CENNI STORICI SUL PALAZZO DEL SEDILE

La prima notizia circa la presenza di una sede municipale vera e propria a Bari si trova in un documento datato 1466 a firma del notaio Giovanni de Lutiis, citato dallo storico barese Giulio Petroni, nel quale viene riportata l’esistenza in Piazza Mercantile di un theatrum (nel significato di luogo di riunioni e non di spettacoli), dove gli amministratori comunali si riunivano per discutere degli affari della Università.

E’ fin troppo chiaro il riferimento al Palazzo del Sedile che oggi conosciamo e nel quale in quei giorni i decurioni incaricarono tali Tommaso de Cariis e Matteo di Rainaldo di recarsi a Milano per ottenere da parte del Duca Sforza, al quale la città di Bari era stata di recente donata dal Re Ferrante d’Aragona, la conferma dei preesistenti privilegi.

Lo storico però probabilmente si contraddisse ( o forse si tratta di nuovi lavori da effettuarsi su un immobile preesistente, pratica molto spesso adottata, ndr) quando riferì, in un altro punto della sua “Storia di Bari”, che il seggio fu costruito dall’architetto Nicolantonio Bonafede, a seguito di convenzione stipulata con i Sindaci, davanti al notaio Vito de Tatiis, in data 28 Settembre 1543.

Il palazzo, infatti, nel 1543 già esisteva non solo perché risulta dall’atto del 1466, ma anche perché, il 7 giugno 1532, con un atto dello stesso notaio de Tatijs, l’Università aveva contrattato con altri maestri muratori l’esecuzione di lavori nel Seggio.

In questo palazzo risiedeva  la Cancelleria comunale e si sbrigavano le faccende pubbliche.

Qui prendevano possesso della carica i magistrati comunali neo-eletti: i Sindaci nelle ore del mattino e il mastro giurato – responsabile dell’ordine pubblico – nelle ore pomeridiane.

Nelle sue sale si riuniva per deliberare il Parlamento cittadino, convocato con il suono della campana della Cattedrale e per mezzo del pubblico banditore; si svolgevano le pubbliche gare e le udienze della regia corte, ossia il potere politico rappresentato da Governatore della città che amministrava anche la giustizia con l’assistenza di un giudice assessore.

Nel 1601 si verificò una grave sciagura. Tutto ebbe origine da un piccolo incendio sviluppatosi in Piazza Mercantile, nel magazzino di un certo Cozzoletti, che si propagò molto rapidamente alle case che occupavano, insieme a questo, la zona di accesso alla piazza.

Il fuoco attaccò presto anche il palazzo dell’Università, nonché il vicino arsenale, dove si custodivano la polvere da sparo e le armi per la difesa della città.

A poco servì il pronto intervento dei due Sindaci e di altri volenterosi accorsi nel tentativo di trasportare altrove gli oggetti più facilmente combustibili: alcuni barili rimasti nel rogo esplosero con tanta violenza da rovinare molti edifici, compresa la casa comunale, danneggiando inoltre costruzioni più lontane e provocando la morte di oltre 60 persone, travolte dalle macerie.

Lo scoppio tremendo, causato dalla polvere da sparo, determinò dunque anche il crollo pressocchè totale del palazzo municipale: ma gli amministratori del tempo riuscirono in breve tempo a ricostruirlo, come ricorda una lapide, fatta incidere nel 1602 dai Sindaci Nicola Donato Incuria e Pietro Ponzo, per tramandarne l’avvenimento.

In merito alla ricostruzione, dal verbale di riunione tenuto dalla Università il 26 marzo del 1602, risulta che vi fu un dibattito sulla necessità di far subito ricostruire il Seggio,la Muraglia e il deposito delle polveri.

I decurioni pregarono il Governatore della città di far subito preparare il progetto da un buon Ingegnere e invitarono i Sindaci a far riparare il Seggio da “domane avante”. I sindaci rispettarono la volontà del Consiglio di dare subito inizio ai lavori, visto che, in data 25 Aprile 1602, risulta stipulato un contratto con tale Domenico di Procaccio, che doveva fornire i tufi occorrenti per la esecuzione delle opere.

Un paio di anni dopo (1604), stando alla testimonianza di Antonio Beatillo, gli amministratori del Comune fecero erigere un piccolo campanile sulla sommità del palazzo e vi fecero anche installare un orologio.

Da rilevare che la meraviglia vista per la prima volta in Puglia non era l’orologio in se stesso, perché sin dal 1536 il Comune aveva già fatto installare un orologio sulla torre camapanaria di S.Nicola, bensì quella che l’orologio suonasse le ore ed i quarti.

A tutt’oggi si posseggono i disegni che riproducono la facciata dell’edificio e l’aspetto del salone principale del Sedile quali si presentavano nel XVIII secolo. 

Nella sala delle riunioni, sulla parete difronte all’entrata, era affisso un antico quadro di S.Nicola. C’erano poi tre dipinti con altrettanti stemmi: quello reale al centro, quello della città di Bari e quello della Provincia ai due lati.

L’attività del sedile come sede comunale cessò nei primi anni dell’ottocento, quando il municipio si trasferì nella vicina strada che, da Piazza Mercantile, va verso la chiesa di S.Nicola e che, da allora, prese il nome di Via Palazzo di Città.

Il Sedile venne allora adibito a teatro pubblico, funzione che assolse fino al 13 Luglio 1835, quando una minaccia di crollo interruppe bruscamente lo spettacolo in corso.

In base a quanto risulta dal carteggio dell’Archivio Storico Comunale, si sa che il Sindaco della città, conte Massenzio Filo, fu estremamente preoccupato dell’accaduto perché, dopo alcuni accertamenti tecnici disposti dall’Intendente, era stato proprio lui a far riaprire il teatro al pubblico prima di quella serata.

Si affrettò pertanto a redigere una dettagliata relazione del fatto, premurandosi di farla arrivare all’Intendente, che era allora Giordano de’ Bianchi Dottula, Marchese di Montrone.

Tale relazione, che tuttora esiste agli atti dell’Archivio di Stato, ci aiuta a chiarire parecchi interessanti particolari sull’argomento, che anche nella citazione del Petroni è descritto in termini non  certo rassicuranti, sdrammatizzandone in parte il contenuto.

Fra i particolari si può ricordare che l’incidente ebbe luogo due ore dopo il tramonto, ossia verso le 20.00 attuali, che la sala era occupata da più di 250 persone e che l’allarme urlato da qualche turbatore trovò facile esca nella generale prevenzione che l’edificio fosse pericolante, e che “tutto fu sedato in men di un quarto d’ora, e l’ordine pubblico restò nella primitiva tranquillità”. Nulla quindi, in sostanza, di veramente serio e preoccupante.

Del resto il Sedile, dopo quasi due secoli scarsi, è ancora lì in piedi, sia pure rabberciato con interventi differenti.

Il Sindaco Filo concluse la sua esposizione rendendo noto all’Intendente di aver fatto eseguire – come si è detto – gli accertamenti tecnici da lui ordinati il precedente 10 luglio e di essersi convinto della inutilità di sostenete la non lieve spesa di trecento ducati, richiesti per le riparazioni, in quanto la gente sarebbe rimasta sempre preoccupata.

Esprimeva infine l’intenzione di chiudere il teatro, rimettendosi comunque alle definitive decisioni dell’Intendente.

Nei giorni successivi, l’Università conferì agli architetti Mastropasqua e Fallacara l’incarico di procedere a un attento sopralluogo e, ricevuta la loro relazione tecnica, la inviò all’Intendente.

Il 25 Luglio, quest’ultimo invitò il Sindaco a riunire il Decurionato per l’indomani per discutere la questione sotto ogni suo aspetto.

Per comprendere quanto la faccenda fosse complicata e perché l’Intendente ne richiedesse una trattazione approfondita, va tenuto presente che, sin dal 1823, il Comune aveva venduto il Sedile ad un certo Domenico Fiore per 3.645 ducati, incassandone subito appena 2.000, e che il 26 Aprile 1824 lo aveva preso in affitto per 260 ducati l’anno, allo scopo di continuare a farvi funzionare il teatro.

Il Fiore si era contemporaneamente impegnato a saldare il residuale debito di 1.645 ducati, solamente quando l’immobile gli fosse stato finalmente consegnato in piena disponibilità.

Il 14 Luglio 1831, il Decurionato aveva ancora una volta mutato parere, decidendo di restituire al Fiore i 2.000 ducati da lui pagati nel 1823 e di riprendersi il Sedile, ma nel 1835 non se n’era fatto ancora nulla.

Il Decurionato, in ottemperanza all’ordine dell’Intendente, si riunì dunque puntualmente il 26 Luglio 1835 e,prima di ogni altra cosa, ascoltò la lettura della perizia redatta dai due architetti Mastropasqua e Fallacara prendendo atto che le lesioni erano di tale entità da non lasciare dubbi sulla inevitabilità del crollo pur non potendo precisare quando ciò sarebbe accaduto.

Fu altresì chiaro che era indispensabile far demolire subito le strutture in legno, fatiscenti, per evitare ulteriori danni a cose o persone.

Il decurionato continuò ad occuparsi marginalmente, nei mesi successivi, di altre questioni riguardanti la sorte dell’ antico palazzo del Sedile: il 21 Agosto 1835 trattò infatti della vendita del legname ricavato dalla demolizione delle vecchie strutture teatrali, il 7 Settembre 1835 riprese in esame la faccenda relativa al riacquisto dell’ immobile decidendo di soprassedervi fino a quando non si fosse stabilito dove erigere un nuovo teatro, il 12 Ottobre 1835, infine, deliberò di disdire l’ affitto perché il proprietario Fiore si rifiutava di eseguire le opere di consolidamento dell’ edificio.

Il problema più importante -come del resto era stato ripetutamente evidenziato in seno al Decurionato sin da quando l’ attività teatrale del Sedile era in pieno svolgimento, prima della sera del 13 Luglio 1835 – rimaneva però quello di dotare la città di un nuovo teatro, anzi di un vero e proprio teatro che si confacesse al decoro di Bari e alle esigenze culturali della popolazione.

Si nominò, nell’ adunanza del 16 Settembre 1835, una deputazione che studiasse a fondo la situazione e avanzasse proposte concrete in merito.

Da questa iniziativa ebbe origine l’ edificazione del teatro comunale e, in un certo senso, del Palazzo di Città fuori dalla città Vecchia.