Il programma edilizio iniziale, che Terragni elaborò nel novembre del ’36 per il cugino ingegnere Angelo, prevedeva la sistemazione su un lotto, espandi 10sec col fronte sulla Strada Nazionale dei Giovi, di circa 66 X 106 metri di una villa piu grande e di un villino piu piccolo divisi da un muro di cinta con annessi cinque boxes di 5 x 4,60m raccordati da una lunga pensilina con portico di 50 m. Questo programma venne ridimensionato ed il lotto venne diviso a metà sul lato lungo, la villa grande però rimase nella posizione originaria e venne costruita.

L’edificio a pianta rettangolare di 23,40 x 12,25 m. è composto da un piano seminterrato con il garage ed un alloggio di servizio, da un piano rialzato con la zona giorno ed un primo piano con la zona notte, una terrazza attrezzata a giardino pensile costituisce la copertura a cui si sovrappongono due svettanti pensiline a sbalzo rispettivamente di 3,68 m. e 2,7 m. di larghezza, l’altezza complessiva risulta di 10,40 m. da terra.

La pianta si articola con lo slittamento degli elementi geometrici della distribuzione che scoprono gli spazi adibiti ai percorsi orizzontali e verticali ed ai servizi, gli ambienti sono delimitati da miesiani setti di muro a girandola interposti a basse lame finestrate che appena incidono la prevalente superficie muraria dei prospetti. Il processo compositivo dell’edificio registra una pausa rispetto ai contemporanei esperimenti nella casa sul lago e nel primo progetto per la villa del floricultore; è quasi una rinuncia per riprendere fiato nel complicato e raffinato gioco dei telai aperti e delle superfici lamellari che però indebolisce le difese naturali del manufatto edilizio scontentando i clienti.

espandi 10sec La villa a Seveso è una breve tregua in attesa del balzo in avanti dell’anno successivo con il progetto per il Palazzo dei Congressi in cui le pareti esterne verranno volatilizzate in un incalzante ritmo di pilastrature. Qui prevale il volume scatolare e il raffinato impaginarsi armonico e bidimensionale dei prospetti è l’unico slancio concesso; ma è con tale impaziente insofferenza che Terrngni sfoga l’oppressione volumetrica nelle lastre di copertura che sembra quasi che le sottili pensiline asimmetriche vengano spinte in alto dai pistoni dei pilastri che le sorreggono scoperchiando il tetto. E anche il volume cubico, contenente il soggiorno, schizza fuori come il soffietto di una vecchia Kodak portandosi dietro il telaio per traguardare il paesaggio.

E' strano che Terragni non abbia pensato all’uso del colore, come aveva già sperimentato altrove, per dinamizzare questo parallelepipedo saldamente piantato per terra, invece proprio nel nome di villa Bianca si riscontra una voluta omogeneizzazione cromatica sui toni del bianco, come nell’intonaco lisciato o nelle imbotti di marmo bianco, nel grigio chiarissimo degli infissi e delle ringhiere. Ma tutto rimane statico sotto quel tetto, anche se una statica raffinamente composta che lascia il sapore di una voglia repressa.