "ni fè edificare solo una faciata con uno torrione grande in mezzo et uno per ciascun lato più piccoli"; il che significa che i lavori furono sospesi a metà della costruzione della fortezza e prima che iniziassero i lavori di costruzione degli ambienti per la residenza.

Tutto quanto precede consente di affermare che le mura ed il castello furono costruite con il pretesto della difesa della città, e quindi a spese della Università di Matera, ma in realtà il castello fu voluto, pensato e realizzato dal Tramontano per motivi di prestigio personale. E proprio perché tale, l'opera rimase abbandonata a se stessa prima ancora di essere compiuta, quando il 31 dicembre 1514, Giancarlo Tramontano fu ucciso.

L'atteggiamento che la città assunse nei confronti del castello voluto dal Tramontano, e che di lui conserva il nome, è rilevabile dal privilegio concesso dal Re di Spagna alla città di Matera con la data 31 luglio 1519 in Barcellona. Con questo atto, che consta di nove punti, il re confermò tutti i privilegi che in passato erano stati concessi alla città di Matera e concesse anche nuove agevolazioni di carattere fiscale.

Nello stesso privilegio si legge anche che l'università di Matera colse l'occasione per una supplica del tutto particolare. Infatti dopo aver affermato che nei decorsi anni il conte di Matera aveva cominciato a costruire un castello lontano tre tiri di balestra dalla città, che detto castello si estendeva nei vigneti della città, e che non fu terminato, ma al contrario rimase incompiuto, che detto castello non serve né per offesa né per difesa e che trovasi abbandonato e privo di custodia alcuna, dopo aver tanto affermato l'università di Matera chiese al re l'autorizzazione a demolire e distruggere detto castello, in modo che con le pietre di recupero si potessero riparare le mura della città. Infatti detto castello era stato costruito per l'appunto a spese della città.

Il re rispose che in merito a questa supplica doveva decidere il vicerè (8). Ed il vicerè, evidentemente, non concesse la richiesta autorizzazione. Tant'è che il castello ha continuato a caratterizzare il paesaggio urbano della città sino ad oggi. Con la conseguenza che ad un certo punto i materani, considerato che bene o male si trattava pur sempre di una loro ben impegnativa realizzazione, hanno cominciato ad amarlo.

 

 

 

 

NOTE

 

(1) Il Volpe, senza però addurre alcuna riprova, attribuisce dette mura ai Reali Principi di Taranto, che ottennero il possesso della città di Matera nel 1294, In ogni caso queste mura furono demolite ed ufficialmente soppresse nel 1820. Vedi in ASP, fondo Intendenza di Basilicata, cartella 1015, fascicolo 750.

(2) "e queste due porte corrispondono alla Piazza Pubblica quale a tempi antichi sarea tutta circumdata di mura, senza aver altro adito alli borghi, ed era l'antemurale della città e tutto questo spazio dall'una all'altra di queste due porte, viene circondato da un altro fosso a difesa della città, però d'oggi e comodità di quei che abitano nei pressi si sono fatte molte strade, corrispondenti a detta piazza pubblica o antemurale della città" anonimo annotattore del manoscritto del de Blasis, c, 5r "E queste due porte di S, Croce e di Pepice corrispondono alla Piazza Maggiore della città, quale a tempi antichi non avea altro esito che queste due porte, ed era l'antemurale della città, e tutto questo spazio dalla porta di S, Croce sin a quella di Pepice veniva circondata da un alto fosso, come ancora oggi appare, per difesa della città, nelle quali porte s'entra per ponte; però oqqi per comodità de cittadini che abitano nei borghi si sono fatte molte uscite e strade corrispondenti a questa Piazza maggiore, o antemurale della città", D, Appio, Cronaca di Matera, 1701 c,59 "fu fatta un'altra fortezza, che serviva per antemurale, o sia cittàdella, seu fortezza esteriore, e era munita con torre, fossate e ponti levatoi, da quali si doveva passare per arrivare sotto le mura della città, ed allargo dela Castello Grande (quale largo era ove adesso è la Piazza Pubblica, e non vi erano potteghe, né altre case per abitarvi), e detta altra fortezza esteriore era situata ove adesso sta edificato il convento de' Padri Francescani con tutto il recinto, e giardino, ed all'intorno non solo vi erano dette torri, (siccome ai nostri tempi si vedono alcune vestigia di esse) ma ancora stava detta fortezza circonda­ta da larghe e profonde fossate dall'una all'altra parte; tantoché dove adesso sta la chiesa di detti frati, da detto luogo circondavano le fossate fino a detti due ponti, dove vi erano le porte, cioè quella di Pepice,e quella di S. Croce, avanti delle quali ognuna aveva la fossata con ponti levatoi, siccome adèsso si osservano detti ponti che stanno da detti due laterali delle suddette fossate, e niuno esercito, o che si fosse poteva passare, o venire in città, o sotto il largo del Castello, se non si passava per dette porte …. e da detta fortezza..esteriore yi era una strada sotterranea che corrispondeva Castello grande che stà sotto la Piazza come s'è detto"; N. D. Nelli, 1751 c, 5v e 5r.

3) Infatti nel 1269 re Carlo I d'Angiò, nel provvedere alla nomina dei castellani per i vari castelli esistenti nel regno, nominò tale Enrico Cornuto custode del castello di Matera. Vedi "I registri della cancelleria angioina ricostruiti da Riccardo Filangieri con la collaborazione degli archivisti napoletani”, Napoli 1949-1985, V pago 176, VI pag. 251, VII pag. 203, VIII pag. pag. 281.

(4) Vedi F. M. Pratilli, Della via Appia riconosciuta e descritta da Roma a Brindisi, Napoli 1745, pago 483: "AI di fuori sull'erto è un antico castello, che stimasi opera de' Longobardi, benché i cittadini della passione occupati lo stimino fabrica di Metello consolo, come ancora la città, che sognano essere stata perciò detta Mateola'. Il Pratilli si riferisce chiaramente al castello fuori dalla Civita, e non già, come pretende il Gattini (1882, pag. 2) al castello Tramontano, che si trova parecchio lontano dai confini della città di allora, Meno che mai il Pratilli si riferisce alla torre Metellana, come invece pretende il Volpe (1818, pago 16). Peraltro la torre Metellana, o Metellura, o Meteolana, o Montigliana, come è anche chiamata nei documenti, non ha assolutamente nulla di romano. Si noti infine che nel Verricelli, tra l'altro, si afferma 'anno 669: "isti reges (cioè i re longobardi) Apuliam totam dominave­runt ... e da questi tempi la città di Matera incominciò et oggidi si serve et costuma vivere precise nelli matrimoni la legge di longobardi" (1596, carta 22 v).

5) Vedi R. Sarra, La Civita ed i Sassi di Matera in ASCL, (1939): notar Nicola di notar Eustachio, 19 febbraio 1452: 'in corpore civitatis Matere in Civita in loco Castri ... iuxta murum civitatis Matere'; notar Nicola di notar Eustachio, 1 agosto 1454: 'in Civita in loco Castri ... iuxta murum civitatis Matere"; notar Pietro Paulicelli, 18 maggio 1519: "in Civitam civitatis Matere ubi alias fuit castrum, iuxta domos ipsius domini Loysii Malvindo, iuxta menia universitatis super portam universitatis inferiorem"; notar Roberto Agata, 9 agosto 1533: "in Civitam civitatis Matera bi alias fuit castrum, iuxta domos ipsius domini Loysii Malvindo, notar Marcantonio Sanità, 20 febbraio 1535: "in sala domorum commende S. M. de Pizano in castro veteri"; notar Vincenzo Gambara, 24 novembre 1572: "in castro veteri in pictagio S. Nicoli"; ed infine citiamo notar Leonardo Antonio Caputo, 21 agosto 1575, carta 492v: "in castro veteris dicte civitatis in pictagio majoris Ecclesie et proprie ubi dicitur la porta di Suso. Si ricorda infine che é proprio a questo saggio del Sarra che si deve la ricostruzione del tracciato delle mura della Civita.

(6) Infatti Scipione Mazzella nell'elencare, nel 1579, i "Castella, e fortezze di presidio che sono nel regno di Napoli, con il numero de' soldati che vi stanno in guardia, con il soldo delle paghe che importa il mese", mentre enumera anche i castelli per cui vi era il solo castellano, non vi include il castello di Matera (S. Mazzella, Della descrizione del regno di Napoli, in Napoli, nella stamperia dello Stigliola a Porta Reale, 1597).

(7) Per una storia della tecnica costruttiva delle fortificazioni vedi A. Gassi Ramelli, Dalle caverne ai rifugi blindati. Trenta secoli di storia dell'architettura militare, Milano 1964.

Per una descrizione delle fortificazioni angioine ed aragonesi nel regno di Napoli vedi L. Santoro, Castelli angioini ed aragonesi nel regno di Napoli, Milano, Rusconi Immagini, 1982.

Per una storia degli apprestamenti difensivi in Puglia dal periodo prenormanno al periodo post aragonese, vedi i saggi di M. Sanfilippo e di G. Fuzio in La Puglia tra medioevo ed età moderna: città e campagna, Electa Editrice, Milano 1981. Detti autori ignorano però che all'epoca Matera era parte della Puglia.

(8) "Item cum retro decursis annis quondam Comem Civitatis Mathere, et sumptibus eiudem Civitatis, et hominum coeperit edificare castrum prope dictam civitatem quantum iactum balistre ter estenditur intus vineas eiusdem civitatis, quod non fuit perfectum, sed ad eo extat incompletum, quod non valet, neque ad offendendum, neque ad defendendum, et axtat absque custodia aliqua, uti domus plana; Propterea Publica Universitas Civitatis Mathere supplicaI Catholicis Mayestatibus vestris ut dignetur gratiose sibi concedere, et permittere, ut ipsa, eiusque homines possint dictum castrum demolire, et destruere, et de lapidibus eius re parare moenia Civitatis predicte Mathere, cuius expensis fabbrica ipsa constructa fui!". AI che il re rispose: "Placet Regis Majestatibus, quod vice-rex de supplicantis se informet, et opportune provideat, ut sibi videbitur".

Una trascrizione completa del privilegio reale trovasi in "Raccolta di diplomi e carte autorevoli spettanti o direttamente o indirettamente alla città di Matera, fatta da me Canonico Penitenziere Francesco Paolo Volpe", manoscritto del Fondo Gattini presso la biblioteca del Museo Ridola di Matera, carte 264 e segg.

 

 



Castello aragonese di Taranto



Castello aragonese



Particolare della merlatura di un castello aragonese



Particolare del ponte di una castello dell'epoca



Tipico castello aragonese



Particolare di una torre aragonese