L'uso di vivere nelle grotte nel Sa1ento risale all'et primitiva.
Numerose sono infatti le caverne che hanno restituito reperti dell'uomo preistorico; in alcuni
casi lo stesso antro frequentato fin dall'et della pietra ha conservato testimonianze delle
varie stratificazioni storiche in una continuit d lunga durata documentata nel tempo.
Durante il periodo della dominazione bizantina, dal VI fino all'XI secolo, l'influenza della
cultura e del monachesimo orientale ha portato al fenomeno cremitico della vita solitaria in
grotte, quasi sempre poste in luoghi nascosti e difficilmente raggiungibili, e a quello
cenobitico delle latire monastiche italogreche. Nei secoli IX XI in Puglia, come in Basilicata,
in Calabria e nelle isole, dopo il periodo iconoclasta soprattutto, si diffusero e praticarono
moduli religiosi di origine orientale. Proprio sull'eremitismo e sull'influenza bizantina del
monachesimo in grotta hanno insistito i primi studiosi degli insediamenti rupestri seguendo una
concezione romantica e "panmonastica".
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Cosimo De Giorgi, studioso locale cominci gi nel secolo scorso
a richiamare l'attenzione sulla valorizzazione e sul recupero di questo patrimonio culturale e storico
artistico in degrado, operando una ricognizione territoriale delle varie cripte salentine.
Una cinquantina di anni dopo, a termine di censimenti si suddividevano le 233 cripte dell'area
apulo lucana in cinque gruppi: l'otrantino salentino, il brindisinobarese, il tarantino,
il centrale o materano gravincse, il settentrionale o vulturnese, soffermandosi sulla decorazione
parietale, considerata "documento di arte umile e popolare" e sottolineandone gli influssi
bizantini. Negli studi successivi non ci si pi limitati ad indagare solo sulle cripte
di maggiore dignit artistica e sull'eremitismo, che tra l'altro era di culto pacomiano,
sabiano, studitiano oltre che basiliano, ma si studiato il monachesimo italogreco in
un'ottica pi ampia e globale, non trascurando gli apporti delle scuole pittoriche locali.
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Si quindi evitato di contrapporre la cultura ipogeica a
quella "sub divo", finalmente tenendo in giusta considerazione l'apporto della cultura locale
all'interno del monachesimo italologreco, durante la seconda
colonizzazione bizantina. L'indagine stata altres estesa a tutti gli insediamenti in grotta
e, soprattutto, ai villaggi rupestri, non pi ritenuti inferiori o alternativi rispetto al
modelli urbani. In questi ultimi anni i risultati della ricerca si sono di molto arricchiti.
Un habitat rupestre stato studiato globalmente con un approccio metodologico nuovo, nei diversi
aspetti, cultuale, abitativo, sepolcrale, etc. attraverso analisi comparative estese alla
Serbia e alla Cappadocia, alla Sardegna e alla Sicilia (dove fu di fondamentale importanza
l'invasione araba), alla Macedonia, nell'ambito di tutta l'area mediterranea. Si cos
evidenziata una riutilizzazione di questi siti dall'XI secolo in poi, correlata all'andamento
demografico e al 'prevalere' della campagna sulla citt, in una continuit di frequentazione
dalla Preistoria al basso Medioevo, seppure con pause e abbandoni. Pur non trascurando
l'apporto rilevante offerto dal monachesimo italogreco alla civilt del vivere in grotta,
la storiografia pi recente perci non lo considera "preminente e onnicomprensivo
ma come uno dei tanti fattori che concorse a determinare alcuni esiti sul piano artistico, spirituale e religioso nel contesto di tale
civilt".
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Numerose sono le fonti utilizzabili per lo studio degli insediamenti rupestri. Sulla vita
anacoretica, dalle origini fino al X secolo, una notevole documentazione fornita dalla
letteratura agiografica (le vite di Sant'Elia, di San Nilo, il testamento spirituale di San
Teodoro). L'esperienza monastica, all'inizio rigidamente ascetica secondo la regola di San
Pacomio o di San Paolo l'eremita, transita poi, attraverso l'esichia, nel cenobitsmo di San
Basillo e infine in forme miste che prevedevano periodi d'isolamento oltre a quelli di vita
comunitaria.
Durante i secoli seguenti, nel periodo della dominazione normanna, quando vengono istituiti
i grandi centri inonastici meridionali (quelli di Carbone, Rossano, Stilo, Messina), persistono
i riti liturgici, le pratiche ecnobitiche e ascetiche, la lingua stessa dei monaci greci.
nonostante la volont di un graduale recupero alla tradizione e alla cultura latina. Nel pressi
di Otranto, l'abbazia di San Nicola di Casole (X1 XV sec.) con la sua tradizione scrittoria
diventa il punto di riferimento pi importante sotto il profilo culturale. La sua Regola
utile anche alla conoscenza del l'organizzazione religiosa degli altri monasteri
del territorio, i quali nella loro autonomia si ispirano a San Basilio, a San Saba, a San
Teodoro Studita, a Sant'Antonio Abate. Altre fonti per lo studio dei siti rupestri sono documenti
relativi ad atti di donazioni e lasciti di grotte, considerati beni patrimoniali e le visite
pastorali, disponibili a partire dal secolo XV. In esse si fa riferimento al coesistere del
rito greco insieme con quello latino, nel centri del Basso Salento e si d notizia del materiale
liturgico bizantino censito nelle chiese della diocesi.