RIVISITAZIONE E COLLEGAMENTO CON LE ALTRE CHIESE


La rivisitazione voluta dal parroco don Nicola Santoro, anche nella sua qualit di presidente del comitato per i beni culturali, artistici e ambientali della Curia di Ugento, su sollecitazione del Vescovo di quella diocesi mons. Domenico Caliandro, acquista perci valenza di recupero di un bene che va oltre la aspettative di semplice bene cultuale per la fruizione dei fedeli, per assumere la connotazione di bene culturale tutt court anche e soprattutto nella prospettiva, non remota e auspicale, del recupero ambientale di una contrada dalla storia millenaria, oggi in parte sconvolta da interventi non sempre ortodossi che hanno mutato tanto il paesaggio quanto l'antica facies della cripta. Non sottacendo, peraltro, l'auspicio che l'antica chiesa cripta possa essere meta, in occasione dell' Anno Santo, di pellegrinaggi come lo era nel Basso Medioevo quando i pellegrini si recavano alla perdonancia al Santuario di Leuca battendo la via misteriosa: un percorso di' crinale tra le boscaglie che toccava le chiese cripte della Coelimanna di Supersano, di S. Maria della Serra, di S. Maria della Sanit e di S. Angelo di Ruffano, per spingersi fino alla chiesa del Crocifisso, per poi toccare la chiesa di Casaranello, quella di S. Maria della Strada a Taurisano, e quindi proseguire per Veretum fino a Finibusterrae.

Oggi la chiesa del Crocifisso ritornata sotto la giurisdizione ecclesiale della matrice di Ruffano, come agli albori quando era grancia dell'antica parrocchiale di rito greco dedicata a S. Foca, che sorgeva a nord del casale, dove oggi insiste l'ottocentesca chiesa del Buon Consiglio e faceva parte di una triade di chiese di rito greco dislocate al confini dell'antico borgo: S. Foca a Nord, l'Annunciazione ad Est, S. Marco a Sud. Tre chiese legate da un cordone ombelicale, che in epoca medievale legava anche le chiese di Mater Domini (S. Maria della Serra), di S. Angelo e S. Maria ad Nives (Zoccalio), di S. Maria della Finita, del SS. Crocifisso, della SS. Trinit. Tre chiese che hanno condizionato l'antico assetto urbanistico di Ruffano con la creazione di un'arteria, detta "via di Mezzo" (oggi via C. Battisti), che slargava nello spiazzo antistante la chiesa dei l'Annunciazione e nella via Vallati, dove sorgeva il Sedile. Un assetto urbanistico voluto dal barone Guglielmo dell'Antoglietta nel primo quarto del Quattrocento quando i monaci greci avevano da tempo abbandonato le loro dimore ruffanesi, compresa quella del Crocifisso, per il mutato clima politico ma soprattutto per il mutato quadro religioso che contrapponeva il rito latino a quello greco.

Non senza per aver lasciato traccia della loro presenza e del loro rito in Ruffano fino a tutto il Seicento. Nel tardo Quattrocento, infatti, operava in Ruffano il prete copista Georges Laurezios, la cui attivit si colloca in quella schiera di copisti attivi in Terra d'Otranto dal 1223 al 1468; e in pieno Seicento il prete di rito greco Gabriele Caroppo celebrava nella chiesa di S. Maria della Finita, extra moenia. Mentre il ricordo della stagione monastica ruffanese rinverdiva al primi del Settecento, quando don Giuseppe Giangreco faceva scolpire sulla facciata dell'antica chiesa del l'Annunciazione il distico: Ad onor di Maria pria f piantato / sacrato tenipio qui da Greci antichi / or da medesmi convien che dichi / che furo di Giangreco reedificato, volendo evidentemente significare che era stata una famiglia di origine greca (i Giangreco) a riedificare un antico tempio, greco nel rito e nella fondazione.

Della triade delle chiese di rito greco di Ruffano rimane oggi solo un avanzo di quella dedicata a S. Marco, dove sul pilastro centrale campeggia l'affresco del Santo Evangelista su fondo ocra, avvolto in un manto rosso, seduto e col capo leggermente piegato in avanti, mentre scrive in greco su di un libro il primo versetto del suo vangelo.

Opera pittorica veramente degna di nota, per quel che ancora ci rimane da osservare, di un ignoto frescante: verosimilmente un povero monaco che se non ci ha dato un capolavoro almeno ci ha lasciato un documento pittorico del XII secolo, giudicato opera di speciale interesse dalla Medea, e lungi d'essere un'opera mediocre dal Dieh16.