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CASTELLANETA: LE ORIGINI |
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La cittadina di Castellaneta, comune in provincia di
Taranto, sito a circa 37 km dal capoluogo jonico, si divide in città e marina,
quest'ultimo luogo di villeggiatura estivo, ospita migliaia di turisti ogni
anno, per la caratteristica delle sue splendide spiagge e della rinomata
organizzazione balneare degli albergatori del luogo. Le prime notizie sicure su
Castellaneta risalgono all'età normanna. La città viene, infatti nominata per la
prima volta in occasione della sua conquista ad opera di Goffredo, conte
normanno nipote di Roberto il Guiscardo. Ma quando è stata fondata la città? Al
di là delle leggende e delle diverse ipotesi dei cronisti, è certo che il
territorio di Castellaneta sia stato abitato fin dalla preistoria, ma l'attuale
città si è sviluppata soltanto a partire dall'alto Medioevo (V-VI secolo), nel
clima di generale decadenza politica conseguente alle invasioni barbariche.
All'inizio del V secolo, infatti, i Goti di Alarico distrussero la maggior parte
degli insediamenti esistenti nel nostro territorio, tra i quali Minerva che
doveva essere il più importante della zona. Fu allora che ai margini della
gravina, che rappresentava un'ottima difesa naturale, cominciò a ricostituirsi
un nuovo nucleo abitato dove trovarono rifugio le popolazioni dei villaggi
vicini in cerca di sicurezza. Nacque così il centro di Castania, nome riportato
dal lessicografo Stefano Bizantino (VI secolo) e dalla tavola corografica
dell'Italia fatta per uso di Carlo Magno nel IX secolo. Successivamente, in
seguito alle continue guerre tra Bizantini e Longobardi e alle frequenti
incursioni dei Saraceni, altri abitanti di casali vicini trovarono riparo a
Castania e, probabilmente, ne cambiarono il nome in Castellum unitum, da cui
Castellanetum e Castellaneta. Il nucleo urbano, che andava sempre più
estendendosi sul ciglio della gravina, fu definitivamente conquistato dai
Normanni del duca Roberto nel 1080 . Pochi anni più tardi, nel 1087, fu
istituita la diocesi e, insieme a Mottola, Castellaneta formò una contea poi
ceduta a Riccardo Siniscalco e, alla morte di questi, annessa al Principato di
Taranto. All'avvento degli Svevi, nel 1194 la città passò all'arcivescovo di
Taranto e nel 1269 fu concessa a Oddone di Soliac da Carlo d'Angiò, rimasto
padrone assoluto dell'Italia meridionale, dopo aver sconfitto gli Svevi. Il
nuovo feudatario governò in modo così violento e brutale che nel 1296 il re
Carlo II lo privò del feudo e lo bandì dal regno. Castellaneta ritornò a far
parte del Principato di Taranto, fu poi città regia dal 1419 al 1434, anno in
cui passò nuovamente sotto il dominio dei principi di Taranto rimanendovi fino
alla morte di Giovannantonio del Balzo Orsini nel 1462 e passando poi sotto la
corona degli Aragonesi che, nel frattempo, avevano occupato tutta l'Italia
Meridionale. Negli anni a cavallo tra il 1400 e il 1500, la nostra regione fu
teatro della guerra che oppose Francesi e Spagnoli per il possesso del regno di
Napoli. Castellaneta fu allora occupata dai Francesi di Luigi di Armagnac, duca
di Nemours, ma nel 1503 la popolazione, esasperata dai continui soprusi, si
ribellò ai soldati cacciandoli dalla città. L'episodio è noto come il Sacco di
Castellaneta ed avvenne nei pressi della Cattedrale, vicino quella che fu poi
chiamata Via del Sacco. Per vendicarsi, i Francesi cinsero d'assedio la città;
la popolazione però oppose una valorosa resistenza rendendo inutile ogni
tentativo nemico. La ribellione fu lodata dal re spagnolo Ferdinando il
Cattolico, che insignì la città dell'onorifico titolo di Fedelissima. Nonostante
ciò, l'imperatore Carlo V nel 1519 cedette Castellaneta al fiammingo Guglielmo
de la Croy che, l'anno dopo, la vendette al napoletano Nicola Maria
Coracciolo,che fu marchese di Castellaneta fino al 1580. Ebbe allora inizio per
la città il periodo più triste della sua storia, durato fino all'inizio
dell'800; al suo governo, infatti, si susseguì una serie di prepotenti baroni,
tutti mercanti provenienti dall'area ligure, che acquistarono il feudo solo per
riscuotere tasse e gabelle e per acquisire un titolo nobiliare: i Bartirotti
Piccolomini (principi di Castellaneta dal 1580 al 1624), Gian Cristoforo De
Franco (barone dal 1624 al 1633), Giannandrea Gentile (dal 1633 al 1649), i La
Monaca (dal 1650 al 1665) e finalmente i De Mari che comprarono la città nel
1666 e la tennero per tutto il '700. Poi, all'arrivo dei Francesi, Castellaneta
fu inclusa nel Regio demanio. Sul finire del XVIII secolo, quando i Francesi di
Napoleone invasero l'Italia, Castellaneta era in una condizione di estremo
degrado, avvilita da secoli di dominazione feudale. L'eco degli straordinari
avvenimenti che scuotevano la società del tempo giunse anche nel nostro paese
dove, nel 1799, quando fu proclamata la Repubblica di Napoli, i liberali e i
repubblicani locali innalzarono l'albero della libertà. Immediata fu, però, la
reazione sanfedista che, guidata dai frati domenicani, causò saccheggi e
violenze e si concluse con la cattura dei rivoluzionari. In seguito alla nuova
occupazione francese, nel 1806 veniva pienamente abolito il feudalesimo e
Castellaneta passava così al Regio demanio. Nel 1815, sconfitto Napoleone e
ritornati i Borboni sul trono di Napoli, iniziava la Restaurazione, decisamente
osteggiata dalle società segrete. Anche Castellaneta ebbe la sua vendita
carbonara che aveva tra le sue sedi l'ex convento dei Cappuccini, presso la
chiesa di S. Rocco. Nel 1860 G. Garibaldi liberava il Mezzogiorno determinando
la proclamazione del Regno d'Italia. La popolazione castellanetana accolse
l'evento con manifestazioni di giubilo che, pare, siano durate tre o quattro
mesi. Subito dopo, però, iniziava il brigantaggio. Tra il 1863 e il 1864 bande
di briganti, formate anche da elementi locali, furono attive nel nostro
territorio, dove furono catturati Antonio Locaso, detto U Capraridd, Marino
Todisco, Angelo De Bellis, detto Angelicchio e Francesco De Bellis, detto
Cavalcante, che aveva fatto parte della famosa banda di Crocco e di Giovanni
Nicola Summa, detto Ninco Nanco. Importante fu il combattimento avvenuto nel
1864 a Montecamplo tra carabinieri e briganti che causò molti morti, di cui
diciotto furono trasportati in città e sepolti nella chiesa dalla Mater Christi.
Per distruggere queste bande il governo mandò nella nostra città la cavalleria e
la fanteria (sistemare nell'ex Palazzo Baronale, nel Palazzo Vescovile e nell'ex
convento di S. Domenico), che agirono in collaborazione con la Guardia Nazionale
comandata anche dal cav. Mauro Perrone. Tra gli avvenimenti di questo secolo
ricordiamo le vicende belliche seguite all'armistizio dell'8 settembre 1943. La
città era allora presidiata dai Tedeschi che si scontrarono con gli
Anglo-americani sbarcati a Taranto e diretti a Bari. La battaglia avvenne l'11
settembre; in quell'occasione i Tedeschi, per rappresaglia contro la popolazione
esultante per l'arrivo degli Alleati, fecero scoppiare delle bombe al centro
della città, tra Piazza Fontana e Via Marina , provocando ben 27 vittime.
(TERRITORIO)
Tra
Laterza e Castellaneta sorge Montecamplo, la più alta collina della zona che nel
suo punto culminante, detto Monte S. Trinità, raggiunge 411 m di altezza. Offre
al visitatore uno spettacolo affascinante e suggestivo con il suo splendido
panorama che giunge fino ad abbracciare il mare e le colline vicine. Montecamplo
si distingue per la sua florida vegetazione tanto che, per la sua ricchezza di
flora medicinale, in età napoleonica era chiamato Monte d'Oro. La collina è
completamente rivestita di boschi di pini e querce che ricoprono anche le pareti
a strapiombo delle sei gravine che si aprono sui suoi fianchi, profonde dai 5O
ai 1OO metri. Partendo da nord, la prima è la gravina di Montecamplo
propriamente detta, con il suo ramo occidentale che prende il nome di gravina
del Lauro. Più a sud, disposte parallelamente, sono la gravina di Pentimelle (da
pentima, che significa rupe), la gravina di S. Nicola (dalla cripta di S. Nicola
di Lizzano, ricordata da documenti medievali), la gravina della Vernata e,
infine, la gravina di Giacoja, che termina nei pressi dell'omonima masseria.
Tutta l'area, per un totale di 238O Ha, fa parte di un'Oasi di protezione
naturalistica istituita nel 1987. Non è soltanto il paesaggio a rendere
suggestiva la collina di Montecamplo, ma è anche il fascino delle numerose
testimonianze storiche che essa conserva. Il luogo, infatti, ha visto una
continuità di frequentazione umana attestata fin dal Paleolitico. Tra gli
insediamenti archeologici più interessanti ricordiamo quello apulo-peuceta di
Monte S. Trinità (VI-V sec. a.C.) in cima alla collina, e la necropoli del V-III
sec. a.C. in localita Cappella, nel territorio di Laterza. Nel Medioevo la
presenza dell'uomo è attestata da alcuni documenti, che parlano di un casale e
di una chiesa intitolata S. Maria di Montecamplo, da resti di abitazioni e da
alcune cripte, tra cui quella in contrada Ovile Vecchio. Inoltre è possibile
ammirare i diversi insediamenti rupestri, presenti sia nelle gravine vicine al
centro abitato che nelle contrade circostanti. Esempi di tali insediamenti sono
Santa Maria del Pesco, la cui cripta fu abbattuta nel secolo XIV per costruire
la Chiesa romanica di Santa Maria dell'Assunta; Santa Maria di Costantinopoli,
la cui cripta basilica risale al IX-X secolo; Santo Stefano e San Michele
Arcangelo, cripte site nella gravina di Santo Stefano, ove è presente un
villaggio rupestre di notevoli proporzioni. Il primo nucleo del centro antico,
per ragioni difensive, si sviluppò prima sul ciglio della gravina, verso quello
che è ora il quartiere Muricello ed in seguito si estese verso Sud-Ovest, dove
era chiuso da una cinta di mura, la quale fu in piedi fino agli inizi del XVI
sec. Questa cinta aveva probabilmente due porte: una piccola denominata “pora
pizule” e una grande, chiamata in seguito “porta Necata”, nei pressi forse di
quella che è oggi la “Piazza” di via Vittorio Emanuele. La seconda cinta di
mura, che compare nella cartina agli inizi del settecento, era alta circa 10
metri ed aveva tre porte: ”Porta Grande” (all’inizio di via Vittorio Emanuele),
“Porta Di Mezzo” (vicino a San Domenico) e “Porta Piccola” (verso la via di
Taranto); di queste mura, abbattute dal 1839 al 1841, sono rimasti solo alcuni
tratti perimetrali, oggi inglobati in manufatti edilizi, ed alcuni toponimi (via
Muraglia, vico del Muro, via di Porta di Mezzo, via Porta Piccola, via Torre
Campanella). Nel Medioevo in Castellaneta, che nel 1276 aveva circa 4000
abitanti, si potevano distinguere tre tipi di abitazione: il “palatium” (il
palazzo), la “domus” (la casa, che poteva essere “palatiata”, con piano
superiore o “plana” ad un solo piano) e la “domuncula” (la casetta). In seguito
la divisione della città fu fatta in “contrade” (in un documento del 1572 sono
ben 16) e le abitazioni erano o “palazziate”, o case con “soprano” e “sottano”,
ovvero la tipologia del caseggiato a due piani, che ancora oggi è predominante.
La trama urbana del centro storico conserva l’impianto medievale; elemento
principale è il vicolo, stretto e sinuoso, con pavimentazione a selci irregolari
di pietra viva. La zona monumentale più importante è quella dove sono disposti
uno a fianco all’altro la Cattedrale, il Palazzo Vescovile e il Palazzo baronale
(già castello normanno), raggruppando così severamente i simboli del potere
religioso e del potere temporale.