I due ipogei fanno parte di un habitat rupestre particolarmente
adatto alla pratica cultuale sia primitiva che cristiana. Si tratta di un insediamento grottale
ubicato tra macchia mediterranea e uliveti, in una posizione panoramica da cui si abbraccia con
lo sguardo un ampio orizzonte, al confini del territorio di Ruffano con quello di Casarano e
Taurisano.
Collegate alla vicina chiesetta di Sant'Elia, entrambe le grotte erano e sono raggiungibili
per sentieri di campagna, interni rispetto al tracciato stradale di origine romana
(Ugento Alezio), un tempo nella fitta boscaglia sottostante il crinale delle serre, sulle quali
sono stati eretti altri tempietti, come la vicina "Madonna della Campana" o "S. Maria della
Serra" a Ruffano.
Insistono su un territorio noto agli studiosi per importanti ritrovamenti paleontologici e
archeologici. Sul dorsale della serra furono rinvenuti frammenti ossei, per la maggior parte
di fauna pleistocenica, e numerosi pezzi di industria litica (strumenti di selce e ossidiana)
oggi in deposito presso il Museo Comunale di Paleontologia di Maglie.
La grotta della Trinitˆ ha restituito interessante materiale del Neolitico e dell'etˆ dei
metalli, durante i lavori di scavo compiuti dall'Istituto di Archeologia dell'Universitˆ di
Lecce a partire dal 1970 e diretti da Giuliano Cremonesi: ceramica impressa dipinta e graffita,
oltre a lame, cuspidi di frecce, pugnali di selee, un oggetto ornamentale in osso
(come quello della grotta Cappuccini di Galatone), attualmente in mostra presso il Museo
Provinciale "S. Castromediano" di Lecce.
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All'interno furono inoltre scoperti importanti testimonianze
del periodo messapico. Risalgono al VI V sec. a.C. due frammenti di vasi con iscrizioni
graffite, uno dei quali riporta una sequenza alfabetica di quattro lettere. Le successive
ricerche archeologiche di Francesco D'Andria hanno portato ad altro ritrovamento di vasellame di
forma e decorazione varia (produzione coloniale ionica e corinzia), tra cui una serie di
coppette monoansate a vernice nera, interpretabili come offerte per libagioni. Secondo lo
studioso, infatti, la grotta, non connessa ad abitazioni, era un luogo di culto posto al confine,
verso l'intemo, del territorio dell'importante cittˆ messapica di Ugento. Fra i reperti di
ceramica messapica sono da ricordare, oltre a quelli decorati con motivi di stile geometrico,
i frammenti di brocca con fila di foglie cuoriformi alla cui base si trova una figura
antropomorfa con spada.
Alcune lucerne di ceramica e frammenti vari di ampolle e ciotole testimoniano inoltre la
frequentazione della grotta nel periodo alto medievale. Questo materiale, recuperato in terreno
sconvolto da scavatori clandestini, potrebbe inserirsi, in una produzione di tradizione "tardo bizantina ed araba" e rientra nel tipo diffuso in Italia meridionale26.
Due lucerne simili sono state ritrovate anche nella cripta dell'Annunziata a Lizzano.
Probabilmente utilizzata fin dai secoli IX XI come asceterio la "grotta dell'Eternitˆ"
fu adattata a chiesa assumendo in epoca imprecisata il titolo di "Santissirna Trinitˆ", detta
poi "grancla" della chiesa di S. Foca in Ruffano, nella visita pastorale del vescovo Tommaso
De Rossi del 1711.
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Degli affreschi cinquecenteschi dipinti su diversi strati
delle pareti di questa caverna preistorica, ormai in stato di abbandono, non c' pi alcuna
traccia. Sempre nel corso dei lavori di scavo dell'Istituto di Archeologia dell'Universitˆ di
Lecce, fu possibile vedere solo qualche resto di immagine sacra, tra cui il volto della Madonna
con al lati due cherubini, oppure quello pi antico, così descritto: "una mano poggiata su di
un globo tagliato da fascia trasversale, accanto al quale si erge un serpente."
Per quanto riguarda la cripta del Crocefisso, la sua peculiaritˆ stata individuata da Bruno
Zevi nel 1968. Egli, confrontandola con le altre del Salento, ha infatti evidenziato il
permanere dell'aspetto oríginarlo, sebbene oscurato dalle modifiche della struttura
architettonica della prima etˆ moderna. La frequentazione preistorica, attestata dal reperti
di industria litica rinvenuti nell'area della grotta, potrebbe trovare conferma, tra l'altro,
nelle incisioni graffite che si trovano all'entrata, in alto a destra.
Conosciuta anche con l'agiotoponimo di Santa Costantina, com'era denominata l'area circostante,
ancora oggi luogo di sentita devozione, conservando la continuitˆ rituale che nella sua
"forza sacrale", nei pellegrinaggi, negli episodi miracolosi di tradizione orale, da lungo
tempo sedimentati nell'immaginarlo religioso collettivo. Il "mentale popolare", anche in questo
caso, si salda a un tempo senza forma, quello della "eternitˆ".
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Nonostante l'incuria e il deterioramento dovuto alle infiltrazioni di umiditˆ, conserva alcuni
resti delle pitture pi antiche, all'origine corredate di iscrizioni esegetiche in greco.
Durante il periodo del patronato dei monaci olivetani venne decorata con affreschi (alcuni
palinsesti), sul quali si leggono appena le didascalle degli episodi relativi alla vita di Sant'Onofrio,
e il motto biblico ("qui per lignum crucis vincebat, per lignum quoque vinceretur") sotto
la scena del "Peccato originale".Gli avanzi architettonici "sub divo", attesterebbero la continuitˆ
dell'impianto monastico inizialmente sorto, come cenobio ipogeico e il prevalere, in seguito, della chiesa cripta34. Di essi restano solo una delle cellette e altre
rovine con tracce sbiadite di colore, intorno a una cisterna e a un forno.
Alla fine dell'Ottocento, Cosimo De Giorgi aveva rinvenuto diversi capitelli figurati "dov'erano
scolpite teste umane dal fiero portamento con grandi occhi a mandorla e le gote rigonfie"
iconografia che si pu˜ ritrovare nell'unico capitello superstite.
Sulla facciata, nella cui lunetta vi raffigurato un "Cristo Re" firmato e datato 1944,
inserita una lastra marmorea con ex voto inciso ("Al re della pace / i fedeli / a perenne ricordo
/ per lo scampato pericolo / della guerra / A. D. 1944).
Nella cripta, quasi in limine, si trova un pilastro sul quale effigiata una "Trinitˆ" del 1615.
Alla stessa data risale la scala interna di collegamento con l'insieme architettonico. E' solo
questa la parte in muratura, insieme ai due altari (pietre e malte di bolo): quello centrale di
stile barocco, che chiude il vano quasi rettangolare, e quello in fondo alla cripta. Per il
resto la grotta presenta al suo interno l'aspetto di vano interamente naturale con gradoni sedili.
1 dipinti, due dei quali sono firmati rispettivanente da Antonius Fuosus (Sant'Antonio Abate)
e da Tarquinius Caesaranus (Sant'Eligio San Lazaro), si susseguono in modo fortemente iconico
devozionale senza alcun nesso tematico dentro pannelli rettangolari o archeggiature, come nelle
altre cripte salentine. Fanno eccezione per l'iconografia e per il loro carattere narrativo,
alquanto raro nei santuari ipogeici del basso Salento, il dipinto del "Peccato originale" e gli
otto riquadri della vita (i 'Tasti") di Sant'Onofrio. La raffigurazione di questo santo attesta
la devozione ariacoretica per santi eremiti.
Partendo dalla parete sinistra vi compaiono tre immagini di santi. La prima, subito dopo
l'accesso alla scala che conduceva dalla cripta agli ambienti sovrastanti, quella di un'alta
figura frontale con vestimenti a losanghe (un angelo?). Secondo Alba Medea, la prima
studiosa che ha realizzato un'indagine completa sulle cripte eremitiche pugliesi confrontandone
la decorazione pittorica, si tratta di Sant'Elena. Segue Sant'Eligio (1615), il santo vescovo
di origine francese, legato all'area devozionale italo angioina, il quale sovrasta un gruppo di
cavalli. Tale iconografia ne sottolinea la funzione di protettore dei maniscalchi.
Una sua raffigurazione del 1538 si trova anche nella chiesa di Santa Maria della Croce accanto
a quella coeva di Sant'Antonio abate. L'ultima figura sacra della parete sinistra, prima dell'
altare, è quella di Santa Costantina. L'effigie della Santa incoronata reca la data 1567 ed è
corredata da iscrizione didascalica. 11 Tasselli riferisce di una precedente e antica immagine
murale dei "calogeri greci" "rinnovata" dal padri di Monte Oliveto di San Pietro in Galatina,
riportando egli la leggenda della santa, figlia di Costantino, che, dopo essere guarìta dalla
lebbra per intercessione di Sant'Agnese, fece voto di castit e divenne cristiana .
Procedendo nella lettura della cripta, al centro troviamo
l'altare, con immagini oggi irrimediabilmente deteriorate. Il De Giorgi le datava al XIV secolo,
ritenendole omologhe ad alcuni affreschi della cripta di S. S. Stefani a Vaste38.
La compresenza di questi dipinti more graecorwn e di due altari, attesta probabilmente la
coesistenza del rito latino e di quello greco. L'abside coincide con il punto più orientale
lungo l'asse est ovest.
Sull'altra parete, iconografle e temi sacri sono rappresentati su due registri e delimitati da
bande bieromatiche. In alto, campiscono il primo pannello superiore Adamo ed Eva nel Paradiso
terrestre. Poi, dentro cornici ad arco delimitate da motivi fitomorfi agli angoli superiori,
è raffigurato Sant'Antonio abate (1616) con libro e bastone. Accanto, sullo sfondo di un
paesaggio, v'è una probabile raffigurazione di San Vito, in eleganti abiti secenteschi e
gorgiera, con cani al piedi. Nell'ultimo riquadro, è rappresentata la lapidazione di un santo
(Santo Stefano?), l'affresco seguente è purtroppo ancora ricoperto da intonaco.
Una elegante fascia decorativa, con ricercati motivi a grottesca, separa i due registri:
elementi vegetali e draghi si fronteggiano, resi efficacemente dal punto di vista figurativo
e cromatico. Sotto il nastro, anch'esso, come le cornici che racchiudono le figure dei santi,
delimitato da bande color ocra, sono leggibili solo in parte i riquadri con didascalie relative
agli episodi della vita di Sant'Onofrio. Al santo eremita (di probabile origine egiziana),
il cui culto fu introdotto in Occidente dal crociati, è dedicata una sequenza narrativa
suddivisa in otto parti. Un riquadro è purtroppo ficoperto da tinteggiatura, un altro è molto
corrotto. A lato, su tre cavità della parete rientranti a mo' di nicchie, campeggiano altre
immagini di santi, all'interno di una illusionistica architettura: di gusto popolare i putti
dei pennacchi, più stilizzati i due capitelli fogliati d'acanto su volti da cui partono due
trecce. La prima immagine è quella di San Giovanni Battista. Al centro è raffigurato l'incontro
di due santi monaci, quasi a significare un momento di passaggio o di accordo fra due ordini
monastiCi39. Infine è rappresentato San Domenico.
Dietro l'altare, la chiesa cripta si prolunga ìn due vani. Il più lungo (già murato e poi
riaperto), presenta buche scavate nel pavimento che, come è stato notato, hanno probabile
funzione di deposito di derrate (granili) e avvalorano l'ipotesi di una destinazione monastico
civile dell'antro40.
Il Prandi, che non conosceva questo corridoio all'epoca dei suoi studi essendo ancora chiuso,
sì sofferma sull'aspetto ondulato delle pareti e ritiene Fìnsieme un cenoblo con nicchie ìn
seguito pareggiate. A sostegno della sua tesi, individua ben 25 rientranze ricavate nella
roccia con funzione di dormìtorio, come a Fornello, presso Altamura41. Ualtro corridoio, di
dimensioni molto inferiori, porta verso la parte terminale della grotta, quasi una cripta
nella cripta: quella di Santa Costantina e quella del CrocefiSS042. Nella parte del coro, la
volta è affrescata con motivi decorativi. Tale tipo di decorazione non è usuale nel contesto
criptologico, la si può ritrovare solo nelle vicine cripte della Coelimanna di Supersano, con
la quale ha in comune pure la presenza di due altari, in quella del Crocefisso di Ugento e in
quella di San Biagio, in S. Vito dei Normann143. Infine una "Crocefìssione" palinsesta, dipinta
sull'ultima sporgenza della roccia, sopra l'altare, presso il quale si trovavano gli affreschi
più antichi. Si riconoscono appena i volti dei due santi benedicenti alla maniera greca, dipinti
in una rientranza della parete in alto. mentre rimarickno scarse tracce della figura
dell'Arcangelo Michele del XIV secolo. pretettore del bema ai cui piedi è stata aggiunta
un'inserzione con la data 1520. Il De Giorgi paragonava questi affreschi a quelli di Supersano.
Vaste e Carpignano44, tralasciando l'opera forse più suggestiva. il Christu1N patìens"
tra Maria e S. Giovanni. Proprio per essere sagomata nella pietra, la parte addominale del
Cristo risulta di straordinaria resa plastica in una riuscita sintesi di pittura e scultura.
La luce solare inonda la rotta che ha orientamento solstiziale nelle ore pomeridiane,
investendo con i suoi raggi, in alcuni periodi dell'anno (la festa che cade il tre di maggio)
il corpo di Cristo, in altri periodi il volto della Vergine sul secondo altare. al centro
della cripta.
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Sull'altura, nel pressi di un'aia spianata su roccia, v'è
una grande lastra monolitica, fino a pochi anni fa infissa verticalmente. Interrata all'origine
per 50 cm, ha le facce adiacenti di cm. 65 x 25. E' alta m. 1,85. Si trova sull'altopiano in un
punto dominante l'intera vallata e i paesi limitrofi fino al mare, probabile segnacolo di
confine. Riconducono al linguaggio delle pietre altri due tronconi monolitici nella campagna
sottostante e un basamento simile a quello delle specchie.
Proseguendo si giunge alla masseria "Manflo", nei pressi di un casale che testimonia
(come la vicina masseria "Mulino" con il suo ipogeo trappeto settecentesco in contrada
"Crocefisso") un'attività agricola protrattasi fino a tempi recenti.
In definitiva, i ruderi del cenobio "sub divo" potrebbero attestare la continuità dei
monachesimo italogreco e la vitalità economica di un luogo che era anche cellula di attività
rurale organizzata. L'aia e le fovee, nell'arca antistante, nonché le buche del vano più
profondo della struttura ipogeica fanno pensare a una sinergia monastico civile afferente al
sito. Non nuova è questa interazione del monachesimo italogreco con le strutture sociali del
territorio.
Nel periodo della occidentalizzazione normanna, l'autonomia cultuale greca, componente
fondamentale nella cultura e nella civiltà del territorio, non fu ostacolata. Convivevano,
dunque, antico e nuovo, linguaggi bizantini e linguaggi romanzi. 1 basilianì che avevano
improntato dei loro usi tutta la regione, usciti ormai da tempo dalle loro cripte, avevano
istituito e praticato una vera dominazione spirituale". Si passa così 'Aall'oscurità degli
antri alle chiese vaste e luminose, fino alle grandi istituzioni culturali come quella di
Casole e delle così dette Centoporte"45.
Considerando il sistema viarlo e gli itinerari dei pellegrinaggi votivi è da notare che la
cripta insiste su un percorso (conduceva alla chiesa di San Rocco a Torrepaduli), svincolo
della Traiana salentina, lungo la direttrice Ugento Alezio. Da ciò la sua "fortuna" nei secoli.
Non così per la grotta della Trinità o dell'Eternità. Ubicata a distanza dalla piccola arteria
viaria, la sua frequentazione illanguidì, perdendosi poi del tutto. A tale isolamento si deve
l'oscurità che ne circondava la storia fino alle recenti esplorazioni archeologiche e agli studi
ancora in corso.
Tutte queste testimonianze, dal paleolitico al messapico, dal tardo medioevale all'età moderna,
fino al nostri giorni, fanno del sito del Crocefisso un complesso cultuale e antropico di
notevole interesse, e consentono una lettura del vivere in grotte, in un quadro di lunga durata,
all'inter~ no della complessità del fenomeno rupestre nel Salento.
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