Origine
e vicende storiche di Putignano.
Nelle Università
meridionali, la vita è l'attività politica sono quasi
nulle o di nessuna importanza, mentre ne aveva moltissima la vita
religiosa e civile. La vita religiosa soprattutto concentrava in se
tutte o quasi tutte le manifestazioni della vita cittadina, specialmente
nei centri rurali che si erano formati nei vasti territori della città
attorno ad un nucleo centrale che era la chiesa, costruita dalle famiglie
che vivevano in quel luogo. Questa genesi ha avuto anche Putignano.
L'origine di Putignano è antichissima. Ne fanno fede numerosi
vasi, monete, armi che si sono rinvenuti nei sepolcreti entro e fuori
le mura.
Dato l'importantissimo materiale storico ritrovato e la presenza di
di cisterne scavate nella viva roccia, dette a campana, uguali per
forma e struttura a quelle delle colonie greche di Terra d'Otranto,
è facile arguire che, nel sito della moderna Putignano, la
presenza dell'uomo e di una comunità è attestata in
un periodo risalente al VI-VII sec. a. C. durante la Magna Grecia.
I centri apuli cominciarono ad entrare in difficoltà nel III
sec. a. C. dopo l'intervento romano nella regione. Le vicende belliche
e l'amministrazione romana con la creazione dei latifondi, la diffusione
dello schiavismo, provocarono il regresso culturale, sociale ed economico
di tutta la Puglia e quando la viabilità romana rese preminenti
le grandi arterie della via Appia e della via Traiana, rendendo secondaria
l'antica rete di collegamento tra i centri apuli, si ebbe la scomparsa
di molti insediamenti e la piena decadenza di altri.
Quelli che sopravvissero, cercando di allacciarsi alla viabilità
romana, condussero un'esistenza grama fino alla loro distruzione,
in tempi diversi, nei secoli dell'alto Medio Evo.
Le epoche che precedono il Mille sono avvolte nella nebbia più
fitta e nemmeno ipotesi possono essere avanzate.
Nel 1025 Basilio II, il fautore della potenza bizantina in Italia,
morì e suo figlio, restauratore dell'autorità imperiale
in Puglia, venne richiamato in patria abbandonando a se stessa la
regione.
I Normanni, che già da qualche tempo scorazzavano per le nostre
contrade, cercarono immediatamente di approfittare della situazione.
In forze invasero i domini bizantini, fiaccando le ultime resistenze
e pur continuando a riconoscere formalmente la sovranità dell'Imperatore
d'oriente, si impossessarono di quei territori. Probabilmente nel
1042 si sono già impadroniti di Conversano.
Qualche anno dopo a capo del territorio conversanese figura un normanno
a nome Goffredo. Egli faceva parte di quei capi normanni, avidi di
conquiste, che trovavano ogni pretesto per mettere in discussione
l'obbedienza a Roberto il Guiscardo, che invece si affermava, in quegli
stessi anni, come Signore di Puglia e che minimizzare i soprusi chi
i normanni commettevano contro l'Impero, continuava a riconoscere,
sia pure solo formalmente, l'autorità del lontano Imperatore
d'oriente.
Alla morte di Roberto iniziarono i contrasti tra i figli per la successione.
Probabilmente in questo periodo Goffredo di Conversano non si sente
tranquillo e quindi vuol farsi degli amici cercando di mantenersi
neutrale tra i vari contendenti. Per tali motivi procede a numerose
donazioni. I più fedeli ricevono terre e privilegi, ma sono
soprattutto i benedettini a beneficiare della sua generosità.
In tale contesto storico e sociale, nel 1086, Goffredo fa erigere
un'Abbazia, dedicata a S. Stefano, presso Monopoli e l'arricchisce
donandole il "castellum" di Putignano.
Dopo la morte di Goffredo, sopita la contesa tra i figli del Guiscardo,
l'Abbate di S. Stefano fece confermare i privilegi e le donazioni
ricevute da Boemondo, Signore dei territori a sud di Bari, al quale
anche i Signori di Conversano dovevano obbedienza.
Come tutti i normanni anche Boemondo si mostrò prodigo nei
confronti dei benedettini e nel 1108 sottosrisse a favore dell'Abbate
un atto che ha costituito la radice del casale di Putignano, che da
esso ricava la sua prima matrice giuridica e sociale.
Il principe confermò le generiche concessioni fatte da Goffredo,
ma soprattutto concesse ai monaci di S. Stefano il diritto di popolare
i loro feudi con 200 coloni e con i loro discendenti. Con tale documento
nelle mani i benedettini trasferirono nei loro feudi, e pertanto anche
in Putignano, varie famiglie. I nuovi cittadini dovevano obbedienza
solo all'Abbate e potevano essere giudicati solo da lui e dai suoi
rappresentanti.
In virtù di tale privilegio l'Abbate concesse ai nuovi coloni
la possibilità di usare il mulino, il frantoio e il forno.
Si delinea così chiaramente l'organizzazione sociale e civile
di Putignano all'alba della sua origine. Un gruppo di coloni qui trasferiti
dai vari luoghi del Principato di Beomondo, che danno vita ad una
comunità con interessi e bisogni comuni, che si stringono intorno
ad una chiesa, da loro stessi costruita, per soddisfare anche le esigenze
spiritualidelle loro anime.
Le vicende di Putignano durante il dominio della monarchia Sveva sono
poco note. Il periodo tra la fine del XII sec. e l'inizio del XIII
sec. è quello di maggior splendore per l'abbazia benedettina
di S. Stefano e dovette essere un'epoca tranquilla per Putignano.
Federico II promise l'erezione dell'Università e di un nuovo
Castello presso Porta Maggiore.
Pochi anni dopo la situazione cambiò del tutto; tra Federico
II e la Chiesa la lotta si acuiva sempre più. Le concezioni
politiche assolutistiche di Federico cozzavano con l'egemonia, i privilegi
e l'autorità del Papato.
Durante questi avvenimenti i Benedettini di S. Stefano parteggiarono
per il Papa. Federico II fu geloso delle sue attribuzioni imperiali
e sospettoso della fedeltà dei suoi sudditi perciò distrusse
l'Abbazia, disperse i monaci, confiscò i loro beni, demolì
e rase al suolo tutte le opere militari che esistevano nei loro feudi.
Demolì anche le antiche mura di Putignano e condannò
tutti coloro che erano stati favorevoli alla politica dei monaci.
Dopo la morte di Federico II, nella lotta scatenatasi per la successione
prevalse Manfredi, che per allargare la sua popolarità diede
esecuzione al testamento paterno. Federico aveva disposto la restituzione
dei beni ecclesiastici confiscati durante le violenti lotte contro
il papato. Quindi l'Abbazia di S. Stefano riprese il suo ruolo e riestese
la sua influenza sui territori soggetti alla sua giurisdizione.
Il periodo angioino fu caratterizzato dall'esoso fiscalismo imposto
dai nuovi padroni e dalla nascita di intricatissime controversie giuridiche
relative al territorio, con i paesi vicini.
Intanto grandi eventi stavano maturando per S. Stefano. I monaci erano
in discordia tra di loro ed alcuni di essi chiesero l'aiuto dei Cavalieri
Gerosolimitani che, sbarcati nella cala sottostante, si introdussero
nel convento e finirono con l'impossessarsi di tutto dopo aver scacciato
i legittimi proprietari. Così ai monaci Benedettini si sostituirono
i Cavalieri Gerosolimitani detti prima di Rodi e poi di Malta. Il
convento con tutti i feudi furono dichiarati Baliaggio e i cavalieri
che ne ottenevano l'investitura si chiamavano Balì ed erano
padroni spirituali e temporali.
Durante il dominio Aragonese il Balì G. B. Carafa ottenne la
conferma delle concessioni e dei privilegi ottenuti in epoche precedenti.
Inoltre, viste le condizioni in cui versava il Comune, nel 1463 concesse
la costruzione di un forno pubblico e fece edificare fuori le mura
la chiesetta di S. Giovanni che serviva per la cerimonia d'ingresso
del Balì.
L'opera maggiore del Carafa fu però la ricostruzione nel 1472
delle mura. Erano formate da 14 torrioni rotondi e da 12 quadrangolari
e, oltre ai fossati e alla balestriere, per comodità dei cittadini,
aprì una seconda porta che chiamò Porta Barsento.
Con il dominio spagnolo iniziò un'odiosa immobilità
politica, sociale ed economica che da un lato addormentò gli
intelletti e le coscienze e dall'altro scatenò l'arroganza
e la presunzione. I nuovi padroni avevano un solo obiettivo: ricavare
denaro nella maggiore quantità possibile.
Con il trattato di Vienna del 1738 Carlo di Borbone ebbe la corona
del Regno di Napoli. Finì perciò la condizione di colonia
ed il meridione d'Italia riottenne la dignità di Stato.
I primi anni del regno di Carlo furono spesi al riordini politico
ed economico della nazione e per assicurare tranquillità e
lavoro alle popolazioni. Per tali iniziative lo Stato ricominciò
a rifiorire e per Putignano si concretizzò un periodo di laboriosità
e di ripresa economica.
Nel 1768 il Baliaggio di S. Stefano fu smembrato e furono costituite
due nuove commende: "Putignano la Maggiore" e "Putignano
la Minore".
Si avvicinava intanto la fine del secolo con tutti i tragici e grandiosi
rivolgimenti politici, che tanto peso ebbero nella storia dell'umanità.
Nel 1798 iniziarono le operazioni militari francesi nel napoletano
e Ferdinando IV fuggì in Sicilia. Il 23 gennaio 1799 il generale
Championnet entrò in Napoli alla testa delle truppe francesi
e proclamò la Repubblica Partenopea.
Gli avvenimenti che precedettero e seguirono la proclamazione della
Repubblica favorirono il divampare degli odii delle opposte fazioni.
I rancori repressi esplosero e con l'indebolimento delle istituzioni
anche i delinquenti ebbero più libertà d'azione. Le
città, travagliate all'interno, ebbero bisogno di difendersi
anche dagli attacchi esterni; anche Putignano dovette rafforzare con
altre sei guardie le due porte del paese.
Nel 1806 Napoleone costrinse la dinastia borbonica a scappare nuovamente
in Sicilia e insediò sul trono di Napoli suo fratello Giuseppe,
il quale abolì la feudalità, annullando secoli di Medio
Evo, rendendo tutti gli uomini uguali di fronte alla legge.
Il nuovo regime fece anche sparire le Università ed istituì
i Comuni, le Provincie e i Distretti per il decentramento della pubblica
amministrazione affinchè più efficace fosse l'azione
del governo centrale.
Contro il regime napoleonico sorsero inevitabili le opposizioni tanto
di coloro che rimpiangevano il passato regime sia di coloro che non
si accontentavano dei progressi civili raggiunti.
Nel 1815 Murat venne sconfitto e a Napoli ritornò Ferdinando.
Gli anni dal 1822 al 1844 furono per Putignano furono turbati dalle
questioni politiche che videro scontrarsi le varie famiglie; ciò
determinò un rilassamento dei pubblici poteri con un conseguente
aumento della criminalità. Eppure nel 1826 vi era stata una
ventata innovatrice grazie alla venuta dell'Intendente Provinciale
che ordinò l'abbattimento delle mura costruite dal Carafa che
costringevano l'abitato in uno spazio angusto, dispose che il paese
fosse meglio illuminato, ordinò di abbattere Porta Maggiore
e eliminò i macelli esistenti a ridosso della porta.
Il 21 agosto 1860, nell'antica piazza S. Pietro, si tenne un plebiscito
e tutti i votanti presenti si espressero a favore dell'annessione
al Regno d'Italia