In assenza di fonti letterarie riferibili al sito la
storiografia locale soprattutto ottocentesca ha generalmente offerto della
città immagine di una polis e di una urbis individuabili nelle
componenti demiche e amministrative. Come si è visto risale almeno all'Età del
Bronzo l'abitato della Civita e dalla fine del VII secolo insistevano nella
stessa area, utilizzando precedenti strutture, più nuclei d'abitato indigeni
con necropoli nelle pertinenze, successivamente ellenizzati. Tutta l'area
mostra le caratteristiche di una sostanziale omogeneità diversamente dal Sasso
Caveoso, dove la episodicità dei rinvenimenti induce a supporre la presenza di
nuclei ubicati a qualche distanza.
Si può ritenere che Matera in età greca e romana non dovette
essere luogo territorialmente rilevante, ma neppure periferico, prima rispetto
al sistema urbano articolatosi sulla costa ionica con la colonizzazione
magno-greca, poi rispetto a quello imposto dalla strategia di controllo
territoriale romana.
La via Appia, passando per Venosa, proseguiva per Brindisi
escludendo le zone più interne; confiscate le terre a vantaggio dell'ager
publicus, soltanto in poche zone le colture mantennero carattere intensivo,
mentre grandi estensioni territoriali versavano in stato di grave degrado,
inelvatichite e desertificate dall'incuria.
Non così drammatica appare la situazione di Matera, che vari
tratturi collegavano il tracciato dell'Appia, consentendole di comunicare con i
centri pugliesi. Le conseguenze dell'organizzazione economica latifondistica
debilitarono dunque il centro, che si contrasse nella parte sommitale della
Civita. Il Sasso Caveoso e l'altro, il Barisano, rivestiti a tratti da un folto
strato di vegetazione e da spuntoni di roccia, non erano ancora abitati se non
in forma dispersa e dovevano costituire una difesa per quanti erano arroccati
sull'acropoli naturale della Civita. Bisognerà attendere le testimonianze di
età medioevale per valutarne le fasi del popolamento, conseguente alla crescita
demografica che avrebbe portato la Civita a debordare extra moenia.
La brevità della trattazione è dovuta al fatto che la città
di Matera va considerata non come un unico centro urbano ma come un insieme di
piccoli centri rupestri.
III. LA CITTA' MEDIEVALE
La città di Matera ha iniziato a vivere la sua fase
medievale della sua storia non prima dell'VIII-IX secolo. E' con l'occupazione
longobarda del Mezzogiorno che Matera comincia ad affacciarsi con più precisi
contorni all'interno delle vicende che videro questo ceppo etnico contrapporsi
ai dominatori di Bisanzio.
Comunque a metà dell'VIII secolo Matera molto verosimilmente
risulta inserita già nella rete gastaldale del ducato; nella divisione del
ducato stesso tra Benevento e Salerno (849) e tra Salerno e Capua (860) la
città appulo-lucana entrò nell'orbita di Salerno insieme con Taranto, Acerenza
e il Latiniano. Ma la fedeltà di Matera al fronte longobardo non durò a lungo,
se poco più di vent'anni più tardi, nell'888, troviamo i bizantini materani
schierati con Ladone contro il nuovo signore di Capua, Atenolfo, che si era
impadronito del potere con la violenza.
L'assorbimento nell'orbita normanna fece riacquisire a
Matera un rilevante protagonismo politico-amministrativo. Nel 1064 Matera
risulta saldamente in mano di Roberto dei Loffredi, una famiglia che per circa
un settantennio giocherà un ruolo non solo a Matera, ma anche nel regno. Il
XIII secolo segna alcune tappe importanti nella vita della città: innanzitutto
la definizione della capacità contributiva per quanto riguarda la manutenzione
del castello emanato da Federico II; inoltre l'elevazione nel 1203
dell'episcopato materano a sede arcivescovile con la costruzione della nuova
Cattedrale. Il governo angioino del Regno basato sul contributo dei signori
feudali e sul controllo del sovrano attraverso l'apparato della burocrazia
portò a una fase di sostanziale stabilizzazione della città tra XIII e XIV
secolo, anche perché preminente interesse degli angioini sia il mantenimento
sia l'aumento della pressione fiscale. A cavallo tra la prima e la seconda metà
del secolo fecero il loro ingresso nella città gli Ordini mendicanti: i
Francescani dopo il 1343, i Domenicani intorno al 1360.
Gli esiti urbanistici
All'interno del contesto storico delineato si colloca lo
sviluppo urbanistico al quale fu interessato il microcosmo materano fortemente
condizionato dalle caratteristiche del territorio e dalle peculiarità
geomorfologiche dell'habitat.
La Matera longobarda nelle sue componenti e nel suo ordito
urbano sino al IX secolo sembra una realtà evanescente, inafferrabile, più
intuita che verificabile nei suoi spazi strategici, abitativi e sociali. Con il
IX-X secolo il nucleo urbano conosce forme meglio definite riportando von più
nitidi contorni alla ribalta quel sito della Civita sul quale si attesterà la
parte più consistente dell'abitato prima dell'espansione del Sasso Barisano e
poi verso il Caveoso.
Ma è con l'XI secolo che la realtà urbana di Matera può
considerarsi a tutti gli effetti ampiamente definita nelle sue linee di
tendenza in una interazione sempre più stretta tra la Civita e i Sassi. Il XII
secolo vedeva ormai Matera attestata sui due poli urbanisticamente complessi e
vicendevolmente integrati della Civita con la Cattedrale, il castello, il
monastero di S. Eustachio, e i Sassi con gli spazi vicinali che ne scandivano i
complessi abitativi muniti di pozzo, scale, canalizzazioni, con le chiese
rupestri e con il monastero delle SS. Lucia e Agata alle Malve.
Le grotte dei Sassi acquistarono tra la prima e seconda metà
del XIII secolo un valore sociale ed economico sconosciuto ai secoli
precedenti; la facies urbana al tramonto del XIV secolo era ormai
definita in tutti i suoi aspetti. La Civita con gli edifici di maggiore spicco
istituzionale e architettonico, protetta da una cinta muraria munita di porte;
i Sassi divisi in pittagi, cioè aggregazioni rionali, scanditi dalle unità
abitative delle vicinie facenti capo a un luogo di culto, il quartiere di nuova
espansione che si svilupperà, ancorché fuori delle mura, in una marcata
conurbazione con la città medievale.
IV. LO SVILUPPO URBANO IN ETA' ARAGONESE
L'espansione della Civita
L'evoluzione urbana di Matera nel periodo compreso tra la
seconda metà del XIV secolo e i primi decenni del XV non presenta significative
trasformazioni del tessuto insediativo medievale, come negli altri centri
italiani ed europei.
Nel 1419 la regina Giovanna II reintegrava Matera al Regio
Demanio, affidando il governo della città ai Sanseverino. Tornata ancora al
Demanio, però, essa fu temporaneamente feudo di Giovanni Antonio Orsini Del
Balzo, principe di Taranto; nonostante l'impegno assunto da Carlo VIII di
mantenerla nel Regio Demanio, la contea veniva posta in possesso di Gilberto di
Brunswich, nominato anche duca di Lecce. Alla morte di questi, nel 1496,
l'investitura della contea vacante toccò al napoletano Giovan Carlo Tramontano.
Fulcro dell'assetto urbano in questa fase è ancora la
Civita, qualificata dalla presenza della Cattedrale duecentesca e del castrum
normanno abbattuto nel 1448, non assolvendo più alcuna funzione difensiva e presto
sostituito da abitazioni private, non solo gentilizie. Alcune tra le più
facoltose famiglie dell'aristocrazia locale, essendo ormai la Civita quasi del
tutto urbanizzata, scelsero quest'area edificatoria per erigere o ristrutturare
le proprie residenze, accanto alle quali altre sarebbero sorte più tardi, in
quel clima di fervore edilizio che caratterizzo nella città il XVI secolo. Si
tratta dei Firrau, dei Malvezzi, dei Santoro.
Lo sviluppo extrameniale
E' a partire dal XV secolo che Matera, conseguentemente a
una serie di congiunture, come la maggiore facilità di accesso ai mercati o
l'incremento dell'industria della seta e del ferro lavorato, attraverso una
fase di più intenso dinamismo economico e di crescita demografica, che la porto
a contare da 7000 a 12000 abitanti.
Questi due fenomeni, congiunti, agirono nel senso di una
risistemazione urbana dei Sassi, dove aumentò notevolmente il numero delle
abitazioni di cui si infittirono le schiere, seguendone le curve di livello e
gli abbozzi di strade. E' la fase storica in cui i vicinati cominciarono ad
acquisire il ruolo di nodi connettivi del tessuto urbano dei Sassi e
specularmente una funzione baricentrica nell'organizzazione della vita
domestica e sociale degli abitanti.
L'articolazione urbana nell'orizzonte cronologico del XV
secolo, pertanto, confermava e arricchiva il tessuto medievale della città
organica, con ambiti pubblici altamente qualificati nell'esercizio delle
funzioni sociali, commerciali e religiose. Quanto alle tipologie edilizie dei Sassi,
esse sono assai elementari, presentando un vano unico oppure sommato ad altri
in senso orizzontale o verticale, scavato nel tufo o costruito all'esterno
seguendo una regola di tipizzazione degli elementi strutturali. Due muri
sostenevano la volta a botte, mentre il fondo dell'abitazione era costituito
dalla roccia stessa, compatibilmente con la struttura orografica del sito.
Sullo sfondo di queste architetture essenziali dei Sassi, risaltano le
residenze gentilizie, evidenti per la più complessa volumetria degli edifici.
Le cause storiche che indussero sia l'espansione edilizia
sia l'ampliamento della cinta daziaria vanno individuate sia nel crescente dinamismo
economico sia nella crescita demografica che investì la Terra d'Otranto. Su
tale processo incise senza dubbio il movimento migratorio che portò nell'area
materana gruppi etnici serbo-croati ed ebrei.
V. LA RIQUALIFICAZIOE URBANA CINQUECENTESCA
Un nuovo polo dello sviluppo urbano: piazza del
Sedile
Punto nodale della riqualificazione urbana cinquecentesca si
può ritenere senz'altro la piazza Maggiore, detta del Sedile. Già espressione
di consolidate funzioni economico-produttive e religiose, a partire dal XVi
secolo la piazza assunse anche quello di centro politico-amministrativo e
giudiziario, avendo accolto l'edificio delle carceri con la sede del
governatore e, dal 1575, il Sedile, cioè il nuovo palazzo municipale
dell'Università. Di particolare interesse è l'attività svolta negli anni
1573-1575 e in particolare la documentazione relativa alla vendita con cui
l'università cedeva al nobile Jacomo Venusio alcuni locali che aveva in
burgensatico nella Civita, e in cui edificò il proprio palazzo, costruito tra
il XVII e il XVIII secolo alle spalle della Cattedrale. Si tratta di uno dei
più interessanti esempi di architettura residenziale, espressi dalla
committanza aristocratica tra il Sei e il Settecento, nella Civita e nelle sue
pertinenze, richiamandosi agli stilemi architettonici e culturali contemporanei
d'ascendenza napoletana.
Contiguo all'area di Piazza Sedile, anzi tracciato in
posizione baricentrica rispetto ad essa, è l'asse urbano principale che, da un
lato, si andava irradiando in direzione della fontana posta all'ingresso della
città del Piano e, dall'altro, si congiungeva alla salita della Cattedrale. Lungo
l'asse viario che si andò definendo si apriva infatti la porta Pepice e ciò
farebbe supporre che l'attuale via delle Beccherie ripercorra il precedente
tracciato della strada d'accesso alla città attraverso questa porta. Via delle
Beccherie rappresenta uno dei primi punti di innesto con il Piano che inizia a
definirsi oltre la Civita, mentre i Sassi non appaiono più borghi esterna ad
essa.
VI. LA CRISI DEL SEICENTO
Gli esiti urbanistici della Controriforma
Il passaggio dalla seconda metà del Cinquecento alla prima
metà del Seicento è segnato da una sostanziale continuità e omogeneità dei
processi economici, politici e sociali, che denunciano una lunga fase di
recessione e di crisi. Anche la dimensione urbanistica non registra nuove
impostazioni progettuali, ripiegando sulla riproposizione dello schema urbano
trasmesso dall'epoca precedente, variato solo in parte per rispondere al
naturale movimento di crescita della città, ma privo di alcun elemento
realmente innovativo.
Fino al XVII secolo si può ritenere che Matera conservasse
identità di città dell'immagine speculare offerta dai Sassi e dal Piano, non
ancora esteso significativamente oltre la Civita; tuttavia proprio al Seicento
risalgono i primi segni della successiva evoluzione urbana, proiettata
decisamente oltre i Sassi. Un momento significativo di questa svolta fu la
costruzione del seminario (1668-1672) voluto da monsignor Vincenzo Lanfranchi,
arcivescovo di Matera, cui è intitolato. Da questo primo coagulo di giustapposizione
Piano-Sassi presero l'avvio altri episodi di architettura religiosa e di
architettura civile borghese, ma anche popolare.
Così, mentre l'assetto urbano della città alta si arricchiva
di episodi edilizi e urbanistici significativi del clima e dello stile del
tempo, veniva parallelamente a crearsi una quinta muraria occultante i Sassi,
che, a partire da allora, si sarebbero configurati per la società aristocratica
e borghese come un mondo a parte.
Il trasferimento di Matera in Basilicata ebbe come conseguenza
l'evoluzione della città a sede della Regia Udienza; la ripresa demografica fu
proprio conseguente all'evento istituzionale del 1663, ma la dinamica più
significativa in atto nella vita urbana fu quella economica, perché la città
mutuò dalla provincia di nuova appartenenza la tradizionale vocazione
agricolo-pastorale, piuttosto che imprimervi il tratto imprenditoriale che i
pregressi contatti con la Puglia levantina e mercantile le avevano fino a quel
momento conferito.
VII. L'ESPANSIONE EDILIZIA DEL SETTECENTO
Il Piano e i Sassi: i due volti della città
Se nel XVI secolo una parte della città era complementare
all'altra, nel XVIII l'identità urbana si era ormai inesorabilmente perduta,
poiché i Sassi avevano cessato di vivere in unità dialettica con il
Piano.
Sulla base del Catasto onciario del 1732 la città appare
suddivisa in 62 contrade; nel Caveoso, dove queste si svilupparono secondo
moduli circolari, si evidenzia una maglia più fitta di abitazioni, sia
edificate che in grotta. Si rileva invece una più bassa densità edilizia nel
Barisano, dove le contrade si svilupparono a terrazze allungate e le abitazioni
risultarono più distanziate tra loro, meno che in quella dei Lombardi, nucleo
d'antica espansione. Le residenze aristocratiche e borghesi dei Gattini, dei
Malvezzi, dei Venusio, dei Ferraù-Giudicepietro, oltre sulla Civita e lungo via
Duomo si snodarono intorno a piazza del Sedile e in contrada Orto del Duca, che
è l'attuale via Ridola.
Le zone in cui si rileva una maggiore densità abitativa non
sempre si identificano con quelle più estesamente edificate, come lascia
intuire l'elevata media di abitanti per fuoco. In molti casi, infatti, due o
tre nuclei familiari convivevano con grave disagio per quanti subivano tale
condizione.
La definizione di un nuovo perimetro urbano
A definire i margini superiori dei due Sassi, contenendone
definitivamente l'espansione edilizia verso l'esterno, furono ristrutturati e
in parte riedificati la chiesa e il complesso conventuale agostiniano e la
chiesa di S. Rocco con il convento annesso dei Riformati, ai margini del
Barisano. Determinante per la proiezione urbana ottocentesca, in quanto avrebbe
posto le premesse del successivo sviluppo e dello spostamento degli interessi
economici verso nord, è la possente costruzione del convento della SS.
Annunziata (1748), che avvia il prolungamento dell'asse urbano lungo il quale,
poco più tardi, sarebbe stata edificata la chiesa di S. Francesco da Paola
(1774). Sorto immediatamente al di fuori della porta principale, nella contrada
della Fontana alla torre l'edificio veniva a qualificare sul piano urbanistico
un luogo d'antico insediamento da parte delle comunità religiose.
Ultima, ma non ultima fase, nel processo d'espansione
settecentesca è l'urbanizzazione della piazza della Fontana che trova i
referenti architettonici più imponenti nel convento e nella chiesa di S. Lucia.
Come già piazza del Sedile piazza della Fontana, nuova agorà
di Matera, aveva esordito come sede commerciale, ospitando per sei giorni
l'importante fiera di S. Lorenzo. Tra il XIX e il XX secolo, accogliendo il
palazzo municipale e, poco più avanti, la sede del Palazzo di Giustizia, piazza
della Fontana sarebbe diventata eminente luogo urbano delle funzioni politiche
e istituzionali.
VIII. L'ASSETTO URBANISTICO DELLA CITTA' DAI BORBONI ALLA
FINE DEL SECOLO
Dalla rivoluzione partenopea del 1799 all'Unità
d'Italia
I primi anni del secolo si aprono per Matera sull'onda degli
avvenimenti seguiti dalla rivoluzione partenopea del 1799. La città ebbe
anch'essa i suoi disordini: vi si abbatté e distrusse tutto ciò che
simbolicamente rinviava al potere reale, si demolì la statua di Carlo III e si
eresse l'albero della libertà nella piazza Maggiore. La massa di
contadini, impreparata politicamente, si rivelò incapace di intendere il
significato di quegli avvenimenti, presa com'era dal problema della materiale e
quotidiana sopravvivenza, gravata dal peso di una miseria più che secolare che
si rispecchiava nelle abitazioni-grotta dei Sassi.
Nel decennio francese di Giuseppe Bonaparte prima, di
Gioacchino Murat poi, con la promulgazione delle leggi eversive della
feudalità, che ripartiva le terre demaniali e le terre confiscate alle chiese,
ai conventi e ai baroni tra i proprietari, l'Università e i singoli cittadini,
chi riuscì a virare il nuovo a proprio vantaggio fu ancora la borghesia rurale
che consolidò la propria ascesa sociale potendo disporre di strumenti
legislativi e del potere politico necessari per accedere alla proprietà della
terra.
Nonostante l'accoglienza riservata dal popolo materano a
Giuseppe Bonaparte (30 maggio 1806), il successivo 8 agosto veniva emanato il
decreto che ratificava la spartizione del Regno in tredici province e
attribuiva la sede della Regia Udienza a Potenza. Cessato, con l'avvento dei
francesi, il primato di Matera sulla regione Basilicata, cessa anche per la
piazza Maggiore, o del Sedile, il ruolo cardine di centro urbano: la nuova agorà
si sposta verso la fontana ferdinandea. Il trasferimento, poi, di un certo
numero di famiglie appartenenti a funzionari, impiegati e gendarmi della Regia
Udienza, i cui redditi certamente concorrevano a favorire la circolazione
monetaria, diede un duro colpo all'economia locale, già seriamente provata
nelle sue risorse.
La vendita all'asta dei beni di proprietà del clero lasciò
comunque irrisolti i numerosi problemi economici e sociali del Mezzogiorno.
Aumentando il carico dei tributi da versare al pubblico erario, peggiorarono le
condizioni economiche generali, provocando il fallimento dei ricchi acquirenti,
il deprezzamento dei fondi, la perseverante miseria dei coltivatori affittuari
o braccianti. In tale contesto si accentuò il problema dei Sassi, dove
l'urgente bisogno di case aveva calamitato un numero sempre più cospicuo di
abitanti. La laicizzazione della manomorta se per un verso aveva favorito
l'arricchimento della vecchia e nuova borghesia materana, per l'altro aveva provocato
l'inevitabile decadimento delle condizioni di vita del popolo contadino.
Quest'ultimo, privo di mezzi autonomi di sussistenza, dovette convertire a uso
abitativo anche quegli ambienti di servizio scavati nel tufo, sedi in origine
di stalle, magazzini, cantine, e pertanto del tutto inadeguati ad accogliere le
funzioni di dimora per l'uomo.
Le adduzioni dell'ottocento e la fisionomia laica
della città
Intanto, il progressivo processo di laicizzazione,
rafforzando la connotazione liberale della città, aveva inoltre portato nelle
mani della borghesia quelle istituzioni educative ed economiche che fino ad
allora erano state prerogativa esclusiva del clero. Maggiori ripercussioni
avrebbe creato, nel 1881, la nascita a Matera del primo modello di credito
istituzionalizzato, tra i più antichi del Mezzogiorno: la Banca Popolare,
fondata con capitali laici.
Senza importanti episodi architettonici e senza ancora
prolungarsi e proiettarsi verso altre direzioni la città ottocentesca si adagia
e quasi si spalma sull'immagine urbana del Settecento. Intanto il succedersi e
l'evolversi degli avvenimenti avevano impresso un'accelerazione al processo di
sovrappopolamento dei Sassi. Il Piano immediatamente a ridosso dei Sassi, nato
e perpetuatosi come insediamento borghese, si arricchisce, ma di una edilizia
residenziale priva di elementi di particolare rilievo. Fino ad allora
l'espansione urbanistica della città aveva seguito le sorti di gloria e di
potere o di crisi e di declino del potere ecclesiastico. Il decreto napoleonico
di soppressione degli ordini religiosi (1807), come il trasferimento della
Regia Udienza a Potenza (1806), non poterono non provocare delle ripercussioni
anche nello sviluppo urbanistico della città che, condizionata dagli eventi,
vide ridimensionarsi il proprio processo di crescita ed espansione.
Con la restaurazione, il reintegro delle comunità
ecclesiastiche soppresse, il ritorno dei Borboni e i nuovi rapporti di intesa
tra la monarchia e la Chiesa, si assistette a un lieve risveglio e a una
accennata vitalità che permisero la realizzazione di importanti infrastrutture
per la città. In definitiva si riconducono solo a due gli interventi più
apprezzabili e significativi per la migliore definizione che conferiscono agli
spazi già progettati nel secolo precedente: il palazzo Sorrentino-Zagarella e
il palazzo Malvezzi che, affiancandosi a S. Domenico, viene a precisare quegli
allineamenti che con il convento dell'Annunziata e con la chiesa di S. Francesco
da Paola contribuirono meglio a disegnare il prolungamento del nuovo asse
urbano: corso Umberto I. Oltrepassata l'oramai demolita porta Maggiore, si
veniva a costituire la principale direttrice di espansione della città verso
nord e con il nome di Appulo-Lucana, strada nazionale dello Stato unitario.
IX. LA DEFINIZIONE DELLA CITTA' CONTEMPORANEA
La tragicità e la gravità di un'aberrante condizione
socio-economica aprono a Matera il XX secolo. Muovendo verso il Novecento i
Sassi, congestionati e degenerati nel tessuto abitativo, vedono
progressivamente aggravarsi il proprio stato di degrado. Grotte e semigrotte
con appendici in tufo, abitazioni allineate a schiera lungo le strade,
prospicienti cortili a pozzo o recinti, sopraelevate di un piano oppure seminterrate,
ospitavano ciascuna famiglie di otto-dieci persone che, condividendo spazi
quasi improvvisati, affrontavano quotidianamente un'autentica lotta per la
sopravvivenza. La visita a Matera nel settembre 1902 del presidente del
Consiglio, Giuseppe Zanardelli, sembrò allora ispirare nuove attese; esito
immediato fu la prima legge speciale n. 140 del 31 marzo 1904. Ma il
provvedimento di fatto interpretò un imprecisato risanamento della regione, che
indifferentemente interessò diversi comuni lucani, senza fissare priorità in
ordine alla molteplicità delle urgenze immediate.
Il paese non disponeva ancora di un acquedotto e
l'elementare sistema di approvvigionamento idrico era assai arretrato e
insufficiente: posta al centro della città, forniva acqua potabile una sola
fontana. Nel 1908 l'illuminazione delle strade fu affidata alla prima
applicazione dell'energia elettrica che sostituì le luci a petrolio. Nessun
sistema di comunicazione, nessun segno visibile di ferrovia, anche le
condizioni dell'istruzione scolastica erano congelate al periodo borbonico.
Nel 1912 Matera venne finalmente collegata ad Altamura da un
tronco a scartamento ridotto delle Ferrovie Calabro-Lucane e la città prese a
darsi nuova forma, sviluppandosi ed espandendosi a raggiera da via Lucana verso
la stazione. Nei Sassi vennero coperti i grabiglioni che solcavano i fondovalle
degli antichi rioni tracciando così le strade di attraversamento. Con il R.D.L.
dell'8 maggio 1924 il governo stanziò solo due milioni e mezzo, tra l'altro
destinati a completare le opere di risanamento a Matera e a Potenza e nel 1927
Venusio, a 9 Km da Matera, fu realizzato un villaggio rurale di diciotto case
da assegnarsi ai contadini.
Anche la realizzazione, in periferia, del rione popolare di
via gattini si prefiggeva l'obiettivo di destinare ai contadini dei Sassi
abitazioni dotate di stalle e fienili: ma il problema della residenza per la
gente più umile e più provata non trovò soluzione.
Matera, capoluogo di provincia
Intanto, episodicamente ma coerentemente con lo stile del
tempo, la città, capoluogo di provincia, provava a esprimersi trovando la
propria qualificazione nel Piano, dove si arricchì di ragguardevoli edifici
come la sede dell'amministrazione provinciale in via Duni, della scuola
elementare, del palazzo per abitazioni di impiegati statali e dell'adiacente
Palazzo dell'Economia Corporativa, percorsi lungo i quali si sarebbe sviluppata
la prima edilizia residenziale novecentesca. La realizzazione e la sistemazione
dei nuovi edifici burocratici e amministrativi imponeva un programma di
trasformazioni urbanistiche che offrisse, seguendo un disegno e un progetto di
città, suggerimenti alternativi alle prime e approssimative soluzioni che
avevano affidato agli antichi conventi, divenuti proprietà del comune, funzioni
statali e provinciali.
Nel quadro di un progetto di trasformazione urbanistica e di
modernizzazione della città antica, rispettoso dei canoni, allora imperanti,
dell'architettura fascista, il risanamento di quella frangia urbana,
caratterizzata da un tessuto edilizio povero, minuto e in fase di progressivo
degrado, ne avrebbe significato l'arricchimento e la valorizzazione. Il Piano
di risanamento (1936) a eccezione dei palazzi Pescarelli e Volpe, abbattuti negli
anni Settanta in seguito a interventi urbanistici, prevedeva la demolizione
dell'intero isolato che si estendeva tra piazza S. Francesco d'Assisi e largo
Plebiscito, allora piazza della Fontana.
Iniziano le prime manomissioni che avrebbero alterato e sfigurato
la fisionomia della città sette-ottocentesca. La demolizione implicava la
colmata del fossato di protezione della città medievale e la perdita
dell'antico rione delle ferrerie, fondaco del ferro e delle fucine della città
rinascimentale. Tra il 1935 e il 1936, alla demolizione di una parte del
convento di S. Francesco d'Assisi e allo sventramento del sagrato dell'omonima
chiesa, segue il progressivo abbattimento della cortina di case
sette-ottocentesche: viene dunque tracciata la cosiddetta via dell'Impero, che
direttamente si ricongiunge con piazza del Sedile.
Erano gli anni Trenta e Mussolini, giunto a Matera
nell'agosto 1936 per inaugurare la strada di circonvallazione che raccordava i
due Sassi, impressionato dalle condizioni di vita delle famiglie materane,
assicurò che in due anni i Sassi sarebbero scomparsi.
Il vero e reale problema di Matera consisteva,
essenzialmente, nel non equilibrio rapporto tra centro urbano e campagna: l'uno
gravato dalla preoccupante condizione socio-sanitaria e residenziale, dalla
mortalità infantile, dall'elevato tasso della concentrazione umana, l'altra,
ampiamente estesa, ma limitata dalla carente utilizzazione delle sue potenziali
risorse. Dopo aver attirato l'attenzione dei vari governi che si erano
successi, nel 1950, a Matera, Adriano Olivetti affiancava il sociologo tedesco
Friedman: i due intellettuali operarono con perfetta sintonia di obiettivi e
intenti. La comunità costituiva il nuovo spazio della vita sociale che,
progettato a misura d'uomo, avrebbe dovuto dare vita a un modello democratico
autogestito con consigli e comitati elettivi, risultato di uno stretto rapporto
tra rinnovata gestione politica e nuova pianificazione urbanistica. Il progetto
urbanistico di Olivetti concepiva un più equilibrato rapporto tra città e
campagna; la creazione di borghi rurali residenziali, dotati di tutti i servizi
sociali funzionali alla città, inseguiva l'intento di raggiungere anche sul
piano economico e produttivo una maggiore compensazione e stabilità.
Per consentire agli studi su Matera un ulteriore
approfondimento si era costituita una commissione di studio con l'obiettivo
prioritario della ricerca di aree suburbane alternative all'ipertrofico tessuto
abitativo dei Sassi, idonee a favorire il trasferimento degli abitanti ivi
residenti. La località identificata, perché rispondente ai requisiti richiesti,
fu La Martella. La qualità urbanistica del borgo, dotato anche di diverse
strutture di servizio, fecero della Martella un esempio paradigmatico per
l'urbanistica più avanzata degli anni Cinquanta.
La riqualificazione del tessuto urbano dagli anni
Cinquanta agli anni Sessanta
Immediata conseguenza della legge 619 fu la redazione del
Piano regolatore generale a opera di Luigi Piccinato che, negando ai Sassi un
ruolo urbanistico e funzionale, fissava le direttrici di sviluppo per
l'espansione della nuova città, decretando per gli antichi rioni lo svuotamento
e il trasferimento dei suoi abitanti nei nuovi quartieri e nelle borgate
rurali.
La progettazione del rione Serra Venerdì e del borgo Venusio
fu affidata a Luigi Piccinato, quella del completamento del rione Serra
Venerdì, del rione Spine Bianche e del borgo Torre Spagnola sarebbe stata affidata
agli esiti di un concorso nazionale. Intorno al centro direzionale della
collina di Macamarda i nuovi quartieri dislocati lungo le tradizionali
direttrici di espansione della città disegnavano il volto della Matera moderna,
quale estensione della città sette-ottocentesca contraddistinta dalla qualità
del disegno urbano, se confrontata con il disordinato sviluppo urbanistico di
molte altre città italiane.
Con la legge del '67 i Sassi cominciano a proiettarsi nella
dimensione di bene culturale, di patrimonio nazionale da conservare e tutelare.