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LE ORIGINI DEL
MOVIMENTO FRANCESCANO |
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Il movimento della riscossa dell’Ordine
francescano, trovò espressioni significative anche nel Mezzogiorno della
penisola. La storia della Regolare Osservanza della Provincia Apuliae che si
denominò Provincia Sancti Nicolai, si ricollega a quella Vicaria galatinese di
Bosnia. Il 1° settembre 1391. Bonifacio IX col diploma Pia Vota propose a frate
Bartolomeo della Verna, vicario di Bosnia (1367-1407), di accettare per i frati
bosniesi la chiesa e il convento di S. Caterina a Galatina, costruiti dal
principe di Taranto Raimondello del Balzo Orsini e permise ad essi di ricevere
altre dimore, che lo stesso principe avrebbe edificato in seguito. Proprio in
quegli anni fr. Bartolomeo della Verna aveva diffuso il Cattolicesimo la
Regolare Osservanza nella penisola balcanica. Negli anni successivi Raimondello,
altri principi e vescovi edificarono per la vicaria altre nuove dimore.
Collateralmente si diffuse nel Mezzogiorno l’altra corrente minoritica, che
probabilmente si ricollegava ai seguaci del B. Paoluccio dei Trinci.
Probabilmente la fusione dei due nuclei dell’Osservanza, quella della Provincia
di Apuliae e l’altra di Bosnia, si ebbe poco prima del 1446. La nuova vicaria
unita progredì moltissimo durante il secolo XV, in seguito denominata provincia
regolare. Alla fine del Cinquecento l’Osservanza nell’estremo del Mezzogiorno
raggiunse l’apice dello splendore. La reggevano capaci ministri, possedeva
fiorenti case di studio e la illustravano religiosi distinti per cultura e per
esemplarità di vita. Un documento significativo del tono di vita raggiunto
dall’Osservanza di S. Nicolò in Puglia alla vigilia della Riforma Serafica
pugliese è costituito dagli Statuti Provinciali di Frati Minori Osservanti della
Provincia si S. Nicolò, compilati nel 1585 da tutti i Padri di detta Provincia.
Il problema capitale, su cui verteva maggiormente il documento, si puntualizzò
sulla povertà, che venne confermata come il precetto fondamentale della Regola
minoritica. Sulla scia di quanto aveva operato S. Francesco D’Assisi, i
religiosi della provincia di S. Nicolò nei loro statuti sottolinearono la
pratica dell’assistenza verso i frati infermi. Eppure nonostante tali pratiche,
disposte ed accettate da tutti i Padri della Provincia di S. Nicolò della
Regolare Osservanza, negli ultimi decenni del secolo XVI, anche nella Puglia si
senti l’esigenza di una più rigida interpretazione della Regola, emerse un
desiderio potente di rifarsi alle origini e si diffuse un’ansia spasmodica di
perfezione. In realtà per comprendere il sorgere della Serafica Riforma in
Puglia bisogna risalire ai decreti tridentini, specialmente alle ammonizione
decise nella Sessione XXV relative agli ordini monastici. In quelle sedute il
santo sinodo si rese conto che lo splendore della chiesa dipendeva dalla riforma
disciplinare degli istituti religiosi. Per questo inculcò il ritorno alla
perfezione evangelica con l’osservanza dei voti di obbedienza, di povertà e di
castità. Da ciò scaturì la restaurazione cattolica con i suoi caratteri di
entusiasmo, di radicalismo e d’intensità nella vita spirituale. Proprio in
questo clima e da queste premesse ebbe origine il nuovo movimento minoritico. La
nuova corrente, che ebbe inizio nel 1590 e prese il nome di Serafica Riforma,
deve essere interpretata come una ripresa di coscienza e un ripensamento, sui
piani teorico e pratico, del Francescanesimo primitivo e come uno dei tanti
atteggiamenti di fondo, che arricchirono la storia dell’Ordine, desideroso di
rifarsi alle sorgenti stesse del proprio ideale. I suoi religiosi intesero
rinnovarsi nell’austerità, vollero vivere un sistema di vita realizzato nella
preghiera e pensarono di edificare un’ organismo saturo di povertà, soprattutto
nel cuore e assiepato di penitenza. Essi iniziarono un nuovo movimento ricco di
spiritualità, di slancio mistico e di desiderio bruciante di ricopiare S.
Francesco d’Assisi. Nell’estremo Mezzogiorno intrapresero tale esperienza cinque
frati minori pugliesi, a cui furono assegnati tre conventi di ritiro: S. Maria
del Casale a Brindisi, S. Maria della Visitazione a Salice Salentino e S. Maria
di Casole presso Copertino. Da questo momento molti frati vollero seguire questo
movimento e molti altri conventi fino ad allora governati dall’Osservanza
Regolare passarono ai frati della Serafica Riforma (1590-1835). Nei primi
decenni del secolo XVII le preoccupazioni dei padri riformati, per la
costruzione delle nuove dimore e per la trasformazione di quelle ottenute dalla
Regolare Osservanza, andarono di pari passo con la fondazione dell’istituto.
Benché la Serafica Riforma pugliese abbia avuto inizio solo nel 1590, alcuni dei
suoi 31 edifici ubicati nelle attuali province di Bari, Brindisi, Taranto, Lecce
e Matera, risalgono alla fine del Trecento, al Quattrocento e al Cinquecento. Si
tratta quindi di un lungo periodo storico che va dal 1385 al 1828, all’interno
del quale si notano due tipi di dimore francescane: 18 case più antiche, erette
dalla Regolare Osservanza, che passarono alla Serafica Riforma e 13 di più
recente costruzione, direttamente fondate dai padri riformati. Nel primo gruppo
rientrano i conventi di Brindisi, Salice Salentino, Copertino, Lecce,
Francavilla Fontana, Manduria, Martina Franca, Galatina Gallipoli, Taranto,
Ostuni, Cassano delle Murge, Gravina di Puglia, Nardò , Castellaneta, Turi,
Bitetto e Mesagne, pari al 57% degli edifici pugliesi, che successivamente
appartennero ai padri riformati. Nel secondo gruppo riscontriamo le case di
Spoleto, Presicce, Matera, Valenzano, Lequile, Bari, Altamura, Minervino di
Lecce, Gioia del Colle, Traviano, Santeramo in Colle, Pulsano, Molfetta, cioè il
41,87% di queste costruzioni. Le dimore costruite dall’Osservanza, fondate nel
basso Medio Evo e agli inizi dell’era moderna, costituiscono la documentazione
muraria della riscossa dell’ordine, teso alla riscoperta della povertà
evangelica e pertanto, differiscono dai grandi romanici e gotici conventi, che
ebbero le manifestazioni architettoniche più significative in S. Francesco ad
Assisi, in S. Croce a Firenze. Invece gli edifici dell’Osservanza, anche in
Puglia, si rivelano archetipi di povertà francescana, contenuta però entro un
cliché di classicismo e umanesimo. Gli edifici fondati direttamente dalla
Serafica Riforma, proprio perché in partenza dovevano corrispondere alle
coordinate di rigidità e ascetismo, che reggevano l’istituto, con la preclusione
di alternanze privilegiate, furono ideati e costruiti in sintonia con questi
ideali. Pertanto gli architetti dei padri riformati sin dalle origini crearono
moduli di edifici e chiesette, che dovevano essere funzionali e,
contemporaneamente, dovevano corrispondere alle sofferte istanze ascetiche.
Perciò nei corridoi, nelle cellette, nei chiostri e nelle piccole chiese quei
maestri tradussero in atto e calarono le loro esperienze religiose. Ma gli
architetti e le maestranze della Serafica Riforma pugliese fecero anche di più,
ristrutturando e riadattando alle loro costanti ascetiche persino le dimore e le
chiese ottenute dall’Osservanza. Perciò durante il seicento e agli inizi del
settecento, i maestri riformati si spostarono da un convento all’altro e in
pochi decenni modificarono le linee architettoniche degli edifici più antichi.
Conseguentemente, a chi oggi visita queste vetuste case religiose, ad eccezione
dei quadripartici, che nelle grandi linee vennero rispettati, balza evidente una
essenziale uniformità di ambienti, ottenuti nello sforzo di adeguarli ai
parametri della Serafica riforma di S. Nicolò. Pure dal profilo dell’ubicazione
storicamente si riscontra in Puglia continuità tra gli insediamenti della
Regolare Osservanza e quelli della Serafica Riforma. In effetti, sotto il
rilievo geografico, indipendentemente dalle loro correnti, i frati fondarono
dimore in Terra di Bari e in Terra d’Otranto. Anche la collocazione in rapporto
a i centri abitati la Serafica Riforma, nonostante il rigido ascetismo, si
adeguò alla tradizione della Regolare Osservanza. Per questo i frati preferirono
fissare le proprie residenze alla periferia dei centri urbani. Ma non Mancarono
eccezioni, in quanto edificarono case in città, come a Gallipoli, a Galatina e a
Nardò; oppure alquanto più distanti dai nuclei abitati, come a Copertino, a
Castellaneta e a Cassano Murge. I conventi Francescani della Serafica Riforma di
S. Nicolò, rappresentano non solo una documentazione della Restaurazione
Cattolica, ma si evidenziano come espressione della trasformazione politica e
socio-culturale che percorre la Puglia durante i secoli XV-XVII, specialmente
negli ultimi decenni del Cinquecento e nella prima metà del Seicento. Nello
spirito del rigido ideale francescano, rinvigorito dalla spinta stimolante della
Riforma cattolica, il convento minoritico riformato pugliese realmente non si
caratterizza come monastero, come abbazia e come fissa dimora, nella quale il
monaco totalizza tutto ciò che si rivela indispensabile per la sua crescita
umana, cristiana e sacerdotale, ma come luogo dove il frate minore fa tappa nel
suo itinerante ministero. Per questo motivo gli statuti dei frati minori
riformati nel 1643 fissarono le direttive precise sulla fondazione dei conventi
francescani. Essi a tale proposito stabilirono: Acciò non si erri attorno alle
fabbriche, si ordina, che in ogni Capitolo si costituiscano due Fabbricieri, uno
de’ quali sia Sacerdote, li quali con il Padre Ministro determinino quello, che
sarà necessario, tanto nelle fabriche vecchie, quanto nuove>>. Non si
fabrichino Conventi nuovi, se prima non sia fatto il modello da Periti, e
sottoscritto dal Diffinitorio né si fabrichino Campanili a Torre, se non fosse
pericolo de’ Corsari>>. Stimolati dal controllo di tali direttive i frati
minori riformati idearono il convento pugliese senza averi, senza fattorie,
senza magazzini, senza collari, senza stabilità economica, adagiati presso il
piccolo orto, protetto da un rustico muro di cinta, dove coltivavano ciò che era
indispensabile al vitto quotidiano. Pertanto il tipico “luogo” minoritico nel
suo impianto si presenta strutturato dalla casa religiosa e dalla chiesetta. La
dimora sorge quadrata, costruita con semplice calcare tufaceo e protetta da
intonaco. I forti muri perimetrali al piano superiore sono segnati solo dalla
sequenza delle piccole finestre delle cellette e dalle monofore più ampie, che
conferiscono luce ai corridoi, mentre al piano terra si dischiude il porticato.
Nell’interno l’edificio serafico è scandito nei quattro corpi di fabbrica, che
si rinserrano nel chiostro francescano, nelle officine conventuali, nei corridoi
di disimpegno coperti da una volte a botte e nel rettangolo del refettorio. Il
chiostro è ridotto all’essenziale, essendo costituito da corridoi larghi circa
2,20 m che immettono nell’atrio attraverso archetti a tutto sesto, impostate su
colonne coronate da semplici cornici, ma spesso prive di modanature. Fa centro
l’immancabile pozzo, munito della catenella e del secchio per attingere l’acqua.
Sempre al piano terra tutto appare disposto in modo funzionale: le officine che
circondano il quadriportico, il rettangolo del refettorio servito da corridoi di
disimpegno che collegano la chiesa, il giardino e la scala che porta al piano
superiore. All’unico piano elevato, sono disposti i quattro corridoi,
generalmente alti 2.40 m e larghi 1.90 m, coperti da volte a botte e illuminati
da grandi finestre. Ai lati si snoda la sequenza delle cellette di circa 3 x
2,50 m, anch’esse coperte con lo stesso tipo di volte e illuminate da piccole
finestre.