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Come altre città italiane e forse più di molte altre città, Bari ha bisogno riportanti interventi di riqualificazione. Gli ultimi decenni sono stati, per la maggior parte delle città italiane, anni di forte degrado e di impoverimento delle loro qualità. Non si è trattato solo di una pur evidente speculazione edilizia, quanto anche di una grave sottovalutazione dei problemi relativi alla manutenzione di una macchina tanto complessa quanto è una città e di gravissima incomprensione del mutamento in atto nella società.
Succubi degli aspetti più superficiali del mutamento si è ritenuto, non solo di poter fare a meno di un progetto per la città al quale potessero e dovessero essere riferiti i differenti problemi e gli interventi destinati a dar loro soluzione. Tra questi, ad esempio, quelli relativi alla progressiva dismissione di aree industriali e di parte del capitale fisso ad esse connesso. Sono passati poco più di venti o venticinque anni da quando il tema delle eree industriali dismesse è emerso in tutta Europa come una delle principali preoccupazioni ed occasioni per la città: preoccupazione perché ogni area industriale dismessa è segno visibile di una perdita; occasione perché ogni area dismessa e soprattutto il loro insieme costruisce le possibilità di un ripensamento e di una concreta ristrutturazione dell'intera città o di sue significative parti.
Tra questi due termini, preoccupazione ed occasione è racchiusa anche la storia non conclusa di questo tema, una delle tante storie che non possono essere ridotte a singoli casi e nelle quali si rappresenta la definitiva uscita della città europea dalle forme fisiche, sociali e simboliche della modernita'; ed il suo ingresso in quelle che, provvisoriamente, potremmo indicare come caratteristiche della contemporaneità.
Alla metà circa degli anni '70, ciò che apparve sorprendente fu il venir mano, il chiudere o trasferirsi, di imprese ed attività che da lungo tempo erano radicate nel contesto urbano contribuendo in parte a definirne l' identità fisica e sociale. Un venir meno che induceva e si accompagnava dissolversi di interi gruppi e classi sociali, della loro cultura e delle relazioni e delle pratiche che essi avevano costruito entro lo spazio urbano. Nella città e nella società all'improvviso si aprivano grandi vuoti, aree deprivate di un ruolo e di una funzione, in attesa di una nuova significazione.
Chi ha vissuto giorno per giorno quel cambiamento ha stentato a riconoscervi una rottura epocale, si è limitato a constatarne la pervasività ed estensione con sempre maggior preoccupazione per i problemi contingenti, ma spesso drammatici, cui dava luogo: perdita dell'occupazione, difficoltà di reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori che ne erano espulsi, necessità di costruire un insieme di ammortizzatori sociali, difficoltà nella loro corretta gestione.
Lentamente ci si rese conto che venivano dismesse ed abbandonate non solo le fabbriche, ma anche ed in un processo cumulativo, intere ed enormi parti del capitale fisso della città: importanti infrastrutture ed attrezzature come scali e raccordi ferroviari, banchine portuali, depositi, scuole, ospedali, edifici per uffici, residenze, strade, intere parti della moderna città industriale nella quali si erano rappresentati alcuni dei momenti migliori della sua storia. Orfani della tanto criticata città industriale del diciannovesimo secolo, alcuni cominciarono a rimpiangerla.
La reazione non è stata immediata ed è stata alquanto diversificata nelle diverse città europee: in alcune essa divenne l'occasione per grandi programmi di renovatio urbis, per progetti puntuali che singolarmente e nel loro insieme riuscissero a dare un nuovo senso e funzionamento all'intera compagine urbana; la pelle di leopardo disegnata entro la città da un processo di dismissione che seguiva proprie logiche sospingeva in questa direzione. In altre essa divenne l'occasione per awiare un insieme di contraddittorie operazioni speculative di scarso valore urbanistico ed architettonico. Contraddittorie per un motivo assai semplice: l'estensione delle aree dismesse ha raggiunto in molte città europee, alla fine degli anni '80, dimensioni tali da essere in grado, qualora tutte le aree fossero state contemporaneamente immesse nel mercato, di determinare un crollo dei valori fondiari che avrebbe potuto avere gravi conseguenze sull'intero sistema industriale, economico e sociale. Molte politiche intraprese da parte delle amministrazioni pubbliche in quegli anni avevano il difficile compito di costruire un insieme di ammortizzatori atti a sostenere il mercato offrendo contemporaneamente condizioni favorevoli agli investitori. Mai come nei due decenni degli anni '80 e '90 le città europee si sono trovate a poter disporre di un'offerta di aree libere, fortemente dotate di opere di urbanizzazione e felicemente ubicate al loro interno e ciò nondimeno tutto ciò non ha portato altro che ad un lieve rallentamento degli incrementi dei valori fondiari. Mai come in questi anni le città europee e le loro amministrazioni hanno awertito la necessità di definire una chiara strategia di lungo periodo rivisitando i temi e le forme del progetto urbanistico.
Negli anni '90 infine, l'awio dei primi processi ai dismesse ha messo in evidenza nuovi problemi.
durante le fasi di industrializzazione ci si era poco preoccupati di alcuni aspetti ambientali nei confronti dei quali la sensibilita' collettiva si era fatta piu' acuta. La produzione industriale aveva prodotto scorie, residui, infiltrazioni che avevano inquinato il terreno sul quale insisteva. Le operazioni di bonifica divenivano spesso assai costose e tecnicamente complicate. Le aree dismesse non erano semplici superfici in attesa di destinazioni d' uso. Il loro recupero richiedeva studi preventivi spesso di non semplice attuazione. La loro bonifica richiedeva investimenti che sovente riducevano l' appetibilita' del loro recupero.
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